Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17360 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 27/11/2020, dep. 17/06/2021), n.17360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25069-2013 proposto da:

L.A., M. DI L.A. E C SAS, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio

dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARIA SONIA VULCANO giusta procura in calce;

– ricorrente –

E contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 86/2013 della COMM. TRIB. REG. PIEMONTE,

depositata il 20/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/11/2020 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine per il rigetto;

udito per il controricorrente l’Avvocato PELUSO ALFONSO che si

riporta.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Torino 3 inviava alla società M. S.a.s. di L.A. e C. (già M. S.a.s. di M.A. e C.) un questionario ai fini di una verifica fiscale per il periodo d’imposta 2005.

In seguito, l’Ufficio notificava – in data 6/12/2010 – a ciascuno dei soci, L.A. e M.G., un avviso di accertamento ai fini IRPEF per reddito d’impresa (anno d’imposta 2005) derivante dalla partecipazione alla M. S.a.s. di L.A., anch’essa pure destinataria di un avviso di accertamento ai fini IRAP (anno d’imposta 2005), notificato in data 13/12/2010.

La società M. S.a.s. di L.A. e C. veniva cancellata dal registro delle imprese il 2/2/2011.

Gli avvisi venivano separatamente impugnati innanzi alla C.T.P. di Torino con distinti ricorsi notificati il 3-4/5/2011; il giudice di primo grado rigettava le impugnazioni, precedentemente riunite, con sentenza n. 253 del 16/12/2011.

La C.T.R. del Piemonte – con sentenza n. 86/34/13 del 28/5/2013 – rigettava l’appello della società e dei soci.

Avverso tale decisione M. S.a.s. di L.A. e C. e L.A. propongono ricorso per cassazione, affidato a undici motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha depositato memoria per la partecipazione alla pubblica udienza, svoltasi il 27 novembre 2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, si rileva che il ricorso introduttivo non risulta notificato al socio Giuseppe M., che era parte costituita in grado d’appello è litisconsorte necessario.

Tuttavia, ritiene il Collegio che, in forza del principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c. per integrare il contraddittorio – o con lo stesso M. o, se deceduto, coi suoi eredi o col curatore dell’eredità giacente (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 27274 del 14/11/2008, Rv. 605858-01) – sia superflua, atteso che il gravame è infondato (per le ragioni di seguito esposte), sicchè l’integrazione del contraddittorio si rivela attività del tutto ininfluente sull’esito del procedimento (Cass., Sez. U, Sentenza n. 21670 del 23/09/2013, Rv. 627449-01).

2. Col primo motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) la violazione e mancata applicazione dell’art. 2495 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, per avere la C.T.R. del Piemonte: 1) confermato la declaratoria di inammissibilità dell’originaria impugnazione della M. S.a.s. di L.A. e C. in ragione della ritenuta inefficacia, al momento della presentazione del ricorso (4/5/2011), della procura rilasciata ai difensori da parte del legale rappresentante in data antecedente (28/1/2011) alla estinzione della società cessata (2/2/2011), 3) omesso di pronunciare la cessazione della materia del contendere per inesistenza del soggetto e dell’oggetto del giudizio, con conseguente nullità della pretesa fiscale avanzata nei confronti di un ente privo di “eredi”.

La censura è introdotta col ricorso per cassazione della società, cancellata dal registro delle imprese e, quindi, estinta sin dal 2/2/2011 (dunque, già prima dell’introduzione del primo grado del processo).

Il ricorso della società è inammissibile, perchè proposto da soggetti – i difensori – privi della procura speciale prescritta dall’art. 365 c.p.c.: mancando, perchè inesistente (rectius, non più esistente), il mandante, difetta anche il rapporto di mandato e, in assenza di tale presupposto, non può esserci procura alle liti.

Difatti, per esplicita ammissione contenuta nel ricorso, la società M. S.a.s. di L.A. e C. veniva cancellata dal registro delle imprese in data 2/2/2011: come statuito da Cass., Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013, Rv. 625325-01, “Dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, la cancellazione dal registro delle imprese estingue anche la società di persone, sebbene non tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo siano stati definiti”.

