Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17380 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/08/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 20/08/2020), n.17380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24870-2018 proposto da:

C.N., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato STEFANO MARRONE;

– ricorrente –

contro

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1822/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA

ACIERNO.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Treviso ha dichiarato lo scioglimento del matrimonio contratto tra A.G. e C.N.; ha revocato, con decorrenza dalla data della domanda, l’assegno per il mantenimento del figlio A.L. e l’assegnazione della casa coniugale a favore della C. a cui ha ridotto l’assegno divorzile all’importo di Euro 600 mensili, condannandola ad un terzo delle spese processuali. Il ricorso proposto da A.G. era stato notificato unicamente alla moglie e non al figlio maggiorenne.

La C. ha proposto tempestiva impugnazione avverso la decisione dinanzi alla Corte di Appello di Venezia. Ha chiesto che fosse dichiarata la nullità della pronuncia insieme a tutta l’attività processuale compiuta in primo grado per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio e che ne fosse accertato lo stato di non autosufficienza economica. Ha, inoltre, richiesto che le fosse riassegnata la casa familiare, che fosse corrisposto da Giuseppe Alabastro un assegno di Euro 600 a favore del figlio, che le fosse riconosciuto un assegno divorzile di Euro 1.000 mensili e che fosse annullata la condanna al pagamento di un terzo delle spese di primo grado. Si sono costituiti sia A.G. sia A.L.A., quest’ultimo come interveniente adesivo. La Corte d’Appello ha respinto il ricorso e ha confermato integralmente la sentenza impugnata con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite. In particolare, ha escluso la sussistenza di litisconsorzio necessario tra il figlio L.A. e il genitore convivente. Ha, inoltre, ritenuto, come precedentemente il Tribunale che il figlio aveva dimostrato piena capacità lavorativa e reddituale, avendo svolto diverse funzioni lavorative. Inoltre la perdita del posto di lavoro per qualsiasi evenienza da parte del figlio maggiorenne, divenuto economicamente autosufficiente, non poteva determinare la reviviscenza dell’obbligo genitoriale di mantenimento nei suoi confronti. Ha confermato la statuizione del Tribunale relativamente alla determinazione dell’assegno divorzile nella somma di Euro 600 mensili. La Corte d’Appello non ha ammesso le prove orali richieste in relazione alla domanda d’incremento dell’assegno divorzile, ritenendo che avrebbero dimostrato circostanze ininfluenti ai fini della decisione, trattandosi di questioni petitorie o divisionali dei patrimoni degli ex coniugi. Infine, ha confermato la sentenza del Tribunale relativamente alla regolazione delle spese di lite. La C. ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia e ha formulato cinque motivi. Ha depositato controricorso A.G..

Con il primo motivo si è dedotta l’erroneità e l’incongruenza della motivazione della sentenza impugnata, il mancato riconoscimento della violazione dell’art. 101 c.p.c., la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di L.A. Alabastro e la nullità della sentenza e degli atti del procedimento. La ricorrente ha ritenuto che erroneamente la Corte d’Appello, come aveva fatto il Tribunale in primo grado, ha considerato il figlio L.A. titolare di una legittimazione alternativa e concorrente e non ha tenuto conto nella motivazione della sentenza dell’art. 101 c.p.c. La violazione del principio del contraddittorio, secondo la C., avrebbe comportato la nullità della sentenza impugnata e dell’attività processuale svolta in primo grado.

Con il secondo motivo si è dedotta la carenza e l’incongruità della motivazione, l’errato accertamento dell’autosufficienza economica del figlio maggiorenne convivente, l’illegittima revoca dell’assegno di mantenimento e dell’assegnazione della casa coniugale, l’errata riduzione dell’assegno divorzile e l’erroneità di valutazione dei fatti. La Corte d’Appello ha considerato il figlio maggiorenne economicamente autosufficiente per l’età raggiunta, per il conseguimento della capacità professionale e per la percezione di consistenti retribuzioni, senza valutare l’attuale mancanza di redditi da lavoro. Inoltre, secondo la C., ingiustamente le era stata revocata l’assegnazione della casa familiare perchè non era venuto meno il presupposto che la giustificasse, ovvero lo stato di non autosufficienza economia del figlio convivente. L’errore in cui era incorsa la Corte d’Appello era di triplice natura. In primo luogo era stato considerato il reddito lordo di L.A. e non quello netto, senza tener conto del rigoroso regime di tassazione della Svizzera; in secondo luogo non è stato raffrontato il costo della vita in Italia con quello più elevato della Svizzera e, infine, non è stata considerata l’attuale situazione di disoccupazione del figlio che, a causa dei saltuari impieghi lavorativi, è sempre stato economicamente dipendente dai genitori.

Con il terzo motivo si è dedotta la carenza ed erroneità della motivazione in relazione alla determinazione dell’assegno divorzile, all’illegittima revoca dell’assegnazione della casa coniugale, al travisamento ed erroneità della valutazione delle prove.

Ad avviso della C., nella determinazione dell’importo non era stata considerata correttamente la durata del matrimonio protrattasi per oltre venti anni, non si era tenuto conto del contributo personale dato dalla ricorrente alla conduzione della vita familiare durante il matrimonio, alle rinunce lavorative e alle spese che la C. avrebbe dovuto affrontare per il suo sostentamento (spese mediche, di vitto, alloggio).

