Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17355 del 13/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 13/07/2017, (ud. 08/02/2017, dep.13/07/2017),  n. 17355

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16046/2011 proposto da:

ELETTROOROBICA S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato RENATO MACRO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO BALDASSARRE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ENRICO MITTONI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ANTONINO

SGROI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 62/2011 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 22/02/2011 R.G.N. 404/10;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’improcedibilità del

ricorso in subordine l’accoglimento del quarto motivo di ricorso;

udito l’Avvocato LELIO MARITATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata il 22 febbraio 2011, la Corte d’appello di Brescia ha accolto l’impugnazione proposta dall’Inps contro la sentenza resa dal giudice di primo grado che, su ricorso della Elettroorobica s.r.l., aveva accolto l’opposizione da questa proposta contro il verbale di accertamento del 6/2/2007, redatto da ispettori dell’Inps e avente per oggetto il recupero dei contributi previdenziali relativi a lavoratori assunti per il tramite di altri soggetti, in violazione del divieto di intermediazione di manodopera.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che tra il Gruppo consortile di imprese associate e la società appellante fosse intercorso un rapporto di fornitura di manodopera, e non già un contratto di appalto. Quanto alla impossibilità di individuare i nominativi dei lavoratori inviati, la Corte ha ritenuto irrilevante tale circostanza, in ragione del fatto che presso la gestione Inps dei lavoratori dipendenti risultano comunque aperte le varie posizioni dei lavoratori sulle quali confluiranno i contributi, peraltro calcolati sulla base dei minimali per il più basso livello retributivo.

Contro la sentenza, la società propone ricorso per cassazione fondato su quattro motivi, cui resiste l’Inps con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A. Preliminarmente, deve rigettarsi l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione sollevata dal controricorrente. Risulta dallo stesso ricorso (pag. 30), oltre che dallo stesso controricorso, che la sentenza della corte d’appello è stata notificata all’odierna ricorrente in data 30 marzo 2011. Il ricorso per cassazione è stato avviato per la notifica, mediante consegna all’ufficiale giudiziario, il 30 maggio 2011 e la notificazione si è perfezionata in pari data. Vi è stato dunque il rispetto del termine breve per impugnare previsto dall’art. 325 c.p.c., considerato che il sessantesimo giorno, ossia il 29 maggio 2011, cadeva di domenica e trovando applicazione l’art. 155, comma 4, cod.proc.civ., a norma del quale “se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno successivo non festivo”.

1. Con il primo motivo la società lamenta la violazione della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1, rilevando che l’attività svolta dagli operatori del Gruppo consortile era quella tipica di facchinaggio, lecita ai sensi dell’art. 3, e art. 5, lett. g) della citata legge.

1.1. Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata afferma che i lavoratori inviati dal Gruppo consortile all’odierna ricorrente (come ad altre imprese) venivano utilizzati nell’attività di produzione o in attività accessorie promiscuamente ai dipendenti delle società utilizzatrici, e che, nel caso in esame, i lavoratori inviati dal consorzio erano stati impegnati in operazioni normalmente eseguite dai dipendenti della Elettroorobica, impiegati in quel periodo in altre attività (disimballaggio e collocazione dei materiali in prossimità della linea di montaggio di quadri elettrici). In nessuna parte della sentenza vi è cenno ad attività di facchinaggio, nè la ricorrente deduce in quale atto, in che termini ed in quale fase del processo tale circostanza sarebbe stata sottoposta alla cognizione del giudice del merito. Sotto questo profilo, il motivo è affetto da genericità non rispettando il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, ed è pertanto inammissibile.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio e si duole del giudizio della Corte circa la natura fittizia dei contratti di appalto tra il Gruppo consortile ed essa ricorrente in mancanza di accertamenti diretti nei suoi confronti nonchè sul tipo di attività in concreto svolta dai lavoratori, essendosi l’attività accertativa limitata alle attività del Consorzio.

2.1. Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto meramente apparente il contratto di appalto intercorso tra la ricorrente e il Gruppo consortile, in ragione dell’inesistenza in capo al consorzio di una reale struttura imprenditoriale, dell’assenza di un rischio di impresa e di personale qualificato che si occupasse, nelle varie aziende, di impartire direttive alla manodopera inviata; ha altresì accertato, anche attraverso la prova testimoniale assunta, la natura subordinata dei rapporti di lavoro tra la Elettroorobica s.r.l. e i lavoratori inviati, attese le modalità con cui questi venivano richiesti e impiegati nell’attività aziendale. La motivazione è senz’altro sussistente, non si ravvisano le insufficienze lamentate, nè infine sono riscontrabili incongruenze.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e censura la sentenza nella parte in cui ha attribuito alla Elettroorobica l’onere della prova.

