Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17369 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/08/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 19/08/2020), n.17369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6744/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12.

ricorrente principale

contro

M.C.L., rappresentato e difeso, giusta mandato in atti,

dall’avv.to Maria Sonia Vulcano, con domicilio eletto presso lo

studio dell’avv.to Claudio Lucisano, in Roma alla via Crescenzio n.

91, che lo rappresenta e difende unitamente al primo;

controricorrente principale – ricorrente incidentale

avverso la sentenza n. 50/31/2012 della CTR del Piemonte n.

depositata il 28/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

25/02/2020 dal Consigliere Dott. ROSITA D’ANGIOLELLA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, nei confronti di M.C.L., per l’anno 2004, e, ritenuto lo scostamento tra il reddito dichiarato e quello determinato sinteticamente, rideterminava il reddito complessivo del nucleo familiare di M.C.L., imputandogli un reddito imponibile di Euro 72.898,19, a fronte dell’altro dichiarato di Euro 20.991,00.

La Commissione tributaria provinciale, ritenendo che il conteggio del reddito effettuato dall’Ufficio “non rispecchiasse la realtà”, a fronte delle giustificazioni addotte dal contribuente, accoglieva il ricorso di M.C.L..

La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, confermando la sentenza di prime cure, sul rilievo che dagli atti non risultava che l’Ufficio avesse esteso l’accertamento all’impresa gestita dal contribuente nè agli anni precedenti a quello oggetto dell’accertamento e che in ogni caso le giustificazioni addotte dal contribuente valevano a superare le presunzioni poste a base dell’accertamento.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidandosi a tre motivi, con i quali lamenta l’erroneità della sentenza impugnata per aver erroneamente applicato le condizioni legittimanti l’accertamento sintetico, il regime dell’onere probatorio per esso applicabile e per avere omesso di esaminare fatti decisivi e controversi per il giudizio.

Resiste con controricorso M.C.L., il quale ha proposto ricorso incidentale, affidato a sei motivi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso principale, la difesa erariale lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, del D.M. 10 settembre 1992, e dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo che, a fronte della presunzione legale derivante dall’accertamento induttivo di cui all’art. 38 D.P.R. cit., il contribuente avrebbe dovuto fornire una prova contraria specifica (e cioè che il maggior reddito fosse collegabile inequivocabilmente alle spese per il mantenimento e l’incremento dei beni indice) e i secondi giudici avrebbero dovuto considerare significativi elementi che, per espressa previsione normativa, costituiscono indice di capacità contributiva; in particolare, i giudici d’appello avrebbero dovuto considerare rilevante il possesso di autovetture nella disponibilità del contribuente, disponibilità mai contestata da M.C.L., in relazione all’annualità in questione. Col secondo motivo deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per aver posto a fondamento della decisione documenti non esibiti dal contribuente in sede amministrativa ma solo in sede contenziosa.

Col terzo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver i secondi giudici ritenuto, apoditticamente, l’idoneità della documentazione bancaria prodotta dal contribuente senza esaminarla specificamente.

Il ricorso è fondato e va accolto tenuto conto degli esiti della giurisprudenza di questa Corte in materia di accertamento sintetico e, segnatamente, delle regole di riparto dell’onere probatorio.

Sebbene a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia, la norma in parola prevede che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.

Non basta, dunque, che il contribuente dia la prova della mera disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), ma è necessaria una prova documentale (soddisfatta anche attraverso l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente) su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere).

In tal senso depone lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso “previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati” (così, in motivazione, Sez. 5, Sentenza n. 8995 del 2014; adde, in senso conforme, Sez. 5, Sentenza n. 25104 del 26/11/2014, Rv. 633514-01). Sulla valenza probatoria della “durata” del possesso delle disponibilità finanziarie, questa Corte ha chiarito che: “In tema di accertamento cd. sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, la prova contraria a carico del contribuente ha ad oggetto non soltanto la disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, in quanto esenti o soggetti a ritenute alla fonte, ma anche la documentazione di circostanze sintomatiche che ne denotano l’utilizzo per effettuare le spese contestate e non altre, dovendosi in questo senso intendere il riferimento alla prova della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso” (Sez. 6-5, Ordinanza n. 7389 del 23/03/2018, Rv. 647497-01; adde, Sez. 6-5, Ordinanza n. 29067 del 2018; Sez. 5, Sentenza n. 34613 del 2019).

Tanto premesso, nella specie la sentenza non fornisce alcuna motivazione sulla prova della durata del possesso dei beni indice; i secondi giudici, con una motivazione ai limiti dell’apparenza, hanno ritenuto “pertinenti e congrui” gli elementi forniti dal contribuente, senza accertare che quest’ultimo avesse fornito idonea prova, tantomeno documentale, della “durata” del possesso dei suddetti redditi esenti, prova necessaria, come sopra evidenziato, a consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi.

La Commissione regionale ha omesso, altresì, di accertare l’utilizzabilità della documentazione non fornita dalla parte in sede precontenziosa (a fronte dell’invio del questionario in data 28 maggio 2009) e di verificare se contestualmente alla proposizione del ricorso introduttivo il ricorrente avesse indicato fondate ragioni per la produzione tardiva della documentazione effettuata solo in sede contenziosa, adempiendo all’onere posto a suo carico dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32.

