Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17370 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/07/2010, (ud. 17/06/2010, dep. 23/07/2010), n.17370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A.;

– intimata –

e sul ricorso n. 30994/2006 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GLORIOSO

13, presso lo studio dell’avvocato BUSSA LIVIO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati RAFFONE NINO, VITALE ALIDA, giusta

delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega a margine del

ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1515/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 15/10/2005 R.G.N. 1241/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2010 dal Consigliere Dott. ZAPPIA Pietro;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e assorbimento dell’incidentale.

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Torino, depositato il 16.2.2005, C.A., assunta dalla societa’ Poste Italiane s.p.a. con contratto a tempo determinato dal 2.10.2000 al 31.1.2001 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, rilevava la illegittimita’ dell’apposizione del termine al contratto in questione di talche’, essendo stata l’assunzione illegittima, il contratto si era convertito in contratto a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimita’ del termine apposto al predetto rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della societa’ al risarcimento del danno.

Con sentenza depositata in data 10.5.2005 il Tribunale adito accoglieva la domanda e dichiarava la natura a tempo indeterminato del rapporto in questione condannando la societa’ convenuta al ripristino del rapporto ed al pagamento in favore della ricorrente della retribuzione, con accessori.

Avverso tale sentenza proponeva appello la societa’ Poste Italiane s.p.a lamentandone la erroneita’ sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 4.10.2005, rigettava il gravame.

In particolare la Corte territoriale rilevava che il contratto in questione, stipulato per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione, non conteneva alcuna indicazione in ordine alla effettiva esistenza di esigenze di carattere straordinario e temporaneo concretamente riferibili alla assunzione predetta.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Poste Italiane s.p.a con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la lavoratrice intimata, che propone altresi’ ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo di gravame.

La societa’ resiste a sua volta con controricorso al detto ricorso incidentale.

La stessa ha altresi’ depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. dei due ricorsi perche’ proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo di gravame la ricorrente principale lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23;

violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. (art. 360 c.p.c., n. 3); contraddittoria ed omessa pronuncia in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che, al fine di giustificare l’apposizione del termine ai contratti stipulati ai sensi della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e del successivo art. 8 del CCNL del 26 novembre 1994, cosi’ come integrato con l’accordo collettivo del 25 settembre 1997, fosse richiesta non solo l’esistenza di una fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti, ma anche la prova della sussistenza di specifiche “esigenze eccezionali” che fossero diretta conseguenza proprio di quella ristrutturazione.

Osserva il Collegio che il suddetto motivo di gravame e’ infondato e deve essere pertanto rigettato, anche se la motivazione della sentenza merita di essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte di Cassazione (Cass. sez. lav., 29.7.2009 n. 17651; Cass. sez. lav., 23.6.2009 n. 14657; Cass. sez. lav., 27.2.2009 n. 4840; Cass. sez. lav., 7.3.2005 n. 4862; Cass. sez. lav., 26.7.2004 n. 14011), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ai sensi della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessita’ del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessita’ di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato. “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 4.8.2008 n. 21062; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

Non puo’ pertanto condividersi la motivazione della Corte territoriale la quale ha posto a fondamento della propria statuizione l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali. La sentenza si muove quindi erroneamente nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, e cio’ e’ in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588.

Il ricorso tuttavia non puo’ trovare accoglimento.

Invero nel quadro sopra delineato, ove pero’ un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (e la Corte territoriale ha rilevato che, comunque, le parti sociali avevano convenuto di ritenere il perdurare delle condizioni sottese alla apposizione del termine “fino” al 30.4.1998), la sua inosservanza determina la nullita’ della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre, Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18383; Cass. sez. lav., 14.4.2005 n. 7745; Cass. sez. lav., 14.2.2004 n. 2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha piu’ volte affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimita’ delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 1.10.2007 n. 20608; Cass. sez. lav., 27.3.2008 n. 7979; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (Cass. sez. lav., 29.7.2005 n. 15969; Cass. sez. lav., 21.3.2007 n. 6703), va confermata la nullita’ della apposizione del termine al contratto de quo, concluso, ex art. 8 CCNL 1994 e accordo collettivo 25.9.1997, successivamente al 30.4.1998, restando assorbita ogni ulteriore censura sul punto.

Ne’ puo’ ritenersi la valenza meramente ricognitiva degli accordi attuativi posteriori all’accordo del 25.9.1997. Ed invero, partendo dal principio sopra indicato, della esistenza di una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, questa Corte, dopo aver ribadito la legittimita’ della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate quelle decisioni dei giudici di merito nella parte in cui hanno affermato la natura meramente ricognitiva dei c.d. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui per far fronte alle predette esigenze si potra’ procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98 (cfr. accordo del 16 gennaio 1998); cio’, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, e’ precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr, ex plurimis, Cass. sez. lav., 28.8.2003 n. 12245; Cass. sez. lav., 25.8.2003 n. 12453).

La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’ari 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziche’ in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la conseguenza che gli accordi attuativi, cosi’ definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (cosi’ testualmente Cass. sez. lav., 14.2.2004 n. 2866).

La giurisprudenza di questa Corte ha, infine, ritenuto l’irrilevanza dell’accordo del 18.1.2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioe’ quando il diritto del soggetto si era gia’ perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione e’ comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilita’ dei diritti dei lavoratori gia’ perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non piu’ legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (in tal senso, Cass. sez. lav., 27.3.2008 n. 7979; Cass. sez. lav., 12.3.2004 n. 5141).

Col secondo motivo di gravame la ricorrente principale lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 1372 c.c., comma 1, art. 1362 c.c., comma 2, e art. 2697 c.c., ed art. 115 c.p.c.) nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Rileva in particolare che erroneamente, la Corte territoriale aveva rigettato, con motivazione comunque insufficiente, l’eccezione di scioglimento del rapporto per effetto di mutuo consenso: cio’ in quanto la inerzia del lavoratore protrattasi per un cospicuo lasso di tempo dopo la scadenza del termine illegittimamente apposto al contratto, costituisce implicita manifestazione di consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Neanche tale motivo puo’ trovare accoglimento.

Ed invero, secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte (cfr, in particolare, Cass. 17.12.2004 n. 23554) nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un rapporto (o di un unico rapporto) di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la configurabilita’ di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso e’ necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione del contratto (o dell’ultimo contratto) a termine, nonche’ alla stregua delle modalita’ di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volonta’ delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimita’ se non sussistono vizi logici o errori di diritto. Orbene, nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che l’intervallo di un certo lasso di tempo fra la cessazione del rapporto e l’atto di costituzione in mora non consentiva di ritenere, in assenza di qualsiasi altra circostanza univoca, l’esistenza di una volonta’ chiara e certa di dismissione del rapporto, atteso che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non era sufficiente a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso; ne’ alcuna indicazione in tal senso poteva ricavarsi dal rinvenimento di altra occupazione, stante la necessita’ di procurarsi un reddito e, comunque, di limitare le conseguenze dannose dell’illegittima cassazione del rapporto di lavoro con le Poste. E tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso.

Ne consegue che neanche sotto questo profilo il ricorso puo’ trovare accoglimento.

Il gravame proposto dalla societa’ Poste Italiane s.p.a. va pertanto rigettato, ed in tale pronuncia rimane assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto dalla lavoratrice. A tale pronuncia segue la condanna della ricorrente principale al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; condanna la ricorrente principale alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 33,00 oltre Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 17 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

 

 

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