Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17369 del 18/08/2011

Cassazione civile sez. III, 18/08/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 18/08/2011), n.17369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5913/2009 proposto da:

L.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, V.PALERMO 43, presso lo studio dell’avvocato FIMIANI NICOLA,

rappresentato e difeso dagli avvocati CACCIATORE Fortunato,

MONTESANTO COSTANTINO ANTONIO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avv. PIZZUTI Pasquale in 84092 BELLIZZI (SA) Via Roma

175, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrante –

avverso la sentenza n. 576/2008 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

SEZIONE AGRARIA, emessa il 15/11/2007, depositata il 16/06/2008

R.G.N. 546/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/06/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato PIZZUTI PASQUALE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 20 maggio 1994 davanti alla Sezione Specializzata Agraria, B.C. chiedeva la condanna di L. S. (conduttore di un fondo da lui acquistato) al pagamento delle rendite abusivamente percepite sino all’effettivo rilascio del fondo stesso, avvenuto nell’ottobre del 1983.

L’intimato, in via riconvenzionale, chiedeva la liquidazione in suo favore dei miglioramenti che asseriva di aver apportato al fondo.

La Sezione Specializzata Agraria del Tribunale, con sentenza n. 88 del 19 gennaio 1998, accoglieva la domanda del B. condannando il Le. al pagamento delle rendite dal dicembre 1979 all’ottobre 1983 per l’importo di L. 137.930.760; dichiarava invece improponibile la domanda riconvenzionale (sui miglioramenti apportati) perchè non preceduta da tentativo di conciliazione.

La sentenza veniva impugnata dal Le. che sosteneva la proponibilità della domanda di miglioramenti da lui spiegata. Il B. proponeva anch’egli appello, in via incidentale, chiedendo la liquidazione non solo delle rendite da nudo terreno ma anche di quelle relative al frutteto ivi impiantato.

Con sentenza non definitiva n. 110/2000 la Corte d’Appello di Salerno dichiarava proponibile la domanda riconvenzionale del Le. e, con sentenza definitiva n. 353/2001, accogliendo parzialmente l’appello proposto da quest’ultimo, lo dichiarava creditore nei confronti del B. della somma di L. 205.324.688, oltre accessori; accoglieva l’appello incidentale dello stesso B. con riferimento alle rendite da frutteto ma ne rigettava l’istanza di determinazione dal 1978; per l’effetto rideterminava il credito del B. in L. 139.944.026, oltre accessori; dichiarava la compensazione parziale dei crediti e condannava il B. al pagamento in favore del Le. della differenza fra dare e avere di L. 65.380.662 oltre rivalutazione ed interessi.

Proponeva ricorso per cassazione il B..

Questa Corte, con sentenza n. 5948/2005 rigettava il primo motivo (avente ad oggetto la pretesa improponibilità della domanda riconvenzionale) ed accoglieva il secondo, stabilendo che alla fattispecie in esame non era applicabile l’art. 1150 c.c., in quanto trattavasi di detenzione e non di possesso.

Con atto del 9 maggio 2005 il B. riassumeva il giudizio ex art. 392 c.p.c., dinanzi alla Sezione specializzata agraria della Corte d’Appello di Salerno che con sentenza n. 576/2008, definitivamente pronunciando in sede di giudizio di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 5948/05 e nei limiti, da essa fissati, così provvedeva: “Ferma restando la statuizione di cui al punto b) del dispositivo della sentenza n. 333/01 – con cui questa Corte, in parziale accoglimento dell’appello incidentale del B., ha rideterminato il credito di quest’ultimo nei confronti del Le. in L. 139.944.026 (…), rigetta l’appello principale proposto dal Le.”.

Propone ricorso per cassazione L.A. (erede di Le.) con due motivi e presenta memoria.

Resiste con controricorso B.C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso L.A. denuncia “Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Il ricorrente conclude con il seguente quesito i diritto: “Verifichi la Corte Suprema se lo stesso attore (odierno intimato), fin dal ricorso introduttivo del giudizio, e così per tutto il corso del processo, abbia delimitato il petitum al pagamento delle rendite indebitamente percette dal detentore del fondo, detratte le somme dovute al Le. per effetto dei miglioramenti apportati al fondo, consistenti nell’impianto di un frutteto”.

Il motivo è inammissibile.

Questa Corte – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c. – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).

Facendo applicazione dei riferiti principi al caso di specie è agevole osservare che il ricorso in esame è privo della chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia “violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il ricorrente, in relazione al suddetto motivo, formula il seguente quesito di diritto “Dica la Corte Suprema se la limitazione che l’attore si è imposto nella formulazione della domanda (di condanna del convenuto al pagamento delle rendite indebitamente percette durante la detenzione del fondo, detratte le somme dovute al detto detentore per effetto dei miglioramenti da questo apportati al fondo e consistenti nell’impianto di un frutteto) possa essere superato a seguito del rigetto della domanda riconvenzionale del convenuto (di condanna dell’attore al pagamento dell’indennità ex art. 1150 cod. civ.)”.

Il motivo è inammissibile.

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve compendiare:

a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice;

c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

Di conseguenza, è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge o a enunciare il principio di diritto in tesi applicabile (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).

Conclusivamente, poichè a norma dell’art. 366 bis c.p.c., la formulazione dei quesiti in relazione a ciascun motivo del ricorso deve consentire in primo luogo la individuazione della regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e, poi, la indicazione del diverso principio di diritto che il ricorrente assume come corretto e che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo, è palese che la mancanza anche di una sola delle due predette indicazioni rende inammissibile il motivo di ricorso.

Infatti, in difetto di tale articolazione logico giuridica il quesito si risolve in una astratta petizione di principio o in una mera riproposizione di questioni di fatto con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso come tale inidonea a evidenziare il nesso Logico giuridico tra singola fattispecie e principio di diritto astratto, oppure infine nel mero interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nella esposizione del motivo (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie in motivazione, nonchè Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorario.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2011

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