Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17382 del 26/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 26/08/2016, (ud. 06/07/2016, dep. 26/08/2016), n.17382

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16379/2014 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MARCONI

15, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO D’AMBROSIO, rappresentata

e difesa dall’avvocato DINO LUCCHETTI, giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1467/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA dell’

11/02/2013, depositata il 17/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio.

2. La Corte di appello di Roma, decidendo in sede di rinvio, riformava la decisione di primo grado e dichiarava la nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato, stipulato dall’attuale parte intimata con Poste Italiane s.p.a., nel periodo 2 – 30 settembre 1999, ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26/11/94 e dei successivi accordi integrativi, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso (…)”, e in applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, condannava la società alla corresponsione di una somma pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla notificazione del ricorso di primo grado.

3. Avverso questa sentenza Poste Italiane propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui la lavoratrice ha resistito con controricorso.

4. I motivi proposti dalla società concernono: violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 1375, 1427, 1431 e 2697 c.c. e art. 100 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo il giudice del gravame rigettato l’eccezione di definitivo scioglimento del rapporto, per tacito mutuo consenso dei contraenti, senza valorizzare la prolungata inerzia tenuta dalla lavoratrice a fronte della quale quest’ultima avrebbe dovuto provare il permanere di un suo interesse alla instaurazione del rapporto (primo motivo); violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 del c.c.n.l. 26/11/94 e dell’accordo integrativo 25/9/97, nonchè degli accordi successivi 16/1/98, 27/4/98, 2/7/98, 24/5/99 e 18/1/01, in connessione con l’art. 1362 c.c. (secondo motivo); violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, per avere la Corte territoriale condannato la società alla corresponsione di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, omettendo di considerare che nulla controparte aveva evidenziato in merito alla propria condizione lavorativa; ed inoltre per aver statuito la condanna agli accessori dalla data di notificazione del ricorso (terzo motivo).

5. Il primo motivo è manifestamente infondato.

6. Questa Corte ha più volte affermato che: “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v., ex multis, Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 1712-2004 n. 23554, nonche più di recente, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932).

7. La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è “insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre, Cass. 1- 22010 n. 2279).

8. Si aggiunga che, come precisato da Cass. 12 aprile 2012, n. 5782, “quanto al decorso del tempo, si tratta di dato di per sè neutro”, come sopra chiarito.

9. In ordine, poi, alla percezione del T.ER., questa S.C. ha più volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento risolutorio nè l’accettazione del t.f.r. nè la mancata offerta della prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine (cfr., Cass., n. 15628/2001, in motivazione).

10. Lo stesso dicasi della condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni (cfr. Cass. n. 839/2010, in motivazione, nonchè, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in motivazione)”.

11. In ogni caso, la valutazione del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative di una consensuale tacita volontà in ordine alla risoluzione del rapporto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

12. Orbene, nel caso in esame, la Corte di appello ha respinto l’eccezione di scioglimento del vincolo contrattuale sul rilievo che fosse mancata ogni allegazione e prova di condotte concludenti utili a rappresentare la disaffezione della lavoratrice (tali non potendo ritenersi l’accettazione senza riserve del t.f.r. e il ritiro del libretto di lavoro all’atto della cessazione del rapporto), essendo rimasta detta eccezione meramente fondata sul decorso del tempo (che non è di per sè espressione di una tacita rinuncia a coltivare il diritto a far accertare l’illegittimità del termine apposto al contratto).

13. Trattasi di considerazioni di merito corrette sul piano giuridico e congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico.

14. Anche le censure svolte con il secondo mezzo sono destituite di fondamento alla luce della giurisprudenza costante della Cassazione la quale ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. Cass. Sez. Un. 2 marzo 2006, n. 4588).

15. Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25/9/97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici che, con riferimento al distinto accordo attuativo, sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo del 16/1/98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31/1/98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30/4/98), della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo.

16. Consegue che, per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione, l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto a tempo determinato e che l’esistenza di dette esigenze costituisse presupposto essenziale della pattuizione negoziale; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo.

17. In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31/1/98 e successivamente al 30/4/98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al 30/4/98 (v., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006,n. 18378).

18. Nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, correttamente si è ritenuto irrilevante l’accordo 18/1/01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.

19. Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25/9/97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula juris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004, n. 5141).

