Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17375 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 26/04/2021, dep. 17/06/2021), n.17375

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27254-2018 proposto da:

ISCHIAMARETERME ALBERGHI SNC, elettivamente domiciliata in ROMA,

Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione

rappresentata e difesa dagli avvocati SILVIO TRANI ed ELENA FORTUNA;

– ricorrente –

contro

COMUNE CASAMICCIOLA, elettivamente domiciliato in ROMA, Piazza Cavour

presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO IACONO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1264/2018 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA,

depositata il 08/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

26/04/2021 dal Consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. La Ischiamareterme snc propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 1264/3/18 dell’8.2.2018, con la quale la commissione tributaria regionale della Campania, in parziale riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento notificatile dal Comune di Casamicciola Terme per Ici 2010 e 2011.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:

– inaccoglibile, perchè indimostrata, era l’eccezione opposta dalla società di carenza di motivazione degli avvisi di accertamento in quanto asseritamente privi di allegazione del prospetto di calcolo in essi indicato (prospetto poi prodotto in giudizio dal Comune);

– infondata era altresì l’eccezione secondo cui il Comune, trattandosi di immobile fatiscente, avrebbe dovuto richiedere la sola imposta di sedime e non di fabbricato, dal momento che si trattava di immobile iscritto in catasto con attribuzione di rendita, a valere anche per le annualità antecedenti alla notificazione di quest’ultima, secondo quanto stabilito da Cass.n. 5166/13;

– invece fondata era la richiesta di riduzione al 50% dell’Ici D.Lgs. n. 504 del 1992 ex art. 8, comma 1, dal momento che lo stato di inagibilità o inabitabilità dell’immobile era ben noto al Comune il quale, proprio per tale ragione, aveva da tempo revocato la licenza di esercizio per l’attività alberghiera; inoltre, la risalente condizione di abbandono dell’immobile era stata accertata, su perizia di parte, dalla sentenza CTR Campania n. 68 del 2010 nei confronti dello stesso Comune (seppure ai fini Tarsu 2004-05).

Resiste con controricorso il Comune di Casamicciola Terme.

La ricorrente ha depositato memoria.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione delle norme sulla motivazione degli atti impositivi (L. n. 241 del 1990, artt. 3-21 octies, e L. n. 212 del 2000, art. 7), nonchè degli artt. 2712-2719 c.c. e degli artt. 214-215 c.p.c.: per avere la Commissione Tributaria Regionale affermato l’avvenuta allegazione agli avvisi di accertamento degli indicati prospetti di calcolo, nonostante che tale allegazione non risultasse nè dalla copia notificata versata in giudizio dalla società contribuente, nè da timbri di congiunzione tra il singolo avviso ed i relativi prospetti asseritamente allegati (da ritenersi essenziali perchè recanti l’ubicazione e la descrizione catastale degli immobili tassati).

p. 2.2 Il motivo è infondato.

Va innanzitutto considerato che esso, pur facendo nominalistico riferimento in rubrica anche all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non contiene poi alcuno sviluppo argomentativo e censorio specificamente rivelatore della effettiva deduzione di un vizio di “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio (unico profilo oggi a tale titolo ammissibilmente deducibile, per giunta nei rigorosi limiti già stabiliti da Cass.SU n. 8053/14).

E ciò non appare casuale, dal momento che l’unico fatto materiale astrattamente qui riferibile ad una doglianza di questo genere (l’allegazione o meno dei prospetti agli avvisi di accertamento), lungi dall’essere stato “omesso” dalla CTR, è stato da quest’ultima esaminato. E questa disamina ha portato il giudice di merito a concludere, in accordo con una determinata valutazione probatoria, nel senso della conformità della copia notificata degli avvisi agli stessi avvisi originali così come prodotti in giudizio dal Comune; dunque debitamente corredati, fin dalla notificazione, dei prospetti della cui allegazione si dava in essi specificamente conto.

E’ quindi evidente come si sia ben lontani dall’ipotesi di “omesso esame” di fatto decisivo, risolvendosi piuttosto il motivo di ricorso in esame – sotto questo profilo – a semplicemente sollecitare una diversa valutazione di un aspetto materiale di causa già vagliato dal giudice di merito e certamente inammissibile in sede di legittimità.

Va poi considerato, sotto ulteriore aspetto, che il richiamo al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), cit. sarebbe, una volta di più, inconferente anche considerato che la ricorrente afferma – ma non dimostra – l’effettiva ‘decisività’ ai fini di causa dei prospetti di cui lamenta la mancata allegazione (il cui esatto contenuto non viene dalla ricorrente riportato, così da consentirne la valutazione di incidenza). Dimostrazione che sarebbe stata tanto più necessaria in ragione del fatto che tali prospetti, secondo quanto risulta dagli atti di causa, contenevano unicamente l’ubicazione e la descrizione catastale degli immobili tassati, risolvendosi dunque nella riproduzione di dati ed informazioni certamente non essenziali perchè già noti alla società che questi immobili possedeva.

