Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17376 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/07/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 23/07/2010), n.17376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28748/2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 821/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 21/10/2005 r.g.n. 696/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2010 dal Consigliere Dott. NOBILE Vittorio;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 273/2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Vicenza, in accoglimento della domanda proposta, tra le altre lavoratrici, da S.A. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra le parti il (OMISSIS) (per “esigenze eccezionali” ex acc. az. 25-9-97 e succ.) e, conseguentemente, la conversione del rapporto in quello di lavoro a tempo indeterminato e condannava inoltre la società convenuta al ripristino del rapporto ed a pagare le retribuzioni dalla data di offerta delle prestazioni (per la S. il 14-1-2003) detratto l’aliunde perceptum.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto delle domande di controparte.

La S. (con le altre lavoratrici) si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte di Appello di Venezia, con sentenza depositata il 21-10- 2005, rigettava l’appello e compensava le spese del grado.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con cinque motivi, illustrati con memoria.

La S. è rimasta intimata.

La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente osserva il Collegio che la società ricorrente, ha depositato con il ricorso dichiarazione della S. di “rinuncia all’assunzione presso Poste Italiane s.p.a.” in data 10-10-2003, rimasta non contestata. La produzione di tale documento in questa sede (ammissibile ex art. 372 c.p.c., comma 1, v. fra le altre Cass. 23-6-2009 n. 14657), comporta la declaratoria della cessazione della materia del contendere per ciò che concerne l’oggetto della detta rinuncia (e cioè il ripristino del rapporto e, conseguentemente, anche le retribuzioni successive alla data della rinuncia stessa).

Per il resto il ricorso è infondato e va respinto.

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando vizio di motivazione, deduce che, in sostanza, la sentenza impugnata, contraddittoriamente, “ha dapprima riconosciuto e poi negato la pienezza della autonomia delle parti sociali, giudicando che la causale di cui all’art. 8 ccnl di Poste Italiane” “sarebbe valida (in quanto è pacifica la sussistenza del processo di ristrutturazione), ma al tempo stesso, invalida (o comunque insufficiente a determinare la legittimità della singola assunzione a termine).” Con il secondo motivo la ricorrente denunciando ancora vizio di motivazione, lamenta che la Corte d’Appello, richiedendo “l’introduzione di un rigido limite temporale di validità ad una fattispecie che riguarda problemi strutturali della società che non potranno trovare soluzione in tempi brevi”, in sostanza “ha dapprima affermato e poi negato che la delega conferita dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 attribuisca alla contrattazione collettiva una “delega in bianco” nella individuazione delle ipotesi di assunzione a termine, come tale non sindacabile nel merito dal Giudice”.

Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando, violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 e L. n. 56 del 1987, art. 23, deduce che la Corte d’Appello “ha erroneamente desunto l’esistenza di un termine di validità delle pattuizioni contrattuali, affermando che la “possibilità di assunzione per l’ipotesi di cui all’accordo collettivo (OMISSIS)” era “prevista sino al 31 gennaio 1998 prorogato al 30 aprile 1998”.

Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e degli artt. 1362 e seg. c.c., nonchè vizio di motivazione, in sostanza denuncia la violazione dei criteri ermeneutici in ordine alla interpretazione degli accordi attuativi dell’acc. az. 25-9-97, ribadendo la natura meramente ricognitiva degli stessi.

Osserva il Collegio che la Corte di merito, dopo aver esaminato il testo degli accordi collettivi intercorsi in materia, tra l’altro, ha attribuito rilievo decisivo in particolare alla considerazione che:

l’assunzione a termine de qua “essendo avvenuta oltre la delimitazione temporale effettuata dalle parti sociali con gli accordi integrativi di quello in data (OMISSIS), introduttivo della nuova ipotesi di contratto a termine di cui sì discute, non è da ritenere legittima per la scadenza temporale” prevista (30-4-1998).

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere la impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo (stipulato “per esigenze eccezionali” in data successiva al 30-4-1998).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n, 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha ripetutamente affermato e come va anche qui enunciato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del (OMISSIS), integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base a tale indirizzo, ormai consolidato, va quindi confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo (stipulato il (OMISSIS)), così respingendosi le censure contenute nel terzo e quarto motivo, restando assorbite quelle di cui al primo e secondo motivo.

Con il quinto motivo, poi, la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2094, 2099, 1206, 1207 e 1217 c.c., in sostanza lamenta che la Corte d’Appello, contraddittoriamente, “da un lato afferma la necessità della costituzione in mora e, dall’altro, confermando la pronuncia di primo grado, ha condannato la società a pagare le retribuzioni anche per periodi non lavorati e pur in assenza di specifica messa a disposizione delle energie lavorative”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

La Corte di Appello, sul punto, ha affermato che “appare corretta anche la conclusione del primo giudice che…..condanna l’appellante….al pagamento delle retribuzioni maturate a decorrere da quando il lavoratore ha provveduto ad offrire la prestazione costituendo nella situazione di “mora accipiendi” (come documentato dal lavoratore) il datore di lavoro” (nella specie la S. v.

racc. AR di formale messa in mora del 14-1-2003 richiamata nella sentenza di primo grado).

Tale accertamento, prettamente di fatto, riservato al giudice del merito, è stato, quindi, effettuato dalla Corte territoriale, che ha congruamente motivato sul punto, in conformità con l’indirizzo più volte dettato da questa Corte (v. fra le altre Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 13-4-2007 n. 8903). La società, del resto, ha censurato la decisione in modo del tutto generico, senza neppure riportare il testo della comunicazione in oggetto, che, secondo l’assunto della ricorrente, non avrebbe integrato la ravvisata messa in mora.

Infine non deve provvedersi sulle spese, non avendo la intimata svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla rinuncia della S. in data 10-10-2003, rigetta per il resto il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

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