20. Quanto al terzo mezzo si osserva, quanto al primo profilo di censura, che la Corte di merito ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di determinare in quattro mensilità la indennità di cui all’art. 32 cit., individuandole nella durata dell’assunzione a termine, nelle dimensioni della società datrice di lavoro e nelle mansioni del lavoratore, facendo corretta applicazione dei criteri di cui della L. 15 luglio 1966, n. 604, citato art. 8, involgente, peraltro, valutazioni di merito che non possono essere sindacate in questa sede.

21. Se è vero, al riguardo, che la L. n. 604 del 1966, art. 8, fa riferimento, ai fini della determinazione dell’indennità alle condizioni delle parti, ciò non significa – diversamente da quanto assume la ricorrente – che il lavoratore debba dimostrare anche gli altri elementi dalla stessa dedotti, quali la mancata instaurazione di altri rapporti, la mancata percezione di ulteriori somme a titolo retributivo, il tentativo di reperimento di altre occupazioni.

22. In proposito è, infatti, richiesta una valutazione complessiva della situazione dedotta in giudizio, che peraltro, tenga conto come ha fatto la Corte – anche del numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro e delle dimensioni dell’azienda, secondo quanto disposto dal citato art. 8.

23. L’apprezzamento di tutti detti elementi, essendo rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, è sottratta al sindacato di legittimità (cfr., per l’applicazione di tale principio con riguardo all’indennità di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8, Cass. 5 gennaio 2001, n. 107; Cass. 14 giugno 2006, n. 13732; Cass. 5 maggio 2006, n. 11107 e con riguardo proprio all’indennità della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, Cass. 16 ottobre 2014, n. 21932).

24. Il motivo, in conclusione, pur sotto il profilo di una denunciata violazione di legge, finisce con il sollecitare questa Corte ad un inammissibile giudizio di merito.

25. Merita, invece, accoglimento, il profilo di doglianza che investe la decorrenza degli accessori.

26. Questa Corte ha avuto modo di precisare che l’indennità ex art. 32, comma 5, cit. deve essere annoverata fra i crediti di lavoro ex art. 429 c.p.c., comma 3, giacchè tale ampia accezione si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (cfr., ad esempio, per i crediti liquidati L. n. 300 del 1970, ex art. 18, Cass. 23 gennaio 2003 n. 1000; Cass. 6 settembre 2006 n. 19159; per l’indennità della L. n. 604 del 1966, ex art. 8, Cass. 21 febbraio 1985 n. 1579; per le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno ex art. 2087 c.c., Cass. 8 aprile 2002 n. 5024).

27. L’indennità in esame rappresenta comunque il ristoro (sia pure forfetizzato e omnicomprensivo) dei danni conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del rapporto e dalla natura di liquidazione forfettaria e omnicomprensiva del danno relativo al detto periodo consegue che gli accessori ex art. 429 c.p.c., comma 3, sono dovuti soltanto a decorrere dalla data della sentenza che ha statuito la conversione del contratto che, appunto, delimita temporalmente la liquidazione stessa.

28. In tali termini deve, pertanto, accogliersi in parte qua il terzo motivo del ricorso, con decisione nel merito, per non essere necessari ulteriori accertamenti di fatto.

29. In conclusione, dev’essere accolto, in parte qua, l’ultimo motivo del ricorso, rigettati gli altri, con la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dev’essere determinata la decorrenza degli interessi e della rivalutazione monetaria, sull’indennità in questione, dalla data della sentenza di appello che ha convertito il rapporto.

30. Le spese del presente giudizio, stante il limitato accoglimento del ricorso, sono compensate tra le parti nella misura di 1/5 e, per i restanti 4/5, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della società ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo, con attribuzione all’avv. Lucchetti Dino per dichiarato anticipo fattone. Si conferma la statuizione in ordine alle spese dei precedenti gradi di giudizio di cui alla impugnata sentenza.

PQM

La Corte accoglie in parte qua l’ultimo motivo del ricorso principale, rigettati gli altri; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, determina la decorrenza degli accessori sulla indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, dalla data della sentenza di appello che ha convertito il rapporto; compensa tra le parti le spese, nella misura di 1/5 e, condanna la società al pagamento dei restanti 4/5 delle spese, complessivamente liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori e rimborso forfetario del 15%, con attribuzione all’avv. Lucchetti Dino per dichiarato anticipo fattone.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2016

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