Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17371 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 08/04/2021, dep. 17/06/2021), n.17371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24998-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PITBUL SRL, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE GIULIO CESARE 14

A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BRUNO GIAMPAOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5702/2016 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA

SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 07/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

08/04/2021 dal Consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1.1 L’agenzia delle entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 5702/67/2016 del 7.11.2016, con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione notificato alla Pitbul srl in recupero di imposta proporzionale (3%) di registro sul decreto n. 439/11 con il quale il Tribunale dei Brescia aveva omologato il concordato fallimentare della Fonderia (OMISSIS) spa, nel quale Pitbul srl aveva funto da terzo assuntore.

La commissione tributaria regionale, in particolare, dopo aver premesso che l’avviso di liquidazione “avrebbe dovuto opportunamente (ma anche doverosamente) indicare come si otteneva la somma di 102.000 Euro richiesta in pagamento, anche con la semplice indicazione dell’aliquota d’imposta e della somma sulla quale essa veniva applicata”, ha osservato che:

– la proposta concordataria prevedeva la cessione a Pitbull dell’attivo fallimentare per l’importo di Euro 3.214.193,00, a fronte della messa a disposizione della curatela, da parte della società, dell’importo di Euro 3.400.000,00 con il quale pagare, unitamente alle disponibilità liquide già in possesso della procedura, gli oneri in prededuzione, i crediti privilegiati ed i chirografari nella percentuale del 35%;

– diversamente da quanto sostenuto dall’agenzia delle entrate, il decreto di omologa del concordato, come evincibile dal nuovo regime di cui alla L. fal., art. 130, non costituiva atto traslativo di definizione del procedimento tassabile in misura proporzionale (D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa I parte all., art. 8, lett. a)), bensì atto meramente accertativo della regolarità formale e sostanziale dell’accordo concordatario, con conseguente fondatezza della tesi della società contribuente la quale aveva sottoposto il decreto in questione a tassazione in misura fissa (art. 8 lett. g) cit.);

questa considerazione assorbiva ogni altro aspetto di causa, comprese le eccezioni della società contribuente secondo cui il decreto di omologa in questione (riferito espressamente alla proposta iniziale del 7 ottobre 2010 e non alla proposta integrativa del successivo 15 novembre) non aveva comportato alcun effettivo trasferimento di beni in capo ad essa.

La Società Lombarda di Revisione srl – “quale successore di Pitbul srl società cancellata dal registro delle imprese di Brescia in data 25 novembre 2016 (come da visura allegata sub 6)) essendone stata socia al 75% del capitale, in virtù di ricevuto mandato fiduciario” – resiste con controricorso, eccependo preliminarmente la tardività del ricorso per cassazione avversario in quanto notificato (23 ottobre 2017) oltre il termine “lungo” di sei mesi dal deposito della sentenza, pur tenendosi conto della sospensione (dal 24 aprile al 30 settembre 2017) di cui al D.L. n. 50 del 2017, art. 11, comma 9, conv. in L. n. 96 del 2017, sulla definizione delle liti fiscali pendenti (comportante un termine ultimo di impugnazione al 13 ottobre 2017).

p. 1.2 L’eccezione di tardività del ricorso per cassazione è infondata.

In difformità dall’interpretazione sostenuta dalla società controricorrente, secondo cui il termine di impugnazione scadente nel periodo ricompreso tra il 24 aprile 2017 (entrata in vigore del D.L. n. 50 del 2017) ed il 30.9.17 rimarrebbe sospeso fino a quest’ultima data, per poi riprendere a decorrere per il suo residuo non consumato (criterio proprio della ordinaria sospensione feriale), è da ritenere che la sospensione legale in questione comporti invece il cumulo del termine ex art. 327 c.p.c. (se scadente in quell’arco temporale) con quello di sei mesi di cui alla disposizione in esame.

