Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17357 del 26/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 26/08/2016, (ud. 12/07/2016, dep. 26/08/2016), n.17357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 474-2012 proposto da:

AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA MILANOSTAMPA S.P.A. (C.F./P.I.

(OMISSIS)), in persona dei Commissari Straordinari pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 15, presso

l’avvocato LUCA PARDO, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati SERGIO MARADEI, GIUSEPPE GIACOMINI, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CASSA DEL RISPARMIO DI FORLI’ E DELLA ROMAGNA S.P.A., (C.F./P.I.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA GRAZIOLI 15,

presso l’avvocato BENEDETTO GARGANI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANGELO FIORITO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 780/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 23/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2016 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato MARADEI SERGIO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per la controricorrente, l’Avvocato FIORITO ANGELO che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Milanostampa s.p.a. in amministrazione straordinaria chiedeva che venissero dichiarate inefficaci L. Fall., ex art. 67, comma 2, i versamenti eseguiti dalla società con funzione solutoria sul conto corrente(su cui risultava un affidamento sino a Lire 250 milioni), intrattenuto con la Cassa del Risparmi di Forlì e della Romagna, eseguiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di insolvenza del 21/6/2002, con la condanna della convenuta al pagamento della somma di Euro 1.896.380,12.

La banca nel costituirsi contestava la conoscenza dello stato di insolvenza della società sino al 4/6/2002 e l’astratta revocabilità delle rimesse.

Il Tribunale accoglieva la domanda, dichiarava l’inefficacia delle rimesse solutorie effettuate dopo il 27/8/2001 per complessivi Euro 960.342,31, condannando la convenuta al pagamento di detta somma, oltre interessi e spese.

La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 13-23 maggio 2011, ha accolto l’appello principale della Cassa, respinto l’appello incidentale dell’Amministrazione straordinaria, ha quindi respinto le domande di questa, ed ha dichiarato l’inammissibilità della domanda di restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza appellata, condannando la società in a.s. alle spese dei due gradi del giudizio.

La Corte del merito, nello specifico, respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi, ha escluso la nullità della C.T.U., sebbene fosse stato chiesto al Consulente d’ufficio non solo di individuare le rimesse solutorie, ma anche di accertare la conoscenza dello stato di insolvenza, rilevando che la C.T.U. aveva comunque fornito dati tecnici utili per la decisione, pur a fronte dell’ampiezza dei quesiti, e che in ogni caso la conclusione sul punto dell’accertamento della conoscenza dello stato di insolvenza non aveva valenza di prova, spettando al giudice la valutazione complessiva.

La Corte d’appello, preso atto delle indicazioni della C.T.U. sulla chiusura del bilancio al 31/12/2000 con un utile, al netto di imposte, di 527 milioni di Lire, mentre la riclassificazione dei bilanci 1999 e 2000 aveva rilevato una situazione patrimoniale deficitaria, ha rilevato: che il Tribunale non aveva aggiunto molto e soprattutto, non aveva chiarito che cosa avesse visto dall’andamento del conto corrente; che l’andamento oscillante del conto corrente smentiva la “strategia al rientro” che secondo l’Amministrazione straordinaria costituiva un sintomo della conoscenza dello stato di insolvenza; che l’annotazione a debito di 10 effetti protestati non era un sintomo di insolvenza del creditore, ma al più di una generalizzata situazione di difficoltà, visto l’incasso della gran parte dei crediti; che il Tribunale aveva evidenziato che delle 764 operazioni annotate solo 24 riguardavano pagamenti con assegni, non chiarendo perchè fossero pochi, e che prima dell’addebito della rata di mutuo l’importo veniva accreditato per mezzo di un giroconto, senza indicare quali argomenti si potessero trarre da tale fatto (e in ogni caso le rate venivano pagate e questo era il dato più interessante per la banca).

L’andamento del conto, secondo la Corte del merito, piuttosto smentiva la conoscenza da parte della banca della situazione di insolvenza visto che l’apertura di credito non era stata revocata e la società aveva continuato ad eseguire operazioni a debito sino a tutto giugno 2002.

