Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17368 del 18/08/2011

Cassazione civile sez. III, 18/08/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 18/08/2011), n.17368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27334/2006 proposto da:

P.N., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato

POTTINO Guido Maria, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ZAULI CARLO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ASSITALIA SPA – LE ASS.NI D’ITALIA SPA, in persona dell’Avvocato

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato VINCENTI Marco, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RUCCI GERARDO giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 867/2006 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

Sezione 2 Civile, emessa il 14/03/2005, depositata il 01/08/2006;

R.G.N. 721/2002.

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato DONATACCIO ANGELA CARMELA per delega dell’Avvocato

VICENTI MARCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.N. conveniva davanti al Pretore di Forlì, l’Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia s.p.a., esponendo di aver stipulato con la convenuta una polizza di assicurazione infortuni e di aver subito un trauma distorsivo al ginocchio, per cui era stato ricoverato presso una casa di cura al fine di venir sottoposto ad intervento chirurgico di meniscectomia, in esito alla quale era stata accertata una invalidità temporanea totale di giorni 50, una invalidità temporanea parziale di giorni 232 e postumi permanenti del 7%.

Deduceva, ancora, l’attore di aver chiesto alla Compagnia convenuta la liquidazione del danno, nella misura di L. 11.280.000, per l’invalidità temporanea, di L. 480.000 per otto giorni di degenza ospedaliera e di L. 11.200.000 per l’invalidità permanente, oltre al rimborso delle spese anticipate per la relazione del C.T. di parte;

asseriva che l’Assitalia, aveva corrisposto solo, la somma di L. 4.020.000.

Tanto premesso, e rilevata l’inefficacia, perchè vessatoria ex art. 1469 bis, n. 18, della clausola contrattuale che demandava la risoluzione della vertenza, in caso di disaccordo tra le parti circa l’entità delle il 11 lesioni, ad un collegio di tre medici, l’attore concludeva il per la condanna della convenuta al pagamento dell’indennizzo nella misura risultante dovuta e previa detrazione dell’acconto.

Si costituiva la convenuta, eccependo l’incompetenza del giudice adito per l’esistenza, nel contratto, di clausola compromissoria e contestando la misura dell’indennizzo richiesto.

Con sentenza del 2001, il Tribunale di Forlì dichiarava l’improponibilità della domanda, condannando l’attore al rimborso delle spese processuali in favore della convenuta.

Proponeva appello P.N. deducendo: 1) che, erroneamente, la controparte aveva qualificato la clausola inserita nel contratto come clausola arbitrale, riconducendola ad un arbitrato irrituale.

Secondo l’appellante, invece, si verteva in tema di perizia contrattuale con conseguente proponibilità della domanda avanti all’A.G.O.; 2) che la clausola ex adverso dedotta ed invocata era vessatoria ed inefficace ex art. 1469 bis, n. 18 per cui il primo giudice avrebbe dovuto dichiararne p l’inefficacia e decidere la causa nel merito. Invece il tribunale aveva ritenuto, erroneamente, che la disciplina dettata dall’art. 1469 bis c.p.c., in base alla L. 6 febbraio 1996, n. 52, di cui non poteva farsi applicazione retroattiva perchè il rapporto era nato anteriormente alla sua entrata in vigore.

La Corte d’appello rigettava il gravame.

Propone ricorso per cassazione P.N. con quattro motivi e presenta memoria.

Resiste con controricorso l’I.N.A. Assitalia s.p.a. (già Assistalia – Le assicurazioni d’Italia – s.p.a.).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso P.N. denuncia “nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c..

Violazione e falsa applicazione dell’art. 180 c.p.c., comma 2 e art. 183 c.p.c., comma 5 del “vecchio rito” e dunque motivazione omessa ed insufficiente circa un punto decisivo della controversia”.

Ad avviso del ricorrente la Corte d’Appello ha violato il principio posto dall’art. 112 c.p.c., secondo cui il giudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte solo dalle parti.

L’eccezione, sollevata dall’antagonista, prosegue il ricorrente, riguardava l’incompetenza funzionale del giudice adito per l’esistenza di una clausola compromissoria e non vi era nulla in atti che consentisse di ipotizzare che la controparte intendeva eccepire che la controversia dovesse essere devoluta ad un collegio medico.

Aggiunge, inoltre, che la motivazione della sentenza sarebbe insufficiente perchè non consente di comprendere l’iter logico seguito dalla Corte d’Appello.

Il motivo è infondato.

Il potere-dovere del giudice di merito di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra infatti il limite del rispetto dell’ambito delle questioni proposte in modo che siano lasciati immutati il petitum e la causa petendi, senza l’introduzione, nel tema controverso, di nuovi elementi di fatto. Pertanto, il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato). Ne consegue che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato (Cass., 11 gennaio 2011, n. 455).