Stabilisce il D.L. n. 50 del 2017, art. 11, comma 9, cit: “Per le controversie definibili sono sospesi per sei mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione che scadono dalla data di entrata in vigore del presente articolo fino al 30 settembre 2017”.

In sostanza, la sola scadenza del termine “ordinario” ex art. 327 c.p.c. tra il 24 aprile ed il 30 settembre 2017 ne determina (per le liti definibili) il prolungamento “cumulativo” per sei mesi.

Deve dunque ritenersi corretta l’interpretazione fornita dall’amministrazione finanziaria con la Circ. 28 luglio 2017, n. 22/E, secondo la quale: “La durata della sospensione è predeterminata in sei mesi, che si aggiungono al termine di scadenza calcolato secondo le ordinarie regole processuali, ivi incluse quelle relative al periodo – dal 1 al 31 agosto – di sospensione feriale. Inoltre, la durata della sospensione resta pari a sei mesi anche nei casi in cui si sovrapponga al periodo di sospensione dei termini feriali”.

La circolare risulta corretta anche là dove esclude che al prolungamento semestrale del termine conseguente alla sospensione legale per la definizione della lite si cumuli l’ulteriore periodo di sospensione feriale, nella specie ricompreso nel semestre di sospensione.

Questa lettura della norma risulta conforme a quanto altre volte affermato da questa corte di legittimità (sebbene con riguardo ad altre ipotesi normative di “condono”, ma sulla base di disposizioni analogamente strutturate), circa l’esclusione del cumulo feriale, salva l’ulteriore protrazione nel solo caso in cui il termine “prorogato” di impugnazione venga a scadere all’interno del periodo feriale stesso o successivamente: “In tema di definizione agevolata delle liti fiscali ex D.L. n. 98 del 2011 art. 39, comma 12, conv. in L. n. 111 del 2011, il periodo di sospensione legale (dal 6 luglio 2011 al 30 giugno 2012) del termine per impugnare di cui all’art. 327 c.p.c. non si cumula col periodo di sospensione feriale (dal 1 agosto al 15 settembre 2011), essendo quest’ultimo già interamente assorbito dalla concorrente sospensione stabilita in via eccezionale. Se, per effetto di quest’ultima sospensione, il termine effettivo d’impugnazione dovesse scadere nel periodo di sospensione feriale dal 1 agosto al 15 settembre 2012 o in data successiva a tale periodo, la scadenza del termine stesso deve essere ulteriormente spostata secondo le regole ordinarie in materia di sospensione feriale” (Cass. n. 10252/20); e così già Cass. n. 5924/10: “Ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 6, secondo periodo, nel computo del termine lungo per proporre impugnazione avverso le sentenze relative a controversie tributarie suscettibili di essere definite ai sensi dell’articolo citato, il periodo di sospensione feriale dell’anno 2003 (1 agosto – 15 settembre) ricadente nella più ampia fase di sospensione stabilita in via eccezionale dalla norma in esame (1 gennaio 2003-1 giugno 2004), resta in essa assorbito e non deve, quindi, ulteriormente computarsi”.

Va poi considerato che il termine semestrale di sospensione legale ex art. 11, comma 9, cit. – preordinato a favorire l’accesso all’istituto della definizione – viene dalla legge riconosciuto, senza distinzione alcuna, a tutte le parti della lite definibile, dunque tanto al contribuente quanto all’amministrazione finanziaria, e tanto che si tratti di impugnazione principale quanto che si verta di impugnazione incidentale; inoltre, di esso le parti si avvalgono appunto quale regime legale ed “automatico”, non già a seguito e per effetto dell’esercizio di un’opzione necessitante di dichiarazione preventiva di sorta.

Diverso regime, derogatorio alla sospensione ope legis, è espressamente previsto per la specifica ipotesi nella quale in pendenza del termine per impugnare venga richiesta la definizione della lite e tale richiesta venga respinta dall’amministrazione; nel qual caso, il (solo) contribuente è ammesso ad impugnare, unitamente al diniego di definizione, anche la pronuncia giurisdizionale nel termine di sessanta giorni dalla notifica del diniego stesso (D.L. cit., art. 11, comma 10).