Quanto all’analisi dei bilanci, la Corte torinese ha rilevato che i dati del bilancio al 31/12/00 andavano letti anche alla luce della Delib. 24 novembre 2000, di aumento del capitale da 9,430 miliardi a 30, con ingresso di Sviluppo Italia, circostanza resa nota alla Cassa, che aveva concesso nel gennaio 2010 un nuovo finanziamento per 5 miliardi, e un mese dopo una linea di credito per 7 miliardi per anticipazione sulle esportazioni; che le prove testimoniali non avevano aggiunto nulla di decisivo e che l’avere continuato a concedere credito provava la fiducia della Cassa nella riversibilità della situazione e tale prosecuzione del rapporto nella revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2, è un indiscutibile segno contrario alla scientia decoctionis.

Ed infine, la Procedura aveva insistito nell’ammissione delle prove, senza nulla dedurre sulla utilità e ammissibilità di prove dirette a provare circostanze non contestate e descritte in modo generico.

Ricorre avverso detta pronuncia l’Amministrazione straordinaria, con ricorso affidato ad otto motivi.

Si difende con controricorso la Cassa.

Ambedue le parti hanno depositato le memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Col primo motivo, la Procedura si duole del vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 116, 191, 194 c.p.c., artt. 2697 e 2729 c.c., per avere la Corte di merito omesso di motivare la reiezione delle conclusioni della C.T.U. e le diverse ragioni poste a base del proprio convincimento, mentre avrebbe dovuto contestare le fonti della C.T.U. e le note metodologiche di pagina 2 e 3 della relazione; avrebbe dovuto chiarire per quale ragione l’impropria modalità di pagamento con giroconti non costituisse indizio sufficiente, motivare sul rilievo che il deliberato aumento era stato versato solo per circa Lire 10.507.000.000, mentre per la parte residua era stato utilizzato il patrimonio netto, e sulla concessione del nuovo finanziamento. E, secondo la ricorrente, se la Corte d’appello avesse ritenuto di non condividere le risultanze della C.T.U., dopo avere adeguatamente motivato sulla inidoneità metodologica e tecnica della stessa, avrebbe dovuto al più licenziare una seconda consulenza.

1.2.- Col secondo mezzo, la ricorrente denuncia il vizio di motivazione insufficiente sull’andamento del conto corrente; sostiene che la Corte di merito non motiva perchè l’andamento oscillante del conto escludesse la strategia del rientro, e non chiarisce perchè i 24 assegni non potessero considerarsi scarsi rispetto al monte operazioni e tace completamente sui pagamenti con cambiali, che indicano la palese anomalia dei rapporti.

1.3.- Col terzo, del vizio di omessa o insufficiente motivazione sul pagamento del mutuo a mezzo giroconto, essendosi la Corte d’appello limitata ad affermare che l’unico dato interessante, dal punto di vista della Cassa, era il pagamento delle sue spettanze.

1.4.- Col quarto, denuncia il vizio di omessa motivazione in relazione all’aumento del capitale deliberato il 24/11/00, per non avere valutato che per l’aumento di capitale vennero utilizzate riserve del patrimonio netto, pari a quasi il 37% dello stesso.

1.5.- Col quinto, del vizio di contraddittorietà della motivazione in relazione al finanziamento ed alla linea di credito concessi a gennaio- febbraio 2001; secondo la ricorrente, la Corte del merito non considera che il bilancio ed in particolar modo la nota integrativa sono stati depositati ad agosto 2001, mentre sono antecedenti il finanziamento e la linea di credito.

1.6.- Col sesto, del vizio ex art. 360 c.p.c. n. 3, per avere la Corte d’appello affermato che la mera prosecuzione del rapporto deve essere considerato elemento decisivo per escludere la scientia.

1.7.- Col settimo, denuncia il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’appello preteso che il Tribunale motivasse la positiva decisione il cui accertamento era stato correttamente demandato al C.T.U. (consulenza percipiente) e fatto proprio dal primo Giudice.

