Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17372 del 18/08/2011

Cassazione civile sez. III, 18/08/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 18/08/2011), n.17372

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12773/2009 proposto da:

M.M. (OMISSIS) in proprio ed in qualità di

genitore dei figli minori MA.MA. e m.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI LANCIERI 13, presso lo

studio dell’avvocato BRUNO BERSANI, rappresentato e difeso

dall’avvocato BERTANZETTI Oscar con studio in 23900 LECCO, VIA CAVOUR

74 giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PISISTRATO 11, presso lo studio dell’avvocato ROMOLI

Gianni, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CIOCE

NICOLA, ANDREA BASSI giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.L. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 677/2008 del TRIBUNALE di COMO, emessa il

28/2/2008, depositata il 13/05/2008, R.G.N. 1503/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato ROMOLO GIANNI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I fatti di causa rilevanti ai fini della decisione possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

Con ricorso depositato il 24 gennaio 2006 B.L., premesso che C.A. aveva agito in via esecutiva per il rilascio dell’immobile adibito a casa di abitazione sua e dei figli, sulla base di decreto di trasferimento del Tribunale di Como, pronunciato a seguito di vendita giudiziaria, chiese che venisse accertata l’insussistenza di qualsivoglia diritto del C. di procedere esecutivamente nei suoi confronti.

Espose che il cespite, acquistato da lei e dal marito M. M., le era stato assegnato nel corso del giudizio di separazione, quale affidataria dei figli minori; che, rimaste impagate alcune rate di mutuo, la Banca Popolare di Sondrio, istituto mutuante, lo aveva sottoposto a pignoramento e fatto vendere giudizialmente;

che il decreto di trasferimento, emesso in favore del C., non legittimava tuttavia l’aggiudicatario ad agire per il rilascio, atteso che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale risultava trascritto prima della trascrizione del pignoramento.

Disposta la sospensione dell’esecuzione, si costituì C. A., eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza nel merito dell’opposizione.

Peraltro, a seguito di istanza proposta dall’aggiudicatario, il giudice dell’esecuzione in data 5 luglio 2006, integrò il decreto di trasferimento dell’immobile per cui è controversia, specificando che esso comportava di per sè, in conformità a quanto disposto dall’art. 586 cod. proc. civ., l’obbligo di rilascio a carico del debitore esecutato, quale doveva considerarsi a tutti gli effetti B.L.. Dispose quindi contestualmente la cancellazione della trascrizione del provvedimento presidenziale di assegnazione provvisoria della casa coniugale.

A seguito di tanto, l’8 novembre 2006, B.L. rilasciò l’immobile.

Il giorno dopo nel giudizio intervenne M.M., in proprio e quale esercente la potestà sui figli minori, qualificandosi litisconsorte necessario, ex art. 102 cod. proc. civ. o interveniente volontario, ex art. 105 cod. proc. civ. e facendo proprie le istanze formulate dalla B. nell’atto introduttivo.

Con sentenza del 13 maggio 2008 il giudice adito ha dichiarato cessata la materia del contendere tra B.L. ed C. A., compensando integralmente tra le parti le spese, mentre ha dichiarato inammissibile l’intervento di M.M., per l’effetto condannando lo stesso al pagamento degli oneri di causa.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre ex art. 111 Cost., M.M., formulando cinque motivi con pedissequi quesiti e notificando l’atto a B.L. e ad C. A..

Solo quest’ultimo ha notificato controricorso. Il ricorrente ha altresì depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 102, 105, 615 cod. proc. civ., artt. 155, 159, 2644, 2915, 2919 e 2923 cod. civ., nonchè della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6.

Le critiche hanno ad oggetto l’affermazione secondo cui il M. si era costituito in giudizio con un atto ibrido, denominato comparsa di costituzione/atto di intervento, lasciando in definitiva al giudice il compito di qualificarlo.

Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal decidente, egli aveva dedotto sia la sussistenza nella fattispecie di un’ipotesi di litisconsorzio necessario, sia la ricorrenza di un’ipotesi di intervento autonomo, e tanto in ragione della sua legittimazione ad agire, ex art. 1551 cod. proc. civ., per le decisioni di maggiore interesse per i figli, tra le quali rientrava certamente quella concernente l’assegnazione della casa coniugale.

In tale contesto la costituzione in giudizio di M.M., anche a volere ritenere applicabile ai rapporti parentali sottesi al giudizio il vecchio testo della norma codicistica richiamata, era avvenuta nella spendita della legittimazione ad agire riconosciuta al genitore non affidatario per opporsi a decisioni da lui ritenute pregiudizievoli all’interesse dei figli minori. Ha aggiunto che, peraltro, nel momento in cui il M. era intervenuto, era già in vigore il nuovo testo dell’art. 155 cod. civ. il quale prevede che la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i coniugi.

1.2 Con il secondo motivo l’impugnante torna a denunciare violazione degli artt. 102, 105, 615 cod. proc. civ., artt. 155, 159, 2644, 2915, 2919 e 2923 cod. civ., L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6.

Le censure hanno ad oggetto l’affermazione secondo cui la pronuncia di cessazione della materia del contendere precludeva ogni iniziativa processuale del M., atteso che il relativo intervento andava qualificato come adesivo dipendente. Così argomentando il decidente non avrebbe considerato che i veri destinatari del provvedimento di assegnazione erano i minori, nel cui esclusivo interesse esso era stato adottato. In tale prospettiva i figli, titolari di una situazione giuridica soggettiva relativa alla casa di abitazione, erano litisconsorti necessari o, quanto meno, legittimati a spiegare intervento autonomo nel processo di opposizione all’esecuzione proposto dalla madre.

