Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17355 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/08/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 19/08/2020), n.17355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9432-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SPAZIO MODA SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 239/212 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 08/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere Dott. GRAZIA CORRADINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con avviso di accertamento – emesso sulla base di un accesso mirato nei confronti della Srl Spazio Moda e di una verifica tributaria generale promossa nei confronti della Srl LIP – la Agenzia delle Entrate di Caserta procedette, per quanto ancora interessa, al recupero, nei confronti della Srl Spazio Moda, della detrazione IVA per l’anno 2005, per l’importo di Euro 523.437, ritenendo che la LIP Srl avesse posto in essere operazioni di triangolazione a fini di frode IVA, effettuando fittiziamente l’acquisto di merci sul mercato extracomunitario ed immettendo i beni importati dalla Cina in un deposito fiscale IVA per poi estrarli mediante autofattura e quindi immetterli nel mercato nazionale attraverso 45 fatture a favore della società Spazio Moda, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di calzature ed accessori. La Agenzia delle Entrate ritenne in particolare che, non disponendo la società LIP di una struttura operativa capace di movimentare la merce acquistata, essa avesse operato come “società cartiera” con l’intento – realizzato – del mancato versamento dell’IVA – che veniva quindi recuperata – da parte del soggetto interposto e la indebita detrazione della stessa da parte della società Spazio Moda.

Il ricorso, proposto dalla società Spazio Moda, che aveva dedotto la realtà delle operazioni e l’avvenuto pagamento delle fatture con mezzi bancari, fu respinto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, con sentenza n. 557/12/2011, sulla base del rilievo che l’Ufficio aveva correttamente operato utilizzando elementi che facevano presumere il coinvolgimento della società Spazio Moda nella cd. “frode carosello”, mentre la ricostruzione dei flussi finanziari non dimostrava la effettività delle operazioni.

Investita dall’appello della contribuente che aveva ribadito, sempre per quanto ancora interessa ai fini del presente ricorso per cassazione, la propria inconsapevolezza della frode IVA posta in essere dalla LIP e la archiviazione del procedimento penale nei confronti del legale rappresentante della società Spazio Moda, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 239/15/2012, depositata in data 8.10.2012, accolse l’appello quanto alla contestazione della indebita detrazione IVA e compensò fra le parti le spese del giudizio. Rilevò in proposito che i primi giudici non avevano approfondito il tema della consapevole partecipazione della società appellante al preteso meccanismo fraudolento, mentre gli elementi offerti dall’Ufficio al fine di qualificare la LIP come società “cartiera” non erano univoci ed erano svalutati da elementi altrettanto consistenti offerti dalla contribuente, poichè la importatrice, agendo come “trader”, utilizzava i depositi doganali a lungo termine fino al momento della vendita della merce, il che giustificava anche che potesse finanziarsi tramite le lunghe dilazioni di pagamento concesse all’importatore, senza necessità di affidamenti bancari; anche il mancato pagamento dell’IVA da parte della LIP, che pure costituiva un indizi grave, ma non univoco, poteva essere ascritto a comportamento dei suoi amministratori e non provava da solo la colpevole ignoranza della società Spazio Moda di avere partecipato ad una operazione in frode all’IVA, a fronte della prova offerta dalla contribuente della effettività della operazione, del trasporto della merce e del pagamento, non contrastata da acquisti sottocosto o da movimentazioni bancarie “di ritorno” o anticipazioni di pagamenti e confortata dal provvedimento di archiviazione penale emesso nei confronti del legale rappresentante della società Spazio Moda, che aveva posto in luce gli argomenti sottolineati dal Pubblico Ministero a favore della tesi della contribuente.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, con atto spedito l’8 aprile e ricevuto il 10 aprile 2013, affidato a due motivi.