Con il quarto motivo si è dedotta l’erroneità e la contraddittorietà della motivazione, la mancata ammissione dei capitoli di prova orale e l’illegittima compressione del diritto di difesa e prova dell’appellante oltre che la carenza di istruttoria. La ricorrente ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse illegittimamente respinto le sue istanze di prova orale su specifici capitoli che le avrebbero permesso di ricostruire l’effettiva capacità patrimoniale e reddituale di A.G., strumento indispensabile per determinare la concreta misura del suo assegno. La ricorrente, in particolare, aveva richiesto di poter provare che A.G. avesse lavorato in qualità di dirigente presso il Sindacato Svizzero, che si era sempre occupato della redazione delle dichiarazioni dei redditi anche dopo il raggiungimento dell’età pensionabile, continuando sempre a lavorare sia per il sindacato che per altre ditte private. Voleva dimostrare che era solito lavorare anche nel settore vinicolo, che aveva intrapreso un’azione legale contro l’INPS per il recupero di indennità arretrate e che l’Alabastro avesse preteso che la moglie impiegasse tutti i propri risparmi prelevati dal conto corrente personale per destinarli alla ristrutturazione dell’ex casa familiare.

Con il quinto motivo si è dedotta la carenza e l’erroneità della motivazione, la mancata ritenuta violazione dell’art. 92 c.p.c., la condanna alle spese, la soccombenza reciproca e l’illegittima mancata totale compensazione. La ricorrente ha ritenuto che la Corte d’Appello non si fosse pronunciata in maniera esaustiva sulla sua doglianza relativa alla condanna al pagamento delle spese processuali di primo grado nella misura di un terzo. Secondo la C., sarebbe stato più giusto condannare la controparte al ristoro delle spese di lite oppure operare un’integrale compensazione delle spese, anche tenuto conto della parziale soccombenza del marito.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, perchè non è rinvenibile la violazione del principio del contraddittorio in primo grado, dovendosi, alla luce dell’orientamento costante giurisprudenza di legittimità, riconoscere una legittimazione concorrente del figlio maggiorenne non autosufficiente con quella del genitore con il quale coabita/ma non come litisconsorte necessario, ben potendo agire esclusivamente il genitore convivente per richiedere il contributo relativo al concorso al mantenimento del figlio. L’orientamento richiamato è così massimato: “La legittimazione del genitore convivente con il figlio maggiorenne, essendo fondata sulla continuità dei doveri gravanti su uno dei genitori nella persistenza della situazione di convivenza, non si sovrappone, ma concorre con la diversa legittimazione del figlio di maggiore età, che trova fondamento, a sua volta, nella titolarità del diritto al mantenimento, ed i problemi determinati dalla coesistenza di entrambe le legittimazioni si risolvono sulla base dei principi dettati in tema di solidarietà attiva. Ne deriva che, nel caso in cui ad agire per ottenere dall’altro coniuge il contributo al mantenimento sia il genitore con il quale il figlio medesimo continua a vivere, non si pone una questione di integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio diventato maggiorenne; tenuto, peraltro, conto del fatto che il mancato esercizio, da parte di quest’ultimo, del diritto di agire autonomamente nei confronti del genitore con cui non vive rivela l’inesistenza di qualsiasi conflitto, quanto al suo mantenimento, con la posizione assunta dal genitore con il quale continua a vivere”(Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6950 del 16/07/1998, in termini 4188 del 2006; 21437 del 2007).

Il secondo motivo è inammissibile perchè l’obbligo di mantenimento non può essere ripristinato, ove sia stato accertato, peraltro insindacabilmente, come nella specie con motivazione pienamente esauriente, l’acquisto della capacità professionale all’esito di un percorso formativo ed il raggiungimento dell’autosufficienza economica (Cass. 24498/2006; Cass. 1611/2011).

Il quarto motivo è manifestamente fondato limitatamente all’omesso esame delle richieste di prova orale, esattamente riprodotte nel corpus della censura (Cass. 1113 e 5674 del 2006) e non corrispondenti se non marginalmente a quelle indicate dalla Corte d’Appello nella statuizione di rigetto, ma inerenti alla capacità reddituale del resistente, ovvero un profilo fattuale non irrilevante rispetto alla domanda di assegno di divorzio.

Nel caso di specie, le prove articolate dalla ricorrente miravano proprio a dimostrare la capacità lavorativa effettiva del marito ed il contributo arrecato dalla moglie all’incremento del patrimonio del coniuge, mediante interventi economici diretti a ristrutturare la casa di quest’ultimo, per cui avevano ad oggetto elementi decisivi per il giudizio. Pertanto, deve trovare applicazione il principio per cui il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento (Cass., 17/06/2019, n. 16214; Cass., 07/03/2017)

All’accoglimento del quarto motivo consegue l’assorbimento del terzo e del quinto.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo di ricorso. Dichiara inammissibile il secondo. Accoglie il quarto e dichiara assorbiti il terzo e il quinto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

 

 

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