Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1737 del 25/01/2011

Cassazione civile sez. III, 25/01/2011, (ud. 10/12/2010, dep. 25/01/2011), n.1737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA G. Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.F. (c.f. (OMISSIS)) e P.L. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in Roma, Via Ofanto n.

n. 18, presso lo studio dell’avv. Guido Liuzzi, rappresentati e

difesi dall’avv. CARDOSO Claudio giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

M.F. (c.f. (OMISSIS)), S.A. (c.f.

(OMISSIS)) e M.S. (c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in Roma, Via Monte Zebio n. 30, presso lo

studio dell’avv. CAMICI Giammaria, che li rappresenta e difende

unitamente agli avv.ti Giovanni Marconi e Fabrizio Brachini giusta

delega in atti;

– controricorrenti ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 1509/05

decisa in data 12 aprile 2005 e depositata in data 31 ottobre 2005.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Giancarlo Urban;

udito l’avv. Marco Attanasio per delega dell’avv. Claudi Cardoso;

udito l’avv. Claudio Camici per delega dell’avv. Giammaria Camici;

udito il P.M., in persona del Cons. Dott. FEDELI Massimo, che ha

concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 21 dicembre 1994, M.F., S.A. e M.S., rispettivamente genitori e sorella del defunto M.M., convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Grosseto P.L. e P.F. perchè fossero dichiarati responsabili della morte del loro congiunto ai sensi dell’art. 2050 c.c.; esponevano che il M., nel tentativo di regolare il funzionamento di una forca per il prelevamento del letame collegata ad un trattore, e in particolare, nello sfilare lo spinotto di collegamento del pistone idraulico di azionamento della forca per poi riposizionarlo, si era procurato le gravissime lesioni, che otto giorni dopo lo avevano portato alla morte, rimanendo con la testa schiacciata tra i due bracci a compasso della macchina.

Con sentenza del 25 febbraio 2002 il Tribunale di Grosseto – sezione stralcio, in accoglimento della domanda, dichiarava i convenuti responsabili della morte del M. e li condannava al risarcimento dei danni, limitandone l’ammontare a Euro 800,00, a titolo di danno biologico attribuito jure hereditatis, oltre interessi al tasso annuo del 4% dalla data del sinistro al saldo. Accertando la sussistenza della responsabilità ex art. 2050 c.c., il Tribunale giudicava pericolosaa l’attività in quel momento svolta dalla vittima, che utilizzava un macchinario di proprietà dei P., valutato potenzialmente pericoloso.

Con sentenza pubblicata in data 31 ottobre 2005 la Corte d’Appello di Firenze, in riforma della sentenza impugnata, accoglieva parzialmente l’appello e liquidava in favore dei genitori della vittima, M. F. e S.A., l’importo di Euro 80.000 ciascuno e di Euro 40.000,00 in favore della sorella M.S., a titolo di danno non patrimoniale; condannava inoltre i sigg. P. in solido al pagamento dell’importo di Euro 4.000,00 in favore di predetti, quali eredi del defunto M.M., oltre interessi e spese del doppio grado.

Propongono ricorso per cassazione P.F. e P.L. con due motivi.

Resistono con controricorso M.F., S.A. e M. S., che hanno anche proposto ricorso incidentale.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto relativi alla stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2043 c.c., in relazione alla ripartizione dell’onere della prova in tema di risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale, mancando del tutto ogni elemento di prova utile a ricostruire l’esistenza di un “rapporto di cortesia” tra le parti.

Con il secondo motivo si denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alla valutazione della cosiddetta colpa omissiva.

I due motivi vanno trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.

Si deve premettere che i ricorrenti P.F. e P. L., tratti a giudizio per omicidio colposo, ottennero sentenza di applicazione di pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p..