3.1. Il motivo non può trovare accoglimento. L’affermazione – che pur si legge nella sentenza impugnata, secondo cui in caso di azione di accertamento negativo è onere della parte istante offrire la prova contraria della subordinazione – è in contrasto con i principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui nel giudizio promosso dal contribuente per l’accertamento negativo del credito previdenziale, incombe all’INPS l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa contributiva (Cass. 6/09/2012, n. 14965).

3.2. Il principio vale anche quando l’Istituto previdenziale è convenuto in un giudizio di accertamento negativo poichè, in tema di riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, con la conseguenza che la sussistenza del credito contributivo dell’INPS, preteso sulla base di verbale ispettivo, deve essere comprovata dall’Istituto con riguardo ai fatti costitutivi (Cass. 10/11/2010, n. 22862).

3.3. Tuttavia, l’erroneità dell’affermazione in diritto non è tale da condurre alla cassazione della sentenza, giacchè è evidente che essa è stata fatta ad abundantiam, per corroborare il giudizio circa la natura subordinata dei rapporti di lavoro, al quale la Corte era già pervenuta sulla base delle emergenze istruttorie in atti (accertamenti compiuti in sede ispettiva dall’Inps e prova testimoniale).

3.4. Il valore non decisivo dell’affermazione si evince con chiarezza dal suo tenore, e in particolare dall’uso della locuzione “in ogni caso” (“e in ogni caso poichè è stata proposta un’azione di accertamento negativo dalla Elettroorobica, l’onere della prova contraria gravava su quest’ultima” così a pag. 5 della sentenza), e dalla sua collocazione, tra parentesi e dopo l’esaurimento del ragionamento decisorio sulla natura subordinata dei rapporti di lavoro.

3.5. La natura di mero obiter dictum del passaggio argomentativo lo priva di ogni influenza sul dispositivo essendo improduttivo di effetti giuridici, sicchè esso non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. 22/11/2010, n. 23635; Cass. 5/6/2007, n. 13068; Cass. 28/3/2006, n. 7074; da ultimo, Cass. 22/10/2014, n. 22380).

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui la sentenza non ha tratto dalla mancata indicazione delle generalità dei lavoratori, cui si riferiscono i contributi omessi, l’insussistenza del diritto dell’Inps.

Il motivo è infondato.

Come risulta dalla sentenza impugnata, sono stati identificati i lavoratori che hanno lavorato nei periodi oggetto di accertamento per il Gruppo consortile.

La mancanza di una specifica indicazione del numero e del nominativo dei lavoratori inviati in forza dei singoli contratti di appalto alle varie imprese utilizzatrici, tra cui l’odierna ricorrente, è stata ritenuta dalla Corte territoriale irrilevante, in ragione della correttezza delle modalità di calcolo dei contributi, effettuato dall’Inps sulla base degli importi delle fatture (al netto di iva) emesse dal Gruppo consortile in favore della società Elettroorobica, divisi per la tariffa media oraria applicata al cliente (e desunta dai tariffari reperiti presso la sede del Gruppo consortile), sì da determinare il numero di ore lavorate; sulla base di tale monte ore sono state poi applicate le retribuzioni orarie previste dal CCNL di settore per l’operaio di livello più basso.

Posto che, in ogni caso, i contributi vanno computati sul dovuto e non su “quanto percepito dal lavoratore”, se inferiore al minimale, e rilevato che i contributi sono stati correlati alla retribuzione minima per la qualifica più bassa prevista della contrattazione collettiva, appare del tutto inammissibile per difetto di interesse la censura prospettata (per il vero genericamente) sotto il profilo del quantum dalla ricorrente, giacchè è pacifico – e comunque non risulta neppure dedotto – che la ricorrente non avrebbe potuto pagare contributi inferiori rispetto a quelli calcolati dall’Inps.

Inoltre, come si è detto, i lavoratori assunti dal Gruppo consortile, e di volta in volta inviati alle varie imprese, sono stati nominativamente individuati in quanto dipendenti della impresa fornitrice e per questo assicurati all’INPS (anche in virtù dei principi di obbligatorietà, indisponibilità ed automaticità del rapporto previdenziale).

Ne consegue l’infondatezza della tesi, riassunta nel quesito di diritto formulato al termine del motivo, secondo cui l’INPS procederebbe ad incamerare i contributi in oggetto in maniera indistinta senza che si conoscano i nomi dei beneficiari: tale operazione, in presenza di totale omissione del datore di lavoro reale (come qui si è verificata sia nel pagamento dei contributi, sia nella trasmissione delle necessarie informazioni), può essere facilmente compiuta dall’Inps, attraverso la ricostruzione delle vicende dei rapporti che ciascun lavoratore intratteneva con il somministratore abusivo in base ai documenti obbligatori (libri matricola e paga) e considerando gli appalti intervenuti nel corso del tempo coi vari utilizzatori tenuti al versamento dei contributi.

Si tratta di un’operazione da effettuarsi alla luce della concezione solidaristica (riconosciuta da Cass. 1589/2004 e riaffermata anche dalle Sezioni Unite n.12269/2004) cui è improntato il sistema previdenziale sotto molteplici aspetti (criterio di ripartizione, assenza di sinallagmaticità, natura giuridica dei contributi, minimi e massimi pensionistici, ecc.) e tenendo conto del rapporto giuridico intercorrente esclusivamente tra lo stesso istituto previdenziale ed i lavoratori assicurati.

E’ stata infatti affermata dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. U., 18/12/2009, n. 26641; Sez. U., 2/7/2007, n. 14953) la tesi secondo cui, in relazione al rapporto giuridico previdenziale con l’INPS, “L’antica concezione sulla natura trilaterale del rapporto assicurativo intercorrente tra assicurante, assicurato ed ente assicuratore (Cass. 18 luglio 1979 n. 4227) è attualmente superata dalle convergenti dottrina e giurisprudenza (Cass. 3 luglio 2004 n. 12213), che individua tre rapporti bilaterali: quello tra datore di lavoro ed ente previdenziale per la provvista finanziaria attraverso i contributi; quello tra il lavoratore ed ente previdenziale per le prestazioni; quello del lavoratore con il datore di lavoro, stante l’interesse del primo all’adempimento dell’obbligazione contributiva. Ciò a causa della necessaria distinzione del rapporto assicurativo, che ha esclusiva fonte nella legge, dal rapporto di lavoro, che ha fonte in un atto negoziale o in un provvedimento amministrativo, e la conseguente natura soltanto incidentale degli accertamenti relativi al secondo (Cass. Sez. Un. 5 febbraio 1991 n. 1076; 13 luglio 1993 n. 7704)”.

In forza di tale principio, deve escludersi che le vicende di un rapporto bilaterale si ripercuotano sempre automaticamente sull’altro; e, per quanto qui rileva, che l’adempimento tecnico amministrativo di imputazione dei contributi in favore dei lavoratori (nei confronti di lavoratori non individuati, ma individuabili) possa incidere sull’esistenza dell’obbligazione datoriale che sta a monte.

Questa conclusione è confortata anche da evidenti ragioni logico sistematiche, a carattere costituzionale (artt. 3 e 38 Cost.), non potendo dubitarsi, infatti, della totale irrazionalità di un sistema che riconoscesse al datore di lavoro di potersi sottrarre all’assolvimento dei contributi dovuti solo sostenendo di non conoscere il nominativo dei lavoratori che ha utilizzato.

Alla luce di tali principi, la questione dell’imputazione soggettiva dei contributi ai singoli lavoratori da parte dell’INPS non rileva nel rapporto contributivo con il datore di lavoro, il quale – una volta individuato il numero dei lavoratori impiegati e la base imponibile dell’obbligazione contributiva per i periodi di utilizzazione – non ha titolo ed interesse a lamentare la mancata identificazione nominativa dei beneficiari di contributi che è comunque obbligato a versare nella misura discendente dalla legge.

Infine, non è applicabile al caso in esame la sentenza di questa Corte n. 8253 del 29/7/1999, che fa riferimento ad una fattispecie in cui non si conoscevano “la misura dell’imponibile contributivo complessivo nè il numero dei soci, nè i loro nominativi, nè i compensi percepiti da ciascuno”; mentre nel caso in esame tutti i suddetti elementi sono noti, essendo soltanto sconosciuti – ma, come già detto, soltanto nell’immediato – quali tra i lavoratori (forniti dal datore interposto e già identificati dall’INPS) abbiano lavorato per l’impresa ricorrente nel singolo rapporto.

In forza di queste ragioni, il ricorso deve essere rigettato.

L’opinabilità della questione, attestata dal diverso esito dei giudizi di merito e dalla mancanza di precedenti specifici di questa Corte, sorregge la pronuncia di compensazione delle spese del presente giudizio.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 febbraio 2017 e 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017

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