Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1736 del 20/01/2022

Cassazione civile sez. II, 20/01/2022, (ud. 23/09/2021, dep. 20/01/2022), n.1736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2243/2017 proposto da:

C. DIFFUSIONE SRL, elettivamente domiciliato in Roma, Via Baldo

Degli Ubaldi, 66, presso lo studio dell’avvocato Simona Rinaldi

Gallicani, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Michele Tolomini;

– ricorrente –

contro

ACCADEMIA MARKETING & COMUNICAZIONI SRL, IN LIQUIDAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato Mauro Ciappetta del Foro di

Milano;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1731/2016 della Corte d’appello di Firenze,

depositata il 15/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/09/2021 dalla Consigliera Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– su ricorso della società editrice Accademia Marketing & Comunicazione Srl (d’ora in poi solo Accademia) il tribunale di Firenze aveva emesso nei confronti della Agenzia Diffusione Cremonese L. C. di I.C. s.a.s. (d’ora in poi solo C.), distributrice monopolista della stampa per la zona di (OMISSIS), un decreto ingiuntivo per il pagamento dell’importo di Euro 23.729,09 in relazione alle consegne di merce effettuate da Accademia;

– il decreto ingiuntivo era stato opposto dall’ingiunta e il tribunale, all’esito del giudizio di opposizione, dichiarò la carenza di titolarità del credito in capo ad Accademia con riferimento al momento della notificazione del decreto ingiuntivo, momento rilevante per la pendenza della lite ex art. 643 c.p.c.;

– inoltre, il tribunale ritenne mancante la prova, cui era tenuta Accademia, dell’asserita pattuizione del contratto contenuto nella “Lettera di accordo commerciale per vendita con diritto di resa” recante la data del 27/9/2002, privo della sottoscrizione dell’opponente C. che ne contestava l’applicabilità;

– la sentenza di prime cure che, per quanto ancora rileva, accolse l’opposizione con conseguente revoca del decreto ingiuntivo, veniva impugnata da parte dell’Accademia che contestava l’accoglimento dell’eccezione preliminare di mancanza di legittimazione ed insisteva nella fondatezza della pretesa creditoria monitoriamente azionata;

– la corte d’appello, diversamente opinando rispetto al tribunale, ha ritenuto sussistente la legittimazione dell’appellante al momento del deposito della richiesta di notifica del decreto ingiuntivo;

– ha osservato, in particolare, la corte territoriale che il contratto di cessione del credito era intervenuto fra Accademia e Haustell il 15 giugno 2004 e che nella stessa data risultava essere stata depositata presso il competente Ufficio Notifiche da Accademia la richiesta di notifica del decreto ingiuntivo, notifica eseguita nelle mani della debitrice C. il 17 giugno 2004;

– la corte territoriale ha, altresì, evidenziato che la cessione del credito era stata comunicata al debitore ceduto C. il 19 giugno 2004;

– in forza di tale successione temporale, il giudice d’appello ha concluso che Accademia era legittimata attiva per essere stata la titolare del credito nel procedimento monitorio nell’ambito del quale era stato emesso il decreto ingiuntivo notificato;

– nel merito, la corte toscana ha poi qualificato il rapporto inter partes, alla stregua degli atti processuali e, in mancanza della prova di specifici accordi sul materiale esercizio del diritto o richiamo di resa, come contratto estimatorio secondo il modello tipico descritto negli artt. 1556 c.c. e segg.;

– ha, inoltre, sottolineato che, sebbene esso non fosse stato redatto in forma scritta, nei rapporti fra le parti trova applicazione la disciplina ordinaria, secondo la quale l’obbligazione primaria dell’accipiens, il distributore locale C., consiste nel pagamento del prezzo corrispondente al valore di stima dei beni ricevuti, una volta decorso il termine per la eventuale restituzione dell’invenduto;

– la corte ha ulteriormente chiarito che, in mancanza di differenti accordi, il richiamo di resa e la conseguente materiale restituzione sono a cura dell’accipiens, il solo nella condizione giuridica di esercitare la scelta tra il pagamento del prezzo della merce ricevuta, così acquisendone la proprietà ovvero restituire la merce nei termini pattuiti o in quelli applicabili secondo le regole generali;

– ciò posto, attesa la mancata restituzione da parte della C. della merce consegnata dal tradens Accademia, la prima era tenuta al pagamento richiesto con il decreto ingiuntivo, sicché l’opposizione di C. è infondata con conferma del decreto ingiuntivo opposto;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta da C. sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria, cui resiste con controricorso, pure illustrato da memoria, la società Accademia.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322,1362,1374,1375,1556 e 2697 c.c., per avere la corte d’appello qualificato il rapporto obbligatorio intercorso tra le parti quale contratto estimatorio, in assenza di uno specifico contratto scritto tra le parti, negandone la natura di rapporto atipico con particolare riferimento all’obbligazione di richiamo di resa delle copie invendute;

– assume la ricorrente che la corte avrebbe errato nella qualificazione del contratto inter partes, che avrebbe trascurato di valorizzare i documenti prodotti dell’opponente e richiamanti i generali accordi di categoria esistente nel settore, e secondo i quali il rapporto negoziale con Accademia andava inquadrato nell’ambito del mandato conferito dall’editore;

– neppure poteva essere valorizzata in tal senso la lettera del 27/9/2002 allegata da Accademia come dimostrazione, per essere stata ratificata per facta concludentia dalla C., dell’accordo contrattuale e specificamente dell’impegno di C. alla restituzione dell’invenduto contenuto nella clausola n. 7; ciò in quanto la scrittura in questione non era stata sottoscritta né era stato altrimenti assolto l’onere probatorio, incombente su Accademia, in ordine all’azionato diritto di credito;