Nel caso in esame (nel quale l’astratta definibilità della lite non è contestata neppure dalla società controricorrente) la sentenza della CTR (non notificata) è stata depositata il 7.11.16, con decorso dei sei mesi ex 327 c.p.c. fino al 7.5.17; essendo quest’ultima data ricompresa tra l’entrata in vigore del D.L. n. 50 del 2017 cit. ed il 30.9.17, operano i sei mesi di sospensione D.L. cit. ex art. 11, comma 9, con conseguente sua scadenza al 7.11.17 (ricorso per cassazione notificato il 23.10.17).

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa prima parte, art. 8.

Ciò perchè il decreto di omologazione del concordato fallimentare in questione prevedeva nel suo contenuto essenziale (riportato nel ricorso per ragioni di autosufficienza) il trasferimento alla Pitbul, in qualità di assuntore, di tutti i beni e le azioni compresi nell’attivo fallimentare, con conseguente applicabilità dell’imposta proporzionale (3%) ai sensi dell’art. 8, lett. a) tariffa cit., non già dell’imposta in misura fissa genericamente prevista per i provvedimenti di “omologazione” di cui alla lett. g) della stessa disposizione tariffaria.

p. 2.2 Il motivo è fondato.

La proposta concordataria (riportata nel ricorso per cassazione) aveva ad oggetto, già nella versione iniziale del 7.10.2010, la cessione dell’attivo fallimentare (beni mobili, immobili ed azioni già autorizzate) alla Pitbul in veste di assuntore, secondo quanto previsto dalla L. fall., art. 124, u.c.; a fronte di tale cessione, quest’ ultima metteva infatti a disposizione della curatela la liquidità costituente il fabbisogno concordatario (in aggiunta alla disponibilità liquida già a mani del curatore) per il previsto pagamento della prededuzione, del privilegio e del 35 % del chirografo.

Si trattava, appunto, di cessione dei beni ad un terzo assuntore, e non di un mero mandato fiduciario a vendere conferito dalla procedura alla Pitbul secondo lo schema contrattuale tipico della cessio bonorum ex art. 1977 c.c..

A nulla rileva che il fabbisogno liquido concordatario potesse eventualmente (facoltativamente) essere costituito dal ricavato della vendita (direttamente dalla procedura fallimentare ad un terzo) dell’immobile acquisito all’attivo fallimentare e, come tale, messo a disposizione dell’assuntore; questa messa a disposizione confermava infatti l’avvenuta assegnazione dello stesso immobile a favore di Pitbul, salvo l’eventuale esercizio da parte di quest’ultima della “facoltà” di operarne la realizzazione per il tramite diretto della procedura fallimentare (ma pur sempre a favore del soggetto e per il corrispettivo da essa indicati alla procedura: così la clausola C) della proposta concordataria omologata).

Nè rileva il fatto che l’atto di alienazione al terzo acquirente risultasse a sua volta tassabile, diversi essendo – all’evidenza – i presupposti dell’imposizione dell’omologa da quelli della alienazione del bene ad un terzo estraneo alla assunzione concordataria.

L’imposta da applicare era dunque effettivamente quella proporzionale di cui alla tariffa, art. 8, lett. a), mentre l’imposta fissa di cui alla lett. g) presupponeva l’assenza di qualsivoglia effetto traslativo conseguente alla omologa.

E’ dunque errata l’affermazione della commissione tributaria regionale secondo cui, alla luce della disciplina di cui alla L. fall., art. 130, rinveniente dalle modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 5 del 2006 a decorrere dal 16 luglio del 2006, il decreto di omologa non costituirebbe più “atto che definisce il procedimento”, atteso che è pur sempre dal decreto che scaturiscono gli effetti traslativi a favore del terzo assuntore.