La doglianza è poi infondata anche là dove invoca la violazione delle disposizioni sul disconoscimento documentale per difformità tra copia ed originale, essendosi in proposito più volte affermato (Cass.n. 12737/18 ed altre) che: “Il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all’originale di una scrittura non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 2, perchè mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. Ne consegue che l’avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all’originale, tuttavia non vincola il giudice all’avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l’efficacia rappresentativa.”.

Sennonchè, sgombrato il campo da ogni possibile censura in questa sede delle conclusioni fattuali alle quali è sul punto pervenuto il giudice territoriale, non può che conseguentemente disattendersi la stessa doglianza di violazione normativa costituente l’asse portante del motivo in esame.

Una volta acclarato che gli avvisi erano stati notificati in versione completa e quindi con la debita allegazione dei prospetti in questione, la decisione del giudice regionale – secondo cui tali avvisi dovevano conseguentemente ritenersi compiutamente motivati nella individuazione di tutti gli elementi costitutivi dell’imposizione – risulta infatti, non contraria, ma pienamente in linea con il dettato normativo di cui si assume la violazione. Dettato normativo secondo cui (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162) “Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 15 e 32: per avere la Commissione Tributaria Regionale basato la propria decisione sull’avvenuta produzione in giudizio, da parte del Comune, dei prospetti di calcolo mancanti, nonostante che tale produzione fosse avvenuta soltanto in sede di tardiva costituzione del Comune stesso nel primo grado di giudizio, con conseguente preclusione e necessità di stralcio della documentazione prodotta.

p. 3.2 Il motivo è infondato.

Ferma restando la tardiva produzione del documento nel corso del primo grado di giudizio, era in facoltà del Comune effettuare nuovamente tale produzione anche nel giudizio di appello (nell’osservanza del regime temporale di preclusione proprio di quest’ultimo).

Si è in proposito osservato che la disciplina dei “nova” e della produzione dei documenti nel giudizio tributario, D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 58, differisce da quella generale prevista, per il giudizio civile ordinario, dall’art. 345 c.p.c. e, in particolare, che (Cass. n. 24398/16 ed altre): “in tema di contenzioso tributario, il documento irritualmente prodotto in primo grado può essere nuovamente prodotto in appello, nel rispetto delle modalità previste dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, ed in forma analoga nell’art. 87 disp. att. c.p.c.; tuttavia, ove lo stesso sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e quest’ultimo sia depositato all’atto della costituzione unitamente a quello di appello, si deve ritenere raggiunta ancorchè le modalità della produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge – la finalità di mettere quel documento a disposizione della controparte, così da consentirle l’esercizio del diritto di difesa, onde l’inosservanza del citato art. 32 deve ritenersi sanata.”

Va d’altra parte considerato che l’eventuale vizio nel quale fosse incorsa la sentenza di primo grado (per essersi basata su un documento tardivamente prodotto in quel giudizio), non sarebbe qui rilevante, dal momento che quella sentenza è stata comunque riformata e “sostituita” dalla sentenza di appello, contro la quale soltanto possono rivolgersi le censure di legittimità.

p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso ci si duole – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – della violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 337, dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 69: per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato che, come dedotto dalla società già nel primo grado di giudizio e poi ribadito in appello, gli avvisi di accertamento in questione (come evincibile dai prospetti) si basavano su rendite catastali annullate (con esecutività immediata a favore del contribuente) con sentenza della CTR Campania n. 4710/45/14 (già depositata in appello).

p. 4.2 Il motivo è fondato nei termini che seguono.

La sentenza impugnata – pur essendo stata la questione introdotta fin dal ricorso originario, e poi riproposta in appello – non si è fatta carico di verificare la congruità della quantificazione della pretesa impositiva in base al valore catastale dell’immobile D.Lgs. n. 504 del 1992 ex art. 5, comma 2, tenuto conto dell’affermato annullamento (con altra sentenza della CTR Campania n. 4710/45/14, emessa nei confronti dell’agenzia delle entrate) della rendita e del classamento presi (in tutto o in parte) a presupposto dal Comune negli avvisi di accertamento qui dedotti.

Va qui ribadito, ai fini Ici, che la L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 1, nel prevedere che, a decorrere dall’1 gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati siano efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, va interpretato nel senso dell’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita prima della sua notifica al fine di individuare la base imponibile dell’ICI, ma non esclude affatto l’utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata, a fini impositivi anche per annualità d’imposta “sospese”, cioè ancora suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso (Cass. nn. 10126/19; 14402/17).

E tuttavia, nel caso di specie si trattava proprio di verificare la perdurante validità ed efficacia di tale rendita, di cui la parte assumeva l’avvenuto annullamento giudiziale anche con riguardo alle annualità qui dedotte.

p. 5. Ne segue, in definitiva, il rigetto del primo e del secondo motivo di ricorso, con l’accoglimento del terzo.

La sentenza va cassata in relazione a quest’ultimo motivo, con rinvio alla commissione tributaria regionale della Campania la quale, in diversa composizione, riesaminerà la fattispecie alla luce di quanto su indicato.

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte:

– accoglie il terzo motivo di ricorso, respinti gli altri;

– cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, tenutasi con modalità da remoto, il 26 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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