La sentenza impugnata, decidendo in modo parzialmente difforme da quella di primo grado, ha fondato al responsabilità dei fratelli P. sulla ipotesi prevista dall’art. 2043 c.c., escludendo l’applicabilità della disciplina per le attività pericolose di cui all’art. 2050 c.c., in ragione della sporadicità dell’intervento del M. sulla macchina agricola, il quale si sarebbe spontaneamente indotto a prestare il proprio ausilio in via del tutto occasionale e non programmata. Non è infatti contestata la circostanza che le operazioni svolte sulla forca idraulica furono effettuate dal M. in presenza dei fratelli P. che intendevano utilizzare la macchina in questione sullo stesso fondo in cui si trovavano, di loro proprietà.

La responsabilità a carico dei fratelli P., secondo la Corte d’Appello, sarebbe conseguente alla intrinseca rischiosità dell’operazione (poichè il disinserimento della spinotto della forca idraulica avrebbe richiesto che la benna fosse adagiata al suolo ovvero fosse appoggiata in modo stabile su un rialzo) che avrebbe richiesto l’intervento degli stessi per adottare tutte le cautele idonee a scongiurare l’evento dannoso.

Le censure trattate dai ricorrenti riguardano sia il richiamo al principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c., sotto il profilo che esso non comprende anche un generale e incondizionato dovere di attivarsi a protezione dei diritti dei terzi mediante l’interruzione di serie causali sviluppate al di fuori della propria sfera, a meno che non esista uno specifico obbligo giuridico derivato dalla legge ovvero da uno specifico rapporto esistente tra le parti (soggetto chiamato a rispondere e danneggiato); sia sotto il profilo della esistenza di una “relazione di cortesia”, in quanto non risulterebbe affatto provato che il M. sarebbe stato indotto ad effettuare la manovra sul macchinario a seguito di una più o meno esplicita richiesta dei fratelli P..

In effetti la sentenza impugnata non prende posizione sulla individuazione del soggetto che prese l’iniziativa, ma ha ritenuto accertata la presenza dei P. sia alle manovre effettuate dal M., sia all’evento lesivo. Da tale situazione, che emergerebbe in modo incontroverso, si desume che il M. non intervenne certamente all’insaputa dei due ricorrenti e che le manovre furono compiute sulla forca idraulica verosimilmente su richiesta degli stessi e, in ogni caso, con l’accettazione, da parte degli stessi, della cooperazione offerta dal M.. Tanto sarebbe sufficiente, secondo la sentenza impugnata, ad attribuire ai due fratelli l’obbligo di “impiegare ogni cura o misura atta a impedire l’evento dannoso, adottando ogni possibile cautela in quanto, come proprie tari e utilizzatori non sporadici della forca spandiletame, ne dovevano conoscere il perfetto funzionamento e le potenzialità pericolose dello smontaggio”.

Richiamando una sentenza di legittimità risalente nel tempo (Cass. 10 gennaio 1971 n. 66) i ricorrenti hanno osservato che “la condotta omissiva in tanto può essere assunta come causa di un evento dannoso in quanto l’omittente abbia violato un obbligo giuridico di impedire l’evento. Ai fini del necessario rapporto di contraddizione tra comportamento e norma, l’indagine non può essere limitata alla ricerca di un generico connotato di non qualificata antidoverosità o riprovevolezza, ma deve tendere alla precisa individuazione di un vero e proprio obbligo di impedire l’evento lamentato, gravante sul soggetto cui si imputa la omissione, cioè di una situazione passiva di lui nei diretti confronti dell’interesse leso, per la quale egli fosse tenuto a prestare un’attività volta a proteggere proprio quell’interesse”.

Più recentemente s’è peraltro chiarito che nell’ordinamento giuridico vigente, pur non esistendo a carico di ciascun consociato un generale dovere di attivarsi al fine d’impedire eventi di danno, vi sono molteplici situazioni dalle quali possono nascere, per i soggetti che vi sono coinvolti, doveri e regole di azione, la cui inosservanza integra la nozione di omissione imputabile e la conseguente responsabilità civile (Cass., n. 21645/05) e che, in relazione alla responsabilità per danni da illecito omissivo, l’obbligo giuridico di impedire il verificarsi di un evento dannoso può sorgere in capo ad un soggetto non soltanto quando una norma o specifici rapporti gli impongano di attivarsi per impedire l’evento, ma anche quando tale obbligo possa derivare in base a principi desumibili dall’ordinamento positivo, non espresso quindi in forme specifiche, con conseguente dovere di agire e di comportamento attivo e configurabilità di responsabilità per omissione (Cass., n. 1211/06).