Deve radicalmente escludersi che agli avvocati Claudio Lucisano e Maria Sonia Vulcano, firmatari del ricorso per cassazione e indicati quali difensori da L.A. per conto della M. S.a.s., sia stata conferita una procura speciale idonea a rappresentare in questa sede la società.

Infatti, la procura speciale necessaria per la proposizione del ricorso per cassazione è inesistente ove conferita al difensore da una società estinta per pregressa cancellazione dal registro delle imprese, in quanto essa presuppone un rapporto di mandato tra l’avvocato ed il cliente che non può sussistere in mancanza del mandante (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 10071 del 21/04/2017, Rv. 643992-01; come nel caso de quo, la procura, reputata inesistente, era stata rilasciata da società già estinta): nè può valere l’ultrattività di procure rilasciate in precedenza, nè possono esserne rilasciate di nuove, stante la necessità che il relativo conferimento provenga da un soggetto esistente e capace di stare in giudizio (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 1392 del 22/01/2020, Rv. 656536-01).

Consegue a quanto esposto l’inammissibilità del ricorso della M. S.a.s..

L’attività processuale compiuta nel giudizio di legittimità resta nell’esclusiva responsabilità dei legali che l’hanno promossa: la già citata ordinanza n. 10071 del 21/04/2017, afferma che, conseguentemente, è ammissibile la loro condanna a pagare le spese del giudizio.

La predetta decisione non è in contrasto con l’ordinanza n. 1392 del 22/01/2020 (anch’essa già menzionata), che ha posto le spese di lite a carico del soggetto che – spendendo la qualità di liquidatore (e, quindi, di legale rappresentante) di una società già cancellata dal registro delle imprese, “qualità giuridicamente impossibile in dipendenza dell’avvenuta cancellazione” – risultava, anche dall’intestazione del ricorso per cassazione, come colui che aveva conferito il mandato apposto in calce allo stesso. Infatti, si è precisato che, di regola e salvo che ricorrano particolari condizioni o circostanze o elementi (anche di natura indiziaria), non corrisponde ad uno specifico dovere professionale dell’avvocato il compito di verificare, preliminarmente o costantemente o diuturnamente, la persistenza della qualità di legale rappresentante rivestita dalla persona fisica che attribuisce il mandato.

Nella fattispecie in esame, invece, gli avvocati Claudio Lucisano e Maria Sonia Vulcano avevano piena consapevolezza dell’intervenuta estinzione della società, dato che entrambe le decisioni di merito hanno riscontrato l’inammissibilità dell’iniziativa processuale per tale ragione e che sulla pregressa cancellazione dal registro delle imprese i legali hanno costruito il primo motivo del ricorso per cassazione; a questi era palese, dunque, che fosse giuridicamente impossibile riconoscere la qualità di legale rappresentante della M. S.a.s. allegata (nell’incipit del ricorso) da L.A..

Si formula il seguente principio di diritto:

E’ inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall’ex legale rappresentante di una società estinta per pregressa cancellazione dal registro delle imprese, perchè la procura speciale conferita al difensore, indispensabile per la proposizione dell’impugnazione, è giuridicamente inesistente, in ragione della mancanza del mandante; le conseguenze dell’inammissibile attività processuale iniziata con il ricorso, tra le quali la condanna alle spese in favore della controparte, vanno riferite all’avvocato che ha sottoscritto l’atto introduttivo, qualora, in base alle circostanze, risulti la sua consapevolezza circa la mancanza della qualità di legale rappresentante in capo alla persona fisica che ha attribuito il mandato.

Conseguentemente, il ricorso della M. S.a.s. è dichiarato inammissibile e i predetti legali sono condannati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite (liquidate in dispositivo) in favore dell’Agenzia delle Entrate.

Si osserva, altresì, che sono palesemente infondate le argomentazioni volte a confutare l’inammissibilità, già rilevata nei precedenti gradi del processo, dell’originaria impugnazione dell’avviso di accertamento.

