Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17364 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/08/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 19/08/2020), n.17364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28382/2013 proposto da

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui domicilia,

in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

CONTRO

S.r.l Tessiland, in persona del rappresentante legale p.t.;

-parte intimata-

avverso la sentenza n. 535/5/12 della Commissione tributaria

regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, depositata il

26 ottobre 2012 e non notificata. Udita la relazione svolta nella

camera di consiglio del 25 febbraio 2020 dal consigliere Andreina

Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle entrate ricorre con un unico motivo avverso la S.r.l Tessiland per la cassazione della sentenza n. 535/5/2012, depositata il 26 ottobre 2012 e non notificata, della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno (di seguito C.t.r.), che, in controversia relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento di maggiori Ires, Irap ed Iva per l’anno 2006, ha accolto in parte l’appello dell’Agenzia delle entrate – direzione provinciale di Avellino, riformando la sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Avellino;

secondo la C.t.r., in relazione agli atti prodotti, l’Ufficio, sulla base di elementi di fatto concreti e certi, aveva recuperato a tassazione poste passive non inerenti e prestazioni non fatturate, nonchè ricavi non contabilizzati per la vendita di merce in evasione, desunta da contabilità parallela, senza alcuna giustificazione in merito da parte della società contribuente;

per quanto riguarda, invece, i finanziamenti effettuati dai soci alla società, i giudici di secondo grado hanno affermato che gli stessi, risultando ritualmente deliberati in data 2/5/2006 dall’assemblea dei soci, fossero veri e propri prestiti, per i quali vi era l’obbligo di rimborso da parte della società e, quindi, non interessassero il conto economico dal quale era derivata la materia imponibile per la società;

a seguito del ricorso, la società contribuente è rimasta intimata;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 25 febbraio 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente censura la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 2 e 4, e la violazione dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo l’Agenzia delle entrate, le norme richiamate risultano violate dalla sentenza impugnata, perchè essa fa riferimento decisivo al verbale di assemblea con cui è stato deliberato il finanziamento dei soci;

la ricorrente precisa che risultava dall’attestazione dei verbalizzanti, contenuta nel p.v.c. del 12/10/07 e facente pubblica fede, che, durante le indagini, l’amministratore della società non aveva in alcun modo giustificato le somme superiori ai 12.500,00 Euro (ammontanti complessivamente a 165.000,00 Euro) e, dunque, non aveva prodotto in relazione ad esse alcun documento, tanto meno il verbale dell’assemblea valorizzato dalla C.t.r.;

di conseguenza, per quanto previsto dal D.P.R. cit., art. 32, comma 4 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, tale verbale, non esibito al momento della richiesta dei verbalizzanti di mostrare tutta la documentazione significativa, non poteva più essere preso in considerazione successivamente e, tanto meno, essere assunto ad unico fondamento dell’annullamento di una ripresa;

il motivo è infondato;

come questa Corte ha chiarito, “in tema di accertamento, l’omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa solo ove l’amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale richiesta degli stessi, accompagnata dall’avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza, e che il contribuente ne aveva rifiutato l’esibizione, dichiarando di non possederli, o comunque sottraendoli al controllo, con uno specifico comportamento doloso volto ad eludere la verifica” (Cass., ord. n. 7011 del 21/03/2018; vedi anche Cass., ord. n. 27069/16; Cass. nn. 453 e 22126/2013);

ciò in quanto l’impossibilità di considerare a favore del contribuente, in sede amministrativa e contenziosa, i documenti non acquisiti durante gli accessi, perchè il contribuente ha rifiutato di esibirli o dichiarato di non possederli, o li ha comunque sottratti al controllo, è prevista da una norma che fa eccezione a regole generali;

ne consegue che, per essere operante, il contribuente deve aver tenuto un comportamento diretto a sottrarsi alla prova e, dunque, capace di far dubitare della genuinità di documenti che affiorino soltanto in seguito, nel corso del giudizio (vedi Cass. sent. n. 27812 del 31 ottobre 2018);

nel caso di specie, non è emerso che i verificatori abbiano formulato tale invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, nè che vi sia stato un atteggiamento volutamente ostruzionistico del contribuente in sede di verifica, circostanze neanche dedotte dall’amministrazione ricorrente, che, sostanzialmente, non ha contestato il verbale di assemblea prodotto in giudizio, se non per l’asserita inutilizzabilità;

in mancanza della prova da parte dell’Agenzia ricorrente delle condizioni per la dedotta inutilizzabilità, deve ritenersi che il giudice di appello potesse valutare il verbale prodotto dal contribuente quale prova dei finanziamenti dei soci;

il ricorso va quindi rigettato;

nulla deve disporsi in ordine alle spese, poichè la società contribuente non si è costituita;

rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio, n. 115, art. 13, comma 1- quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

 

 

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