– la censura è infondata;

– è noto che il procedimento di qualificazione dell’accordo negoziale intervenuto fra le parti consta di due fasi, delle quali la prima, volta alla ricerca ed individuazione della comune volontà dei contraenti è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., mentre la seconda incentrata sull’inquadramento della ricostruita comune volontà nello schema legale corrispondente, si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e in quanto tale può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (cfr. Cass. 420/2006; Cass. 29111/2017; Cass. 3115/2021);

– nel caso di specie la corte fiorentina ha ricostruito la comune volontà delle parti alla luce dell’attività di fatto da esse concretamente espletata e cioè la consegna di pubblicazione da parte della società editrice Accademia alla C. affinché ne promuovesse la vendita nella zona di (OMISSIS);

– la conclusione è stata dalla corte territoriale fondata sugli atti processuali, sul rilievo che non era stata provata alcuna diversa specifica trattativa in ordine ad aspetti peculiari quali quello relativo al materiale esercizio del diritto o richiamo della stampa consegnata, rispetto a quella allegata dalla parte creditrice;

– infatti, a fronte dell’allegazione da parte del tradens della lettera di accordo contenente la clausola n. 7 avente ad oggetto l’asserito impegno di C. alla restituzione e della contestazione da parte di quest’ultima della validità di detto accordo, la corte d’appello ha inquadrato l’accertato rapporto fra le parti in termini di contratto estimatorio e non in quello di un rapporto atipico come suggerito in appello dalla C.;

– a tal fine la corte territoriale ha argomentato sulla base della mancata prova di diverse pattuizioni, considerando non decisivi gli invocati accordi di categoria allegati dall’appellata “ed in totale assenza di chiari ed univoci impegni anche in alternativa alla disciplina generale della resa, per come specificata nelle disposizioni sul contratto estimatorio” (cfr. pag. 7, nell’ambito del terzo capoverso della sentenza impugnata);

– l’apprezzamento del giudice d’appello è fondato anche sull’affermazione che, nel caso di specie, la diatriba riguarda l’individuazione della parte sulla quale incombeva il richiamo del reso della merce invenduta, facoltà ritenuta pacificamente presente negli accordi fra le parti, discutendo su chi fosse la parte onerata di attivare il richiamo di resa, e non della pacifica l’obbligazione facoltativa di reso, in difetto di che avrebbe dovuto essere corrisposto il prezzo, secondo lo schema ordinario descritto nell’art. 1556 c.c. (cfr. sempre pag. 7, secondo capoverso);

– ciò posto, la ricostruzione in fatto svolta dalla corte d’appello e sin qui richiamata, non è efficacemente attinta dalla doglianza poiché la ricorrente non indica in che modo le disposizioni invocate e riguardanti l’ermeneutica contrattuale (artt. 1322,1362,1374,1375 c.c.) sarebbero state violate dal giudice d’appello nell’apprezzamento delle circostanze di fatto emerse nel processo a seguito delle allegazioni e produzioni delle parti (cfr. Cass. 4178/2007; id. 19044/2010);

– neppure appare ravvisabile la violazione dell’art. 2697 c.c., dal momento che appare conforme a legge il ragionamento svolto dal giudice d’appello là dove, dopo avere preso atto della contestazione di C. sulla validità dei termini contrattuali come indicati nella lettera del 27/9/2002, ha posto a carico di C. la prova delle specifiche pattuizioni a sostegno della prospettata tesi dell’atipicità del contratto intercorso fra le parti, rispetto all’applicazione della disciplina ordinaria del contratto estimatorio;

– tale conclusione vale, peraltro, a maggior ragione rispetto al rapporto di mandato prospettato da C. in ricorso e di cui la sentenza impugnata non dà conto) censura che parrebbe prima ancora inammissibile per non avere la ricorrente specificato dove l’aveva in precedenza allegata (cfr. Cass. 1435/2013; id. 27568/2017)

– quanto poi alla effettuata sussunzione dell’accertata fattispecie nel modello tipico di riferimento del contratto estimatorio ed alla rilevanza qualificante attribuita agli elementi di fatto accertati e alle implicazioni effettuali conseguenti, la censura alla sentenza impugnata non coglie nel segno;

– nell’ambito di tale sussunzione, infatti, la corte territoriale non è incorsa in violazione di legge;

– il giudice d’appello ha affermato, coerentemente con la giurisprudenza di legittimità, che elemento caratterizzante del contratto estimatorio non è il termine per la restituzione, non facendo il decorso o l’assenza di esso venir meno nell’accipiens il diritto di restituire la cosa, dovendo, altrimenti, egli provvedere al pagamento del prezzo (cfr. Cass. 25606/2015);

– infine, non vale a smentire la qualificazione in termini di contratto estimatorio tipico, il richiamo operato dal ricorrente alla sentenza della Corte n. 11196/2003, giacché nel caso ivi esaminato gli accordi contrattuali erano stati oggetto di specifica pattuizione fra le parti di causa e cioè l’editore e il distributore nazionale e l’affermazione sul contratto estimatorio concluso fra il distributore locale e le rivendite, fatta dalla Corte, si inserisce perciò in un diverso contesto negoziale, nel caso di specie non provato;

– in conclusione, dunque, il ricorso è rigettato e le spese di lite sono poste, in applicazione del principio della soccombenza, a carico della ricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e dichiara la ricorrente tenuta alla rifusione a favore della controricorrente delle spese di lite; che liquida in Euro 3000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

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