Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17386 del 27/06/2019

Cassazione civile sez. VI, 27/06/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 27/06/2019), n.17386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6966-2018 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE ALPI 43,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO ISIDORI, rappresentato e

difeso dall’avvocato CLAUDIO VERINI;

– ricorrente –

Contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

dagli avvocati LUCIANA ROMEO, TERESA OTTOLINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 953/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO

LUCIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello dell’Aquila, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda avanzata da L.G. nei confronti di Inail diretta al riconoscimento di una rendita in conseguenza dell’infortunio occorsogli il 17/6/2013;

la Corte territoriale rilevava che l’accertata natura gratuita del rapporto intercorso tra il L. e la committente, tale D.B., in forza del quale il primo si era recato a bordo dell’autovettura fuori dalla carrozzeria per reperire il pezzo necessario alla riparazione dell’autovettura della seconda, non consentiva di qualificare il sinistro occorso al predetto L. come infortunio sul lavoro;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione L.G. sulla base di due motivi;

l’Inail ha resistito con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1325,1326,2225 e 2697 c.c., rilevando che il contratto d’opera pacificamente concluso dalle parti era contratto causalmente oneroso, come evincibile dal tenore dell’art. 2225 c.c., secondo cui se il corrispettivo non è convenuto tra le parti e non può essere determinato secondo tariffe professionali o usi, è stabilito dal giudice, con la conseguenza che, salvo che le parti non abbiano dato luogo a un contratto atipico caratterizzato da causa di gratuità, la presunzione di onerosità del contratto avrebbe imposto all’Istituto di dare la prova positiva di un accordo in tal senso, mentre al riguardo nessun accertamento era stato svolto in sentenza, con violazione dell’art. 2697 c.c.

con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 2909 c.c., osservando che doveva ritenersi formato il giudicato interno su un aspetto decisivo della controversia, avendo il giudice di primo grado affermato che la circostanza in merito all’avvenuto pagamento della riparazione fosse irrilevante, dovendo considerarsi il momento iniziale dell’accordo, rispetto al quale non era emerso in giudizio che le parti avessero concordato la riparazione gratuita fin dalla consegna del mezzo;

esaminato il secondo motivo nell’ordine logico, si evidenzia l’inammissibilità dello stesso per omessa indicazione, mediante trascrizione dei passi salienti ovvero specifica produzione o ancora esatta indicazione dell’ubicazione nell’ambito dei fascicoli processuali, della sentenza di primo grado e dei motivi di gravame, sì da poter ravvisare il denunciato giudicato, a fronte di una sentenza d’appello che, sulla base di una valutazione globale (e non solo sulla base dell’avvenuto mancato pagamento, peraltro indice interpretativo dell’accordo ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 2) delle emergenze istruttorie, ha accertato la natura gratuita della prestazione (Cass. n. 22607 del 24/10/2014: “Al fine di ritenere integrato il requisito della cosiddetta autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione, quando esso concerna la valutazione da parte del giudice di merito di atti processuali o di documenti, è necessario specificare la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte essi siano rinvenibili, sicchè, in mancanza, il ricorso è inammissibile per l’omessa osservanza del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6)”;

quanto al primo motivo, se deve considerarsi normale la natura onerosa del contratto in parola, coerentemente alla causa di scambio che assiste tutte le fattispecie di lavoro autonomo, di cui la prestazione d’opera intellettuale è una species (in tal senso Cass. n. 23893 del 23/11/2016: “Nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, come nelle altre ipotesi di lavoro autonomo, l’onerosità è elemento normale, anche se non essenziale, sicchè, per esigere il pagamento, il professionista deve provare il conferimento dell’incarico e l’adempimento dello stesso, e non anche la pattuizione di un corrispettivo, mentre è onere del committente dimostrare l’eventuale accordo sulla gratuità della prestazione”), si deve però rilevare come l’onerosità non sia essenziale a tale tipologia di contratto, potendosene ammettere anche una declinazione gratuita, che è proprio quella ravvisata dai giudici di merito in forza di un accertamento in fatto, fondato in primo luogo sulle dichiarazioni dello stesso L. e della committente, concordi nel senso che l’intervento del primo fosse avvenuto per mera amicizia, in assenza di corresponsione di alcun compenso, accertamento in fatto che risulta inammissibilmente censurato (Cass. n. 8758 del 04/04/2017);

il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile;

le spese del giudizio sono liquidate in dispositivo secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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