1.3 Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., art. 2697 cod. civ., con riferimento all’assunto del giudice di merito secondo cui, nel momento in cui il M. era intervenuto, l’opponente aveva già di fatto rinunciato alla propria domanda, avendo rilasciato l’immobile. L’affermazione sarebbe assolutamente apodittica, in quanto priva di riscontro probatorio in ordine alla data in cui il rilascio era avvenuto, e comunque errata, nella parte in cui si assumeva che, a seguito del rilascio, la causa avrebbe dovuto essere cancellata dal ruolo.

1.4 Con il quarto mezzo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 155 cod. civ., artt. 100, 102, 105 e 615 cod. proc. civ., con riferimento all’intervenuta declaratoria di cessazione della materia del contendere. Sostiene che il giudice di merito non poteva emettere tale pronuncia, in ragione dell’interesse del M. ad ottenere la sentenza originariamente chiesta dalla B., ex art. 155 cod. civ..

1.5 Con il quinto motivo lamenta violazione dell’art. 155 cod. civ., artt. 100, 102, 105 e 615 cod. proc. civ.. Ribadisce che, in ogni caso, non sussistevano le condizioni per dichiarare cessata la materia del contendere, non avendo le parti originarie presentato conformi conclusioni, segnatamente quanto alle circostanze che avevano determinato il rilascio, avendo la B. sostenuto che allo stesso si era determinata in ragione dei ripetuti accessi dell’ufficiale giudiziario, e il C. che il rilascio era stato spontaneo.

2 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondate.

Mette conto evidenziare che il giudice di merito, in ordine alla declaratoria di cessazione della materia del contendere, ha rilevato che essa si era resa ineludibile, dopo che la B. aveva rilasciato il bene e che entrambe le parti originarie avevano manifestato la volontà di abbandonare il giudizio.

Ha poi esplicitato, quanto all’intervento spiegato dal M., che questi non poteva essere qualificato nè litisconsorte necessario dell’esecutato, vertendosi in tema di esecuzione per rilascio, procedimento che può essere instaurato solo a carico del detentore dell’immobile, e cioè di B.L., unica assegnataria del cespite, nè interveniente autonomo ex art. 105 cod. proc. civ., comma 1.

E invero, quanto alla sua costituzione in proprio, l’interesse al mantenimento dell’assegnazione, in ragione dell’aumento dell’assegno di mantenimento che inevitabilmente sarebbe conseguito al rilascio, costituiva un interesse di mero fatto, inidoneo a sorreggere un intervento volto a far valere, in confronto di alcuna delle parti, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto in giudizio.

Quanto invece alla costituzione del M. nell’interesse dei figli, egli, in quanto genitore non affidatario, non aveva alcuna legittimazione ad agire in giudizio in nome e per conto dei minori.

In ogni caso, nel momento in cui l’intervento era stato spiegato, l’opponente aveva già di fatto rinunciato alla propria domanda, avendo provveduto al rilascio dell’immobile.

L’intervento del M. doveva quindi essere qualificato come intervento adesivo dipendente, con conseguente preclusione di ogni possibilità di prosecuzione del processo, a iniziativa dello stesso, una volta che le parti del rapporto principale avevano deciso di porvi fine.

3 Ritiene il collegio che le argomentazioni svolte dal giudice di merito a sostegno della scelta decisoria adottata, corrette sul piano logico e giuridico, resistano alle critiche svolte in ricorso.

Queste muovono da un errore prospettico di fondo: che cioè il peso indubbiamente assai rilevante che, nell’assegnazione della casa coniugale, ha la preferenza accordata al coniuge cui vengano affidati i figli, come prescriveva l’art. 155 cod. civ., comma 4, nel testo antecedente alle modifiche introdotte dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, e come continua a prescrivere l’art. 155 quater c.c., comma 1, allorchè avverte che il godimento della casa coniugale è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli, comporti una sorta di contitolarità dell’assegnazione stessa, in capo ai figli, con conseguente, possibile cogestione dei rapporti tra assegnatario e coniuge separato o ex coniuge, in nome e per conto della prole, con il proprietario dell’immobile.

Ma così non è.

Assegnatario dalla casa è e resta l’uno o l’altro coniuge, tanto vero che, ove si tratti di immobile locato, il provvedimento di assegnazione della casa familiare determina la cessione ex lege del relativo contratto di locazione a favore del coniuge assegnatario e l’estinzione del rapporto in capo al coniuge che ne era originariamente conduttore o coconduttore con l’altro (confr. Cass. civ. 30 aprile 2009, n. 10104).

Ne deriva che il coniuge non assegnatario può interloquire sulla localizzazione della residenza familiare come decisione di particolare interesse per i figli, ma non ha titolo giuridico per opporsi al rilascio coattivamente preteso, ne in nome proprio, nè in nome e per conto dei figli minori.

In tale contesto correttamente il giudice di merito ha qualificato l’intervento del M. come adesivo dipendente e, considerato il momento processuale in cui era stato spiegato, l’ha dichiarato inammissibile. Non è superfluo aggiungere che gli interessi di mero fatto di cui è portatore il ricorrente comportano che nessuna legittimazione egli ha a contestare la sussistenza dei presupposti per la declaratoria di cessazione della materia del contendere tra l’opponente e l’opposta. Il ricorso è respinto.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00 (di cui Euro 3.000,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 22 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2011

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