1.8.- Con l’ottavo mezzo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 116, 191 e 194 c.p.c., artt. 2697 e 2729, per avere escluso che la C.T.U. potesse costituire fonte oggettiva di prova.

2.1.- I motivi primo, settimo ed ottavo, strettamente connessi, vanno valutati unitariamente e sono da ritenersi infondati.

Come affermato, tra le ultime, nella pronuncia 1186/2016, la consulenza tecnica d’ufficio è funzionale alla sola risoluzione di questioni di fatto che presuppongano cognizioni di ordine tecnico e non giuridico sicchè i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti, nè, ove una tale inammissibile valutazione sia stata comunque effettuata (nella specie, quella relativa alla qualificazione della “attività confacente alle attitudini dell’assicurato”, di cui alla L. n. 222 del 1984, art. 1 come attività usurante o stressante, o meno), di essa si deve tenere conto, a meno che non venga vagliata criticamente e sottoposta al dibattito processuale delle parti.

Ed in termini ancora più chiari si è espressa la pronuncia 996/1999, nel senso che la consulenza tecnica è un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria)sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito, il quale, tuttavia, nell’ammettere il mezzo stesso deve attenersi al limite ad esso intrinseco consistente nella sua funzionalità alla risoluzione di questioni di fatto presupponenti cognizioni di ordine tecnico e non giuridico; pertanto il giudice, qualora erroneamente affidi al consulente lo svolgimento di accertamenti e la formulazione di valutazioni giuridiche o di merito inammissibili, non può risolvere la controversia in base ad un richiamo alle conclusioni del consulente stesso, ma può condividerle soltanto ove formuli una propria autonoma motivazione basata sulla valutazione degli elementi di prova legittimamente acquisiti al processo e dia sufficiente ragione del proprio convincimento, tenendo conto delle contrarie deduzioni delle parti che siano sufficientemente specifiche.

E la Corte d’appello ha congruamente tenuto conto dei limiti propri della C.T.U., non accoglibile quanto alla valutazione propriamente giudiziale della prova della scientia decoctionis, ma utilizzabile in relazione ai dati di carattere tecnico dalla stessa forniti, come tali sottoposti alla valutazione propriamente giudiziale.

E’ inconferente infine il richiamo alla cd. consulenza percipiente atteso che, come tra le ultime affermato nell’ordinanza 1190/2015, questa si realizza ove la consulenza e le correlate indagini peritali vertano su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone.

Nel caso di specie, invece, al C.T.U. era stato assegnato un ampio quesito, comprensivo anche del vero e proprio giudizio sulla prova della scientia decoctionis.

3.2.- Tutti i motivi di cui ai nn. 2, 3, 4 e 5, in quanto tra di loro collegati, possono essere valutati unitariamente e sono da ritenersi inammissibili.

Le censure motivazionali si risolvono infatti nella prospettazione di una interpretazione degli elementi presuntivi, diversa da quella argomentata congruamente e logicamente dalla Corte d’appello, e, come reiteratamente affermato da questa Corte, il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata; questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (così la pronuncia 6064/2008, ed in senso conforme, la pronuncia delle S.U. 26825/2009 e, resa a sezione semplice, la sentenza 7394/2010).

3.3.- Il sesto motivo è infondato.

Ed infatti, come affermato nella pronuncia 1617/2009, in tema di revocatoria fallimentare, la mera prosecuzione di un rapporto con il debitore non può, di per sè, essere considerata decisiva ai fini della esclusione della “scientia decoctionis”, in quanto anche in questa situazione il creditore (nella specie, una banca) può essere indotto a continuare le proprie prestazioni dalle più varie motivazioni, come quella di ottenere, almeno, dei pagamenti parziali o di accrescere le proprie garanzie, ma, a parte il rilievo che nella specie non si tratta di mera prosecuzione, ma di incremento dell’affidamento, lo stesso va valutato nel contesto dell’intero quadro indiziario, come correttamente effettuato dal Giudice del merito, e non parcellizzato, come inteso dalla ricorrente.

4.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso; le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del giudizio, liquidate in Euro 20.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2016

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