L’intimata non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, per avere la sentenza impugnata attribuito all’Ufficio il mancato assolvimento dell’onere dimostrativo a lui spettante, non avendo compiuto “alcuna attività, da parte dei verbalizzanti prima e dell’Ufficio dopo, diretta a riscontrare l’esistenza di elementi significativi quali l’acquisto da parte della Spazio Moda della merce sottocosto, movimentazioni bancarie di ritorno o anticipazioni dei pagamenti…che avrebbero potuto dimostrare la fittizietà del rapporto e quindi la piena consapevolezza della partecipazione dell’appellante all’operazioni fraudolenta” e, per converso, alla Spazio Moda di avere, invece, “fornito prove dell’effettività delle operazioni commerciali intrattenute con la LIP, attraverso il deposito di documentazione di trasporto e contabile relativa ai pagamenti effettuati”, così violando i principi giurisprudenziali, pur correttamente richiamati, ma non applicati, ritenendo, nella sostanza, che la documentazione formalmente regolare costituirebbe prova sufficiente ed adeguata del diritto alla detrazione della relativa imposta fino a quando l’Ufficio non fornisca la prova inequivocabile della falsità dei documenti e della consapevole partecipazione del contribuente al meccanismo fraudolento diretto all’evasione di imposta; mentre invece, in base al consolidato insegnamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione ed anche secondo la giurisprudenza comunitaria, il diritto alla detrazione è condizionato dallo stato soggettivo del cessionario, il quale, non solo deve essere inconsapevole della frode, ma deve avere adottato tutte le misure necessarie per evitare di restarvi coinvolto.

2. Con il secondo motivo deduce insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo al disconoscimento del valore indiziario delle circostanze addotte dalla Amministrazione Finanziaria a supporto della prova acquisita tramite le due verifiche della Guardia di Finanza (in relazione alla mancata disponibilità di locali da parte della società LIP, alla sproporzione fra gli acquisti effettuati e le effettive possibilità finanziarie dell’interposta ed al mancato versamento dell’IVA) ed alla valutazione del decreto di archiviazione penale che non aveva valore di prova nel giudizio tributario ed il cui compendio probatorio era stato esaminato solo attraverso l’insignificante inciso: “Particolarmente significative sono le motivazioni adottate dal PM per chiedere l’archiviazione, in gran parte coincidenti con gli argomenti che questa Commissione ha posto a base del suo convincimento”.

3. Il primo motivo è infondato.

4. La Agenzia ricorrente ha nella sostanza lamentato, sotto il profilo della violazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3., la erronea applicazione della regola dell’onere della prova, con riguardo ad operazioni soggettivamente inesistenti, poichè sarebbe spettato alla contribuente dare la dimostrazione della sua estraneità alla frode ma anche della totale inconsapevolezza della falsità delle fatture e di avere adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione compiuta non la conduca a partecipare ad una frode fiscale, mentre nella specie la sentenza impugnata avrebbe erroneamente addossato tale prova all’Ufficio ed avrebbe ritenuto prova sufficiente a favore della contribuente la effettività della prestazione ed il pagamento della stessa.

4.1. In effetti, il vizio di violazione di legge può essere posto anche con riguardo alla violazione dell’art. 2697 c.c., che si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (v., da ultimo, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01); ma in proposito la regola iuris, con riguardo ad operazioni soggettivamente inesistenti, non è esattamente quella richiamata dalla Agenzia, come sopra riportata, che vorrebbe addossare al contribuente la dimostrazione della sua estraneità alla frode ma anche della totale inconsapevolezza della falsità delle fatture e di avere adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione compiuta non la conduca a partecipare ad una frode fiscale, bensì quella – diversa – per cui “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (v., per tutte, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018 Rv. 651269 – 01; Sez. 5 -, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018 Rv. 647837 – 01).

4.2. In tema di IVA, infatti, il principio di neutralità dell’imposizione comporta che l’Amministrazione finanziaria, ove contesti che siano state poste a fondamento della detrazione della relativa imposta operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche in via presuntiva, la ricorrenza di elementi oggettivi dai quali emerga che il contribuente, nel momento in cui acquistò il bene o il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva evaso l’imposta o partecipato ad una frode (v., ancora, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 9721 del 19/04/2018 Rv. 647833 – 01) e tale giurisprudenza interna è del tutto in linea con quella comunitaria, per cui “In tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune Europeo – come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C-285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) – e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, fermo restando che, nelle ipotesi più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare), detto onere può esaurirsi, attesa l’immediatezza dei rapporti, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale, mentre in quelle più complesse di “frode carosello” (contraddistinta da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società “filtro”) occorre dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24426 del 30/10/2013 Rv. 629419 – 01).

