Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17365 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/08/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 19/08/2020), n.17365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3176/2014 R.G. proposto da

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

cui domicilia, in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

CONTRO

B.N.;

-parte intimata-

avverso la sentenza n. 47/2/2013 della Commissione tributaria

regionale della Liguria, depositata l’11 giugno 2013 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio

2020 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle entrate ricorre con un unico motivo avverso B.N. per l’annullamento della sentenza n. 47/2/2013, depositata l’11 giugno 2013 e non notificata, della Commissione tributaria regionale della Liguria (di seguito C.t.r.), che ha accolto parzialmente l’appello proposto dal sig. B., modificando in parte la sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Imperia, in controversia relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate, direzione provinciale di Imperia, relativo al periodo d’imposta 2004, con il quale sono stati rideterminati i ricavi dell’attività del contribuente di artigiano edile non specializzato, sulla base dello studio di settore SG71U;

secondo la C.t.r. della Liguria, il criterio seguito nell’accertamento non consente di escludere l’esistenza di costi detraibili, ancorchè non regolarmente documentati, conseguenti all’attività d’impresa svolta e strumentali a questa;

i giudici di secondo grado hanno affermato che l’esclusione della detrazione dei costi non documentati dal contribuente, infatti, è da ritenersi limitata solo ai casi di accertamento interamente analitico, cioè condotto sulla base delle stesse scritture contabili tenute dal soggetto passivo d’imposta;

tuttavia, qualora la ricostruzione del reddito avvenga con criteri induttivo-sintetici, si dovrebbe tenere conto comunque delle passività, in assenza delle quali verrebbe ad essere tassato non il profitto netto dell’impresa, bensì il fatturato lordo;

a seguito del ricorso, il contribuente è rimasto intimato;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 25 febbraio 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

la ricorrente, con l’unico motivo di ricorso, censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, lett. d), del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo l’Agenzia delle Entrate, la motivazione con cui la C.t.r. ha accolto l’appello viola palesemente la legge, in relazione agli articoli citati;

la ricorrente, infatti, deduce che: i maggiori ricavi sono stati accertati ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies; l’art. 39 cit., consente una rettifica induttiva del reddito dichiarato, anche in presenza di scritture contabili regolarmente tenute, purchè sussistano presunzioni gravi, precise e concordanti; per quanto riguarda l’onere della prova, i giudici di secondo grado hanno dimostrato di non aver colto appieno la valenza istruttoria e accertatrice dello strumento degli studi di settore, poichè è dovere dell’ufficio dedurre i costi e gli oneri correlati ai maggiori ricavi solo in relazione alle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente;

il motivo è fondato e va accolto;

invero “in tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie) è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22868 del 29/09/2017; vedi anche Cass. n. 7743/2019);

il principio, enunciato in tema di indagini bancarie, risulta applicabile in genere ai casi di accertamento analitico induttivo;

si è anche detto che “in tema di imposte sui redditi, l’accertamento induttivo di maggiori ricavi derivanti da un’attività di impresa non comporta l’automatico e forfettario riconoscimento degli elementi negativi del reddito, incombendo sul contribuente l’onere di provare la certezza dei costi e la loro inerenza all’attività” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9888 del 19/04/2017);

nel caso di specie, l’amministrazione finanziaria ha accertato i maggiori ricavi con l’applicazione degli studi di settore, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, lett. d);

“i parametri o studi di settore previsti dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 181 a 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3415 del 20/02/2015);

in particolare, con riferimento all’onere della prova, si è detto che “la determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23252 del 18/09/2019);

nella fattispecie oggetto di causa, l’amministrazione finanziaria ha accertato i maggiori ricavi con l’applicazione degli studi di settore, ed ha anche rideterminato gli stessi all’esito del contraddittorio con il contribuente, tenendo conto della circostanza dedotta da quest’ultimo in ordine alla prassi di rivolgersi ad artigiani esterni per contenere i costi delle prestazioni lavorative dipendenti (con conseguente aumento delle spese per prestazioni diverse);

la sentenza, che ha riconosciuto genericamente la detraibilità di ulteriori costi, in assenza di alcun supporto probatorio, non ha fatto corretta applicazione dei principi suddetti e va cassata;

non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto e potendosi decidere il merito, il ricorso originario del contribuente va rigettato;

sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del contribuente; compensa le spese del doppio grado di merito; condanna parte intimata al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

 

 

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