Si è in proposito osservato (Cass. n. 3286/18) che: “in tema d’imposta di registro, il decreto di omologa del concordato fallimentare con intervento di terzo assuntore deve essere tassato in misura proporzionale ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa, parte prima, allegata, art. 8, lett. a), in ragione degli effetti immediatamente traslativi del provvedimento, con il quale il terzo assuntore acquista i beni fallimentari, senza che assuma conseguentemente rilevanza il generico e nominalistico riferimento agli “atti di omologazione” contenuto nella lett. g) del detto articolo”.

Con questa pronuncia si è posto in evidenza come, a differenza della cessione dei beni ai creditori, il terzo assuntore acquisti i beni fallimentari già con l’omologa del concordato, essendo gli eventuali successivi provvedimenti del giudice delegato atti meramente esecutivi (Cass. 15716/2002, Cass. 8832/2007, Cass. 4863/2010, Cass. 6643/2013).

Si rende dunque applicabile il D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa parte I, art. 8, disposizione che prevede l’imposta fissa per gli atti di pura omologazione di cui alla lett. g), mentre, nella specie, all’omologa si sovrappone un trasferimento di diritti, da tassare come tale in via proporzionale ai sensi della lett. a) art. cit..

Non si disconosce che in un precedente di legittimità (Cass. 11585/2007) si sia in effetti giustificata la tassazione fissa in base al “criterio nominalistico” riveniente dall’art. 8, lett. g) (cioè per il generico e letterale riferimento di questa disposizione agli atti “di omologazione”, ma detto precedente concerneva appunto un concordato senza immediato effetto traslativo (concordato con garanzia), del quale pertanto la Corte ha dovuto constatare l’estraneità alla previsione dell’art. 8, lett. a). Adottando il criterio nominalistico in senso puramente residuale, cioè allorquando all’atto nominato come “omologazione” non siano riconducibili effetti traslativi autonomamente inquadrabili, il precedente in questione consente esso stesso di escludere dall’ambito applicativo di quel criterio la presente fattispecie, perchè al contrario caratterizzata da effetti traslativi propri (così la proposta concordataria Pitbul srl su richiamata). Il che si pone, del resto, in linea col principio generale che riferisce l’imposizione di registro agli “effetti giuridici” dell’atto, piuttosto che al relativo “titolo” (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20).

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – violazione dell’art. 112 c.p.c..

Per avere la Commissione Tributaria Regionale sostenuto (ancorchè tale affermazione non integrasse una vera e propria ragione decisoria, quanto un obiter) la mancata specificazione dell’avviso opposto in ordine al criterio di determinazione dell’importo liquidato, nonostante che la società contribuente avesse inammissibilmente dedotto questo profilo per la prima volta in appello.

p. 3.2 Il motivo è inammissibile.

La stessa agenzia delle entrate riconosce infatti che non si è trattato di una ragione decisoria suscettibile di autonoma impugnazione, quanto di un mero obiter dictum; e ciò si spiega proprio con il fatto che la società contribuente non aveva formulato, nel ricorso originario, alcuno specifico motivo sulla carenza di motivazione dell’avviso opposto. Si è in effetti trattato di una dissertazione incidentale della CTR, la cui decisione sul merito dell’imposizione e sulla tariffa applicabile denota, al contrario, il superamento dell’argomento costituito dalla motivazione dell’avviso medesimo.

La stessa società contribuente (controric.pag.9) afferma in proposito quanto segue: “la deducente dà atto che quello succitato non era un motivo di impugnazione su cui Pitbul aveva chiesto alla CTR di pronunciarsi”.

In accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza va in definitiva cassata; non essendoci la necessità di svolgere accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito mediante rigetto del ricorso originario della società.

Le spese dell’intero giudizio vengono compensate in ragione della peculiarità della fattispecie e del definitivo consolidarsi in corso di causa del su riportato indirizzo interpretativo.

PQM

La Corte:

– accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della società contribuente;

– compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, riunitasi con modalità da remoto, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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