4.3. La sentenza impugnata, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente Agenzia, ha quindi fatto corretta applicazione della regola iuris e dei principi giuridici emergenti in tema di onere della prova dalla giurisprudenza interna e della Corte di Giustizia ed in effetti applicabile nel caso nel esame, ritenendo che la prova degli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente la dovesse offrire all’Ufficio e che l’Ufficio non l’avesse offerta in concreto poichè aveva dimostrato soltanto il mancato versamento dell’IVA da parte della società LIP, essendo gli altri elementi (diretti a dimostrare la mancanza di dotazioni da parte della LIP) ambigui e contrastati da altri di pari rilievo, ma non aveva soprattutto dimostrato la consapevolezza della partecipazione del contribuente alla operazione fraudolenta.

4.4. Non vi è stata quindi alcuna violazione di legge che consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017 Rv. 646811 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010 Rv. 614588 – 01), mentre nella specie non si pone una questione di erronea ricognizione della fattispecie normativa astratta, e della interpretazione della regola che ne disciplina la prova, bensì della valutazione della prova operata dalla sentenza di merito, in relazione alla fattispecie concreta che spetta esclusivamente al giudice di merito nell’ambito della mediazione derivante dalla valutazione delle risultanze di causa.

4.5. Il giudice di merito ha infatti rilevato espressamente – sulla base di una serie di argomentazioni certamente non illogiche – che la Amministrazione Finanziaria non aveva fornito la prova che le spettava sotto il duplice profilo della fittizietà della operazione (per la quale pacificamente non era stata versata l’IVA) e del fatto che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, a seguito della quale, soltanto, scattava l’onere per il contribuente di offrire la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto e solo incidentalmente ha aggiunto una serie di considerazioni in ordine agli elementi attraverso i quali la Amministrazione Finanziaria avrebbe potuto dimostrare la fittizietà delle operazioni e della consapevolezza o colpevole ignoranza della frode da parte del contribuente. E non è vero neppure che la sentenza impugnata abbia attribuito il valore di prova contraria alla documentazione relativa alla effettività della operazione ed al pagamento, poichè, a tale proposito, La sentenza impugnata ha espressamente rilevato la irrilevanza di una tale prova, sulla base di una giurisprudenza consolidata, per cui i movimenti bancari venivano di regola predisposti per conferire effettività alla operazione inesistente.

5. Quanto poi al secondo motivo di ricorso, dedotto “per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, che sarebbe consistito nel trascurare le prove offerte dalla Guardia di Finanza e nel valutare a favore del contribuente il provvedimento di archiviazione del procedimento penale sorto a carico del legale rappresentante della società Spazio Moda, che invece sarebbe privo di qualsiasi rilievo in considerazione della autonomia dei giudizi penale e tributario, occorre preliminarmente rilevare che esso è inammissibile perchè trattasi di censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione anteriore alla riforma di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile nella specie ratione temporis. Infatti il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012, ha modificato l’art. 360 c.p.c., n. 5, limitandone l’applicazione al solo caso di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e di ciò non ha tenuto conto la ricorrente che ha richiamato, a sostegno del ricorso, la norma non più applicabile.

5.1. L’attuale versione di detta norma, che è applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore dell’anzidetta legge di conversione, e dunque dall’11.9.2012 (nel caso in esame la sentenza è successiva in quanto pubblicata in data 8.10.2012), è stata interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo più inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nè in quello del precedente n. 4 (v. Cass. n. 11892 del 2016). Pertanto, il vizio previsto dalla vigente disposizione sussiste qualora il giudice di appello abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, oppure ricorrano una “mancanza assoluta dei motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, una “motivazione apparente”, un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, a nulla rilevando il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. n. 21257 del 2014; da ultimo, v. Sez. 2 -, Ordinanza n. 20721 del 13/08/2018 Rv. 650018 – 02).

5.2. Nel caso in esame parte ricorrente contesta, però, l’apprezzamento non già dei fatti, operato dal giudice di appello, bensì la valutazione operata dal detto giudice con riguardo alle prove offerte dalle parti; e non si tratta neppure della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o della “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, bensì eventualmente di un caso di un motivazione “insufficiente”, così come specificamente dedotto dalla Agenzia ricorrente, che, come tale, resta irrilevante poichè la censura si s’infrange ora anche contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis, secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonchè, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez. un. 19881 del 2014).

6. Non si deve provvedere alle spese del presente giudizio poichè l’intimata non si è costituita. Non sussistono i presupposti per l’applicazione della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1.17, con il quale è stato modificato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, mediante l’inserimento del comma 1-quater, poichè tale disposizione non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016 Rv. 638714 01).

P.Q.M.

La Corte: Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

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