Infatti, il principio che nega alla morte o alla perdita della capacità della parte di stare in giudizio (e, quindi, all’estinzione della società) effetti giuridici se l’evento non è rilevato ex art. 299 c.p.c. o dichiarato ai sensi dell’300 c.p.c. – cd. ultrattività del mandato difensivo (Cass., Sez. U, Sentenza n. 15295 del 04/07/2014, Rv. 631466-01 e Rv. 631467-01, che ne esclude la portata alla proposizione dell’impugnazione per cassazione) – è applicabile solo dopo l’instaurazione del rapporto processuale; se, prima di quel momento, interviene il decesso della parte (o la sua estinzione) la procura si estingue ai sensi dell’art. 1722 c.c. e resta priva di ogni effetto, sicchè deve reputarsi inammissibile l’atto introduttivo del giudizio sottoscritto dal difensore di una parte che abbia perso la capacità di stare in giudizio prima dell’inizio del processo (in tal senso anche Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 27530 del 2017: “La morte della parte attrice intervenuta prima della notificazione della citazione o del deposito del ricorso determina, secondo la regola generale dell’art. 1722 n. 4 c.c. l’estinzione del mandato conferito al difensore e, conseguentemente, la nullità della vocatio in ius e dell’intero eventuale giudizio che ne è seguito, restando esclusa, in mancanza della valida costituzione di un rapporto processuale, l’applicabilità del principio, che ha carattere eccezionale, dell’ultrattività della procura, che riguarda il caso di morte della parte costituita, fin tanto che l’evento interruttivo non sia dichiarato in udienza dal procuratore”).

Per quanto esposto, l’azione innanzi alla C.T.P. non poteva essere intrapresa nè dalla società (posto che la cancellazione dal registro delle imprese ne comporta l’estinzione), nè dal procuratore (stante l’inefficacia della procura), nè può essere qui invocata la prosecuzione del giudizio da parte del socio succeduto, sia perchè di tale successione non si fa menzione nel ricorso, sia perchè, per riconoscersi la legittimazione all’impugnazione del successore, occorre che questo alleghi e provi la qualità di “socio succeduto” (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 25869 del 16/11/2020, Rv. 659853-01).

Ad abundantiam si rileva che non si determina affatto, come invece vorrebbe la parte ricorrente, la cessazione della materia del contendere, nè tantomeno può ipotizzarsi una nullità “sopravvenuta” dell’avviso di accertamento che fu notificato alla M. S.a.s. quando ancora era iscritta al registro delle imprese; al contrario, in difetto di rituale impugnazione dell’atto impositivo da parte dei “successori” dopo l’estinzione della società, lo stesso deve reputarsi definitivo.

3. Venendo all’esame dei motivi proposti dalla socia L.A. in proprio, si rileva che il secondo motivo prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e mancata/falsa applicazione del D.Lgs. n. 300 del 1999, artt. 66, 67, 68 e 71, del R.D. n. 262 del 1942, artt. 1 e 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, per avere la C.T.R. ritenuto che il direttore dell’articolazione locale dell’Agenzia delle Entrate (direzione provinciale) avesse il potere di sottoscrivere l’avviso di accertamento, sebbene lo stesso debba reputarsi privo di rappresentanza sostanziale dell’ente, e, comunque, per difetto di una norma idonea ad attribuire agli uffici locali i poteri spettanti al direttore generale dell’Agenzia.

Al di là dei suoi profili di inammissibilità (in proposito, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017, Rv. 643681-01, e Cass., Sez. 2, Sentenza n. 26790 del 23/10/2018, Rv. 651379-01), il motivo è infondato.

Infatti, come già affermato da Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20915 del 03/10/2014, in motivazione, “i criteri di attribuzione della competenza agli organi ed agli uffici in cui si articola l’Agenzia delle Entrate e le modalità di esercizio dei poteri e delle competenze sono definiti, secondo quanto dispongono il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, comma 1, art. 66 e dallo Statuto e dal regolamento di amministrazione, art. 71, comma 3, come ribadito anche dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 360. Secondo le disposizioni del “regolamento di amministrazione” adottato con delib. Comitato direttivo 30 novembre 2000, n. 4 (reg. amm., art. 2, comma 2; art. 4, comma 1; art. 5) l’Agenzia fiscale è articolata in uffici “centrali e periferici”, “regionali e provinciali” (a loro volta articolati in strutture di vertice ed uffici dipendenti), in base a criteri organizzativi che combinano l’applicazione del principio di competenza (territoriale e per valore) con il principio gerarchico (fondato su rapporti di sovra e sottoordinazione: art. 11, comma 1, lett. c), Statuto) ed il principio di sussidiarietà (reg. amm., art. 1, comma 1, lett. d)).”.