Quanto alla censura di omesso esame del fatto controverso, di cui al terzo motivo di ricorso, l’evidente incongruenza della sentenza impugnata riguarda il calcolo dei redditi rispetto a quello del nucleo familiare e rispetto alla documentazione che il contribuente aveva l’onere di produrre, omettendosi del tutto di procedere all’esame della stessa, incorrendo così nel vizio denunciato.

Il ricorso principale va, dunque, accolto.

Passando all’esame del ricorso incidentale, esso è infondato.

Con i primi tre motivi M.C.L. chiede la cassazione, con rinvio, della sentenza impugnata per non aver pronunciato sulle censure avanzate in sede di appello quali, in primo luogo, quelle riguardanti la carenza di legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate per non essere stato l’atto di appello sottoscritto dal titolare dell’ufficio o da suo delegato. Essi sono così rubricati: “I. Violazione e mancata applicazione dell’art. 13 della delibera dell’Agenzia delle entrate 13 dicembre 2000 n. 6 (Statuto dell’Agenzia delle entrate), violazione e mancata applicazione dell’art. 5, comma 3 e dell’art. 7, comma 1 delibera 30 novembre 2004 n. 4 (Regolamento dell’Agenzia delle entrate), violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1-bis; violazione e mancata applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 1; denunzia ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, e art. 360 c.p.c., n. 3 –

II. violazione e mancata applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 1; violazione e mancata applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1; denunzia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e art. 360 c.p.c., n. 3 –

III. violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4, comma 2; violazione e mancata applicazione del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, artt. 19 e 53; violazione e mancata applicazione dell’art. 2697 c.c.; denunzia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e art. 360 c.p.c., n. 3”. Con i motivi dal quarto al sesto, deduce una serie di contestazioni fatte nei giudizi di merito e lamenta che l’esame di tali contestazioni non sarebbe stato considerato dal giudice d’appello.

Con riguardo ai primi tre motivi di ricorso incidentale – ritenuti dal ricorrente incidentale, in tesi, potenzialmente assorbenti sulle altre questioni poste col ricorso principale e con gli ulteriori motivi di ricorso incidentale – va chiarito che, siccome il difetto di legittimazione della sottoscrizione dell’atto di appello non è rilevabile d’ufficio (cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 2901 del 31/01/2019), il ricorso incidentale sul punto è condizionato all’accoglimento del ricorso principale (cfr. Sez. U, Sentenze n. 7381 del 25/03/2013 e n. 5456 del 06/03/2009).

Ciò posto, le prime tre doglianze rappresentano frammentazioni di una stessa censura deducendosi con esse che, nonostante le specifiche contestazioni formulate dal contribuente nel giudizio di appello (debitamente ritrascritte dalla pag. 4 e ss. del ricorso incidentale), i secondi giudici nulla hanno detto in ordine alla carenza di legittimazione processuale dell’Agenzia delle entrate per essere stato l’atto di appello sottoscritto in virtù di delega invalida, in quanto non conforme al quadro normativo di riferimento.

Contrariamente a quanto assume il ricorrente incidentale, questa Corte ha ripetutamente precisato, con sequenza giurisprudenziale univoca, che “in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10 e art. 11, comma 2, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale, sicchè è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza” (cfr. Sez. 5, 21/03/2014, n. 6691; adde, tra le altre, Sez. 6-5, 26/07/2016, n. 15470).

E’ stato di recente soggiunto che “nei gradi di merito del processo tributario gli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate, secondo quanto previsto dalle norme del regolamento di amministrazione n. 4 del 2000, adottato ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, sono legittimati direttamente alla partecipazione al giudizio e possono essere rappresentati sia dal direttore, sia da altro soggetto delegato, anche ove non sia esibita in favore di quest’ultimo una specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dallo stesso e ne esprima la volontà” (cfr. Sez. 5, 30/10/2018, n. 27570).

Pertanto, alcun difetto di legittimazione del sottoscrittore dell’atto d’appello per conto dell’Agenzia delle Entrate sussiste avendo l’Agenzia – come ammesso pure dal contribuente nel ricorso incidentale – prodotto l’estratto di ruolo debitamente sottoscritto dal dirigente munito di poteri rappresentativo di cui alla delega del direttore dell’Ufficio Torino 2, così soddisfacendo l’onere di fornire la prova della sussistenza di tali requisiti in capo al sottoscrittore (sull’onere dell’Amministrazione erariale di documentare la delega di firma, cfr. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5200 del 06/03/2018, Rv. 647281-01).

I motivi quarto, quinto e sesto del ricorso incidentale condizionato, sono inammissibili in quanto tali questioni, essendo stato accolto il ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio.

Ed invero, nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, ancorchè in virtù del principio cd. della ragione più liquida, non essendo ravvisabile alcun rigetto implicito, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio (cfr. Sez. 6-L, Ordinanza n. 19503 del 23/07/2018, Rv. 65015701)

In conclusione, il ricorso principale va accolto; il ricorso incidentale condizionato deve essere rigettato. La sentenza impugnata va cassata in relazione al ricorso principale accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi esposti. Il giudice di rinvio è tenuto a provvedere anche in ordine alle spese di giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale condizionato. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso principale accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio. (N.dr. testo non leggibile)

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

 

 

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