Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17367 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/08/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 19/08/2020), n.17367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRAXCANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6256/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12

Ricorrente

contro

Lupi s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e

difesa, giusta mandato in atti, dall’avv.to Antonietta Epifanio,

elettivamente domiciliata in Roma alla via Morgagni n. 19.

Controricorrente

avverso la sentenza n. 25/01/2012 della CTR Lazio depositata il

16/01/2012, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella udienza camerale del

25/02/2020 dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La controversia trae origine da un avviso di accertamento emesso neì confronti della società Lupi s.r.l., per l’anno d’imposta 2004, a mezzo del quale l’Ufficio aveva proceduto al recupero a tassazione delle somme accantonate, per Euro 300.000,00, dalla società per il trattamento di fine mandato degli amministratori.

La società contribuente ricorreva avverso l’avviso di accertamento deducendone l’illegittimità per omessa motivazione; la Commissione tributaria provinciale adita rigettava il ricorso con sentenza n. 23/63/10.

La società Lupì s.r.l. proponeva appello avverso tale sentenza che veniva riformata dalla Commissione regionale del Lazio, con accoglimento dell’appello della società. In particolare, la Commissione regionale ha motivato la decisione ritenendo che gli accantonamenti dei compensi degli amministratori erano inerenti aì costi dell’impresa e, quindi, deducibili poichè la spettanza e la deducibilità di tali compensi è determinata dalla consenso che si forma tra le parti, senza che l’Amministrazione finanziaria abbia alcun potere di valutazione di congruità, con conseguente illegittimità dell’accertamento. L’Agenzia delle Entrate ricorre per Cassazione avverso la sentenza in epigrafe affidandosi a due motivi di doglianza. La società contribuente resiste con controricorso.

Considerato che:

Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di legge, in relazione al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (t.u.i.r.), art. 105, comma 4, e art. 17, comma 1, lett. c), nonchè art. 50, comma 1, lett. c bis), in quanto la Commissione tributaria regionale, statuendo nei termini riferiti innanzi, avrebbe completamente ignorato le norme regolatrici vigenti, ratione temporis; evidenzia che, in base al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, lett. c), nonchè all’art. 50, comma 1, del t.u.i.r. cit., l’accantonamento in favore dell’amministratore dell’indennità di fine mandato è deducibile quale componente negativa di reddito solo se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio motivazionale, per essere la motivazione della sentenza impugnata illogica, insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, riguardante la contestazione sull’ammontare dei compensi. In altri termini, la ricorrente assume che la motivazione con la quale la Commissione regionale ha ritenuto insindacabile, da parte dell’Ufficio, la congruità dei compensi accantonati e quindi l’ammontare dei costi dedotti, si basa sulla differente fattispecie di contestazione dell’ammontare dei costi, fatto mai contestato e dedotto dall’Ufficio.

Il primo motivo è fondato e va accolto, previo assorbimento del secondo.

Va, in primo luogo, evidenziato che la fattispecie in esame, in quanto riguardante avviso di accertamento per annualità 2004, è soggetta alla disciplina previgente alle modifiche operate all’art. 17, comma 1, lett. c) t.u.i.r., dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 24, comma 31, convertito, con modificazioni, in L. 22 dicembre 2011, n. 214 (cd. decreto Salva Italia).

Ciò posto, in tema di deducibilità ai fini Irpes ed Irap, quali componenti negativi di reddito degli accantonamenti effettuati dalla società in favore dei propri amministratori al fine del trattamento di fine mandato, è stato da tempo chiarito che il rinvio che l’art. 70, comma 3, t.u.i.r. (attuale art. 105, comma 4) – opera all’art. 16 (attuale 17), comma 1, lett. c) t.u.i.r., è un rinvio pieno, non limitato all’identificazione della categoria del rapporto sottostante cui si riferisce l’indennità, ma esteso alle condizioni richieste dall’art. 16, lett. c), nel senso che ai fini della deducibilità dei relativi accantonamenti il diritto all’indennità deve risultare da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 10959 del 14/05/2007, Rv. 599470-01, cui ha dato seguito la giurisprudenza successiva, tra cui, Sez. 5, Sentenza n. 18752 del 05/09/2014, Rv. 631959-01; Sez. 5, Sentenza n. 16787 del 09/08/2016,Rv. 640633-01).

In particolare, l’art. 105 t.u.i.r., comma cit., prevede che gli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente sono deducibili nei limiti delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali ed il successivo comma 4 estende le disposizioni di cui al precedente comma anche agli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui all’art. 17 TUIR, lett. c), ossia alle indennità derivanti dalla cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (tra le quali rientra, dunque, il trattamento di fine rapporto).

In base al combinato disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, lett. c) e art. 105, possono essere dedotte in ciascun esercizio, secondo il principio di competenza, le quote accantonate per il trattamento di fine mandato, previsto in favore degli amministratori delle società, purchè la previsione di detto trattamento risulti da un atto scritto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, che ne specifichi anche l’importo: in mancanza di tali presupposti trova applicazione il principio di cassa, come disposto dall’art. 95, comma 5, del t.u.i.r. cit., che stabilisce la deducibilità dei compensi spettanti agli amministratori delle società nell’esercizio nel quale sono corrisposti (cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 26431 del 19/10/2018,Rv. 651399-01).

Applicando tali principi alla fattispecie in esame, in base all’art. 16 (attuale 17), lett. c), del t.u.i.r., l’indennità corrisposta – sia in denaro che in natura – in occasione della cessazione del mandato dell’amministratore della società e, quindi, dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 50, comma 1, lett. c bis) del medesimo testo unico, sono soggette, ai fini Irpef, al regime di tassazione separata solo laddove l’indennità risulti da atto scritto avente data certa anteriore all’avvio del rapporto (fatta salva da parte dell’Ufficio l’applicazione della tassazione ordinaria laddove quest’ultima fosse più favorevole), mentre saranno soggette al regime di tassazione ordinaria ove manchi l’atto scritto.

Ha errato, dunque, la Commissione regionale nella parte in cui, senza preoccuparsi di verificare la deducibilità del relativo accantonamento in relazione al fatto che la percezione delle somme fosse contemplata da un atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto e indugiando su fatti irrilevanti (quali l’ammontare dell’accantonamento), ha ritenuto illegittimo l’avviso. Viceversa dai rilievi dell’Ufficio formulati già con la motivazione dell’avviso e, quindi, nel successivo atto di costituzione in appello, risulta, dall’analisi del bilancio, alla voce “fondo tfm”, un saldo chiusura pari ad Euro 585.819,59 rispetto al quale era stata esibita, in sede precontenziosa, dalla società una delibera assembleare del 14 novembre 1990, nella quale si stabiliva che il compenso annuo di ciascun membro del CDA doveva essere di lire 36.000.000 e che il 50% di detto importo doveva essere accantonato pro quota ogni anno; risulta, altresì, che l’accantonamento per Euro 300.000,00, per l’anno 2004, era stato deliberato in data 29/12/2004 e quindi successivamente al periodo – 2004 – di maturazione del compenso (anno di imputazione), con conseguente indeducibilità del relativo costo.

In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, affinchè, in relazione all’annualità 2004, per la deducibilità Ires, proceda ad un nuovo esame del merito della controversia, verificando, ai fini della deducibilità col criterio di competenza, che l’importo sia stato determinato prima dell’inizio del rapporto con atto di data certa, anche al fine di evitare possibili abusi nella immediatezza della chiusura del bilancio.

I giudici di rinvio sono tenuti a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa l’impugnata sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

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