Si osserva, per quanto qui rileva, che il “regolamento di amministrazione” prevede che “Le direzioni provinciali, individuate nell’allegato A, curano… l’accertamento” e che “Gli avvisi di accertamento sono emessi dalla direzione provinciale e sono sottoscritti dal rispettivo direttore o, su delega di questi, dal direttore dell’ufficio preposto all’attività accertatrice ovvero da altri dirigenti o funzionari, a seconda della rilevanza e complessità degli atti”.

In base al combinato disposto delle succitate disposizioni si può formulare il seguente principio di diritto:

“La competenza accertativa degli uffici centrali e periferici in cui si articola l’Agenzia delle Entrate (ex art. 13 dello statuto) può trovare fonte o in una specifica attribuzione ex lege o, in via generale, nelle norme organizzative dell’ente pubblico (statuto o regolamento di amministrazione, già oggetto di delibera del 30 novembre 2000); pertanto, in base a quanto previsto dal regolamento di amministrazione, che attribuisce la relativa competenza alla direzione provinciale dell’Agenzia, il direttore provinciale, titolare della rappresentanza sostanziale dell’ente, è legittimato alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento.”

4. Col terzo e col quarto motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) violazione e mancata/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 4 e 17, della L. n. 662 del 1996, art. 3, del D.Lgs. n. 300 del 1999, artt. 19 e 53, dell’art. 112 c.p.c., delibere del comitato direttivo dell’Agenzia delle Entrate nn. 4 e 6 del 2000, per avere la C.T.R. omesso di esaminare le censure relative alla carenza di potere del soggetto che ha sottoscritto gli avvisi di accertamento, spettante, nella tesi della parte ricorrente, al solo direttore generale dell’Agenzia, stante l’illegittimità del decentramento previsto dal regolamento di amministrazione, e comunque per essere stato detto potere esercitato da personale privo della qualifica dirigenziale, ancorchè dal direttore della direzione provinciale 1 di Torino.

Le ragioni esposte con riferimento al secondo motivo del ricorso rendono manifesta l’infondatezza dell’argomentazione secondo cui il regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate non potrebbe attribuire agli uffici periferici il potere di sottoscrizione dell’accertamento.

La stessa parte ricorrente riconosce, come accertato dalla C.T.R. piemontese, che gli atti impositivi sono stati sottoscritti dal direttore della direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate; conformemente a quanto statuito dai precedenti di questa stessa Sezione, tanto basta a rendere palese l’inconsistenza della doglianza: “In tema di accertamento tributario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito dalla L. n. 44 del 2012” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 5177 del 26/02/2020, Rv. 657340-01; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22810 del 09/11/2015, Rv. 637349-01).

5. Il quinto e il sesto motivo prospettano (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) violazione e mancata/falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 3, degli artt. 149,156 e 160 c.p.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 60, 41-bis e 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55 e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 25, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sul difetto della relata di notifica dell’avviso di accertamento e sulla mancata dimostrazione della qualifica del messo notificatore.

Entrambe le censure, per le modalità con cui sono state formulate, sono inammissibili.

Dopo aver riportato letteralmente tutte le doglianze dei gradi precedenti (in violazione dei limiti contenutistici imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), in base ai quali l’atto introduttivo del giudizio di cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva; in proposito, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 8425 del 30/04/2020, Rv. 658196-01, e Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 8009 del 21/03/2019, Rv. 653337-01), la parte ricorrente trascrive il passaggio della motivazione della sentenza impugnata in cui la C.T.R., dopo aver accertato – in fatto che la notificazione è stata eseguita da messo notificatore a ciò abilitato, ha affermato che l’eventuale mancanza di qualche elemento della relata sarebbe superato dalle dichiarazioni fidefacenti recepite nella relata apposta sull’originale.

Con tale motivazione non si confronta il quinto motivo, dato che, in contrasto con quanto accertato dal giudice di merito, si limita ad affermare che la relata di notificazione era mancante, per giunta, ad onta del principio ex art. 366 c.p.c., senza trascrivere o riportare il documento asseritamente difettoso. (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5185 del 28/02/2017, Rv. 643229-01).