Nel caso in esame la Corte d’appello ha ritenuto che, anche se la parte convenuta ha utilizzato il termine “clausola arbitrale” in modo improprio, dal contesto delle argomentazioni si comprendeva come intendesse riferirsi ad una perizia contrattuale e non ad un arbitrato.

Si ha, infatti, arbitrato irrituale o libero quando la volontà delle parti è diretta a conferire all’arbitro (o agli arbitri) il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici, mediante una composizione amichevole, conciliante o transattiva – che può richiedere anche l’accertamento di circostanze di natura tecnica – o mediante un negozio di mero accertamento, riconducibili alla volontà delle parti e da valere come contratti conclusi dalle stesse, poichè queste si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Si ha, invece, perizia contrattuale quando le parti devolvono al terzo, o ai terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, non già la risoluzione di una controversia giuridica, ma la formulazione di un apprezzamento tecnico che preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva. La distinzione tra arbitrato irrituale e perizia contrattuale (come quella tra detti istituti e l’arbitrato rituale) va ricercata con riguardo al contenuto obiettivo del compromesso e alla volontà delle parti. La relativa indagine, pertanto, rientra esclusivamente nei poteri del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in Cassazione se, come nel caso in esame, congruamente motivato e immune da errori di diritto (Cass., 22 giugno 2005, n. 13436).

Con il secondo e terzo motivo, che per la loro stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, il ricorrente rispettivamente denuncia: 2) “violazione e falsa applicazione dell’art. 1469 bis c.c., art. 111 c.c., comma n. 18, vecchia formulazione (ora trasfuso nel D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 2, lett. t – c.d.

Codice del consumo); violazione e falsa applicazione dell’art. 1469 ter c.c., vecchia formulazione (ora trasfuso nell’art. 34 D.Lgs. cit.); violazione dell’art. 1469 quinquies c.c., vecchia formulazione: violazione e falsa applicazione dell’art. 36 D.Lgs. cit.; violazione e falsa applicazione dell’art. 1349 c.c.”; 3) “nullità della sentenza per omessa pronuncia (art. 360 c.p.c., n. 4); motivazione inesistente o omessa circa un punto decisivo della controversia: violazione dell’art. 112 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1469 bis c.c., comma 1 vecchia formulazione, ora trasfuso nel D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 1;

violazione dell’art. 1469 ter c.c., vecchia formulazione (ora trasfuso nell’art. 34 D.Lgs. cit.); violazione e falsa applicazione dell’art. 1469 quinquies c.c., vecchia formulazione; violazione dell’art. 46 D.Lgs. cit.; violazione e falsa applicazione dell’art. 1349 c.c.”.

Secondo il ricorrente il giudice di merito avrebbe dovuto procedere all’accertamento della vessatorietà sulla base della presunzione come sopra evidenziata o, in subordine, applicando il criterio posto dall’art. 1469 ter, secondo cui “la vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende”.

Il motivo è infondato.

Nella clausola di un contratto di assicurazione contro gli infortuni, che preveda una perizia contrattuale (con il deferimento ad un collegio di esperti degli accertamenti da espletare in base a regole tecniche e con l’impegno di accettarne le conclusioni come diretta espressione della volontà dei contraenti), è insita la temporanea rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto contrattuale, nel senso che, prima e durante il corso della procedura contrattualmente prevista, le parti stesse non possono proporre davanti al giudice le azioni derivanti dal suddetto rapporto. Tale clausola non ha, peraltro, carattere compromissorio or comunque, derogativo della competenza del giudice ordinario, e non rientra, pertanto, fra quelle da approvarsi specificamente per iscritto a norma degli artt. 1341 e 1342 cod. civ. (Cass., 22 maggio 2007, n. 11876).

Va peraltro rilevato che il dedotto contratto di assicurazione è anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. 6 febbraio 1996, n. 52 che ha introdotto l’art. 1469 bis c.c., e segg., per cui non era necessaria la specifica approvazione per iscritto.

Con il quarto motivo si denuncia “nullità della sentenza per omessa pronuncia (art. 360 c.p.c., n. 4); motivazione omessa circa un punto decisivo della controversia; violazione dell’art. 92 c.p.c.”.

Parte ricorrente censura l’omessa pronuncia del giudice di merito circa la richiesta della compensazione delle spese di soccombenza.

Il motivo è infondato.

Perchè la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., 2 luglio 2004, n. 12121).

La Corte d’appello, avendo statuito la conferma integrale della sentenza di prime cure ha implicitamente rigettato la richiesta di compensazione delle spese.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 giungo 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2011

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