Non si è così inteso infrangere il principio secondo il quale il precetto dell’alterum non laedere non implica un incondizionato e generale dovere di attivarsi a protezione dei diritti dei terzi esposti ad un pericolo di lesione, ma solo che esistono specifiche situazioni che esigono il compimento di una determinata attività a tutela di un diritto altrui (Cass., n. 14484/04) e che tra tali situazioni ben può rientrare quella della consapevolezza del pericolo cui è esposto un altro soggetto (così Cass., n. 22588/04, in riferimento ad un caso nel quale il proprietario di un’azienda agricola era stato ritenuto responsabile per i danni alla persona subiti dal suo “uomo di fiducia” che aveva l’incarico, durante la vendemmia, di sovrintendere alla raccolta dell’uva e alla pesatura della stessa presso la cantina sociale, per non avergli fornito un idoneo mezzo di trasporto, diverso dal trattore, per i continui spostamenti resi necessari da questa attività).

Ovviamente, non indipendentemente da qualsiasi “contatto sociale”, anche solo occasionale, fra il responsabile ed il danneggiato, ma tutte le volte che il dovere di solidarietà sia adeguatamente qualificato secondo la coscienza sociale del momento storico. Così come, invero, il contatto negoziale è talora idoneo ad ingenerare obblighi di protezione anche nei confronti dei terzi, analogamente quello sociale può consentire l’individuazione del soggetto in capo al quale si rende attuale il dovere di attivarsi per evitare danno a terzi. L’attività doverosa può essere, secondo le circostanze, anche solo informativa (come, ad esempio, in caso di prestito grazioso di un oggetto pericoloso), ovvero concretarsi nel dovere di assicurarsi che il terzo – che a titolo di cortesia si stia adoperando nell’interesse di altro soggetto, manovrando in sua presenza un oggetto pericoloso di cui il soggetto interessato conosca la pericolosità – abbia adottato le precauzioni idonee per la corretta esecuzione della manovra, o che queste siano state comunque poste in essere.

La sentenza impugnata, nel legare l’obbligo giuridico dei fratelli P. di adoperarsi per prevenire ogni conseguenza dannosa della attività svolta dal M., al fatto che essi fossero presenti ai fatti, che fossero consapevoli della rischiosità delle operazioni che venivano compiute e che fossero i beneficiari dell’intervento svolto sulla macchina agricola, non fa altro che applicare in modo coerente e corretto i principi sopra enunciati, nel senso che pur non esistendo uno specifico obbligo di intervento dettata da una singola norma o da un autonomo accordo tra le parti, esisteva tuttavia un generico obbligo di intervento nell’assicurarsi che fossero state adottate tutte le precauzioni previste per la corretta esecuzione della manovra.

Il ricorso principale merita quindi di essere rigettato.

Con il ricorso incidentale si denuncia in primo luogo la violazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 2043 e 2059 c.c., e la omessa e insufficiente motivazione in relazione al criterio di liquidazione del danno non patrimoniale.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2043, 2697, 2727 e 2729 c.c., art. 112 c.p.c. e la omessa, illogica motivazione su un punto decisivo della controversia, ossia sulla mancata liquidazione del danno patrimoniale in favore dei genitori, perchè non provato.

La censure si risolvono in una diversa valutazione degli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio di merito, senza che siano poste in luce carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi. Si deve rilevare che il ricorso per cassazione non può essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito ai diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti. Tali aspetti del giudizio, infatti, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento. Diversamente il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e quindi di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di legittimità (Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087).

In concreto, i ricorrenti incidentali, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, si limitano – in buona sostanza – a sollecitare una diversa lettura delle risultanze di causa, preclusa in questa sede di legittimità.

Anche il ricorso incidentale merita quindi il rigetto; segue la condanna dei ricorrenti principali al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Terza Civile, riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna i ricorrenti principali, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2011

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