Parimenti inammissibile è la censura del sesto motivo, la quale, oltre che irrispettosa del già richiamato principio di autosufficienza del ricorso, contesta apoditticamente l’accertamento compiuto dalla C.T.R. del Piemonte sulla qualifica del messo notificatore.

6. Col settimo motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) violazione e mancata/falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1 e dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia della C.T.R. su questioni dedotte con l’appello.

Il motivo è inammissibile, in quanto incomprensibile e completamente privo di una critica alla decisione d’appello.

A pag. 37 la parte ricorrente fa riferimento alla decisione di primo grado sull’applicazione delle sanzioni; a pag. 38 si riportano passaggi della pronuncia di primo grado sulla qualifica di messo notificatore; sempre a pag. 38 si trascrivono alcune frasi della sentenza qui impugnata, per poi concludere, senza alcuna spiegazione o argomentazione, che “la sentenza va cassata per omessa pronuncia sul punto”.

7. Con l’ottavo motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) violazione e mancata/falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12 e dell’art. 112 c.p.c., per non avere la C.T.R. applicato, nel trattamento sanzionatorio, l’istituto (più favorevole) della continuazione.

Il nono, il decimo e l’undicesimo motivo prospettano (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) violazione e mancata/falsa applicazione di molteplici ed eterogenee disposizioni normative, per non essersi la C.T.R. espressamente pronunciata su alcuni profili dell’appello.

Tutti i suddetti motivi sono inammissibili per plurime ragioni.

In primis, le censure cumulano differenti profili di doglianza – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – senza articolare specifiche censure tali da consentire un loro esame separato e, comunque, sono formulate con modalità tali da rendere assai difficoltosa (se non impossibile) l’individuazione delle questioni prospettate (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017, Rv. 643681-01; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 26790 del 23/10/2018, Rv. 651379-01).

In secondo luogo, difetta un’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione alla censura indicata nella rubrica, giustificherebbero la cassazione della pronunzia (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 17224 del 18/08/2020, Rv. 658539-01) e, infatti, nei motivi non si sviluppano argomentazioni intellegibili volte a dimostrare il contrasto tra le norme richiamate e le affermazioni in diritto della sentenza impugnata (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017, Rv. 643681-01; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009, Rv. 609255-01)

Poi, con riguardo alla censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente lamenta un’omessa motivazione non già in relazione ad un “fatto” – da intendersi quale “un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014, Rv. 632989-01) -, bensì con riguardo alle argomentazioni difensive della parte, senza nemmeno prospettare la decisività degli elementi indicati, sicchè le doglianze si risolvono in affermazioni apodittiche, inidonee a inficiare le ragioni esposte nella sentenza di merito.

Inoltre, la parte ricorrente nemmeno si confronta con la sentenza della C.T.R., la quale ha ritenuto che, in caso di unica condotta, non possano trovare applicazione, nel trattamento sanzionatorio, gli istituti del cumulo giuridico e della continuazione.

Infine, in relazione alla pretesa omessa pronuncia su ogni singolo profilo delle argomentazioni dell’appellante, vale per tutti i motivi (in parte anche per quelli già esaminati), il principio secondo cui “Il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto.” (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 12652 del 25/06/2020, Rv. 658279-01).

8. In conclusione, il ricorso di L.A. va respinto.

Alla decisione fa seguito la sua condanna alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese di questo giudizio di cassazione, le quali sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento – da parte della ricorrente L.A. e degli avvocati Claudio Lucisano e Maria Sonia Vulcano (ai quali va riferita anche tale conseguenza dell’inammissibile iniziativa processuale dagli stessi intrapresa; v. Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 12603 del 22/05/2018, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 21512 del 2020, Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 32008 del 09/12/2019, Rv. 656494-01) – dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso avanzato, per M. S.a.s., dagli avvocati Claudio Lucisano e Maria Sonia Vulcano;

respinge il ricorso di L.A.;

condanna gli avvocati Claudio Lucisano e Maria Sonia Vulcano, in solido tra loro, a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito;

condanna L.A. a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento – da parte della ricorrente L.A. e degli avvocati Claudio Lucisano e Maria Sonia Vulcano – dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello (ndr: testo originale non comprensibile) per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 27 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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