Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17354 del 26/08/2016

Cassazione civile sez. I, 26/08/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 26/08/2016), n.17354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

UNICREDIT s.p.a. (già incorporante per fusione UniCredit Corporate

Banking s.p.a.), in persona del q.d., rappr. e dif. dall’avv. Nicola

Piazza, elett. dom. presso lo studio dell’avv. Carlo Alfredo Rotili,

in Roma, via Rubicone n. 42, come da procura a margine dell’atto

– ricorrente –

contro

Fallimento Tieffe s.r.l., in persona del curatore fallim. p.t.,

rappr. e dif. dall’avv. Federico Ferina, elett. dom. presso lo

studio dell’avv. Giuseppe Di Stefano, in Roma, via Zanardelli n. 23;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Sciacca 10.12.2010, n. 4498/10

Cron., n. 537 Rep.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 28 giugno 2016 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;

uditi per il ricorrente l’avv. Rotili;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IL PROCESSO

La banca Unicredit s.p.a. (incorporante UniCredit Corporate Banking s.p.a.) impugna il decreto Trib. Sciacca 10.12.2010 che ebbe a rigettare la sua opposizione, interposta L. Fall., ex artt. 98 e 99, avverso la mancata ammissione al passivo del suo credito, vantato per Euro 199.708,83 con insinuazione non accolta dal decreto del 9.1.2010 del giudice delegato del fallimento Tieffe s.r.l.

Anche secondo il collegio, era esatta – in via preliminare – la rilevazione d’ufficio del difetto di data certa dei documenti offerti dal creditore a supporto della istanza, trattandosi di requisito della domanda. Nel merito, la richiesta ammissione al passivo di due crediti in base ai saldi finali negativi di distinti conti correnti, non poteva essere accolta, in mancanza di una più integrale produzione degli estratti conto, muniti di data certa, con dimostrazione della avvenuta spedizione al cliente, non bastando a tale scopo le lettere di accettazione delle condizioni di contratto nemmeno sottoscritte dalla banca, dunque inidonee a provare la conclusione del relativo negozio prima del fallimento. Quanto al primo conto corrente (n. (OMISSIS)), poi, le comunicazioni inviate non permettevano di individuare le reali condizioni praticate al rapporto con il cliente, stante l’omesso richiamo a documenti pregressi e pretesamente illustrativi di esse.

Il ricorso è affidato a due motivi ed è resistito con controricorso dal Fallimento, che anche depositato memoria.

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., e L. Fall., art. 95, con riguardo al rapporto n. (OMISSIS), avendo errato il tribunale ove ha sollevato d’ufficio l’eccezione di difetto di data certa opponibile al fallimento.

Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge, quanto agli artt. 2697, 2704, 2729, 1832 e 2709 c.c., art. 116 c.p.c., art. 1329 c.c., oltre che il vizio di motivazione, ove il decreto ha omesso di riconoscere agli estratti conto bancari integrali il valore di prova del credito, perchè giudicati privi di data certa e con difetto di dimostrazione della spedizione degli stessi al cliente, così svalutando anche le lettere di accettazione delle condizioni di contratto prodotte.

1. Il primo motivo di ricorso è infondato, avendo il decreto impugnato fatta corretta applicazione del principio, che qui si ribadisce, per cui la mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore, che proponga istanza di ammissione al passivo fallimentare, si configura come fatto impeditivo all’accoglimento della domanda ed oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche di ufficio dal giudice (Cass. s.u. 4213/2013).

2. Il secondo motivo di ricorso, articolato in plurimi profili, è innanzitutto infondato ove censura la necessità, non assolta dalla banca ed invece ritenuta da parte del Tribunale, di produrre in via integrale gli estratti conto ma con data certa, unitamente alla prova della loro spedizione al cliente, ai fini di documentarne la non contestazione. Invero, può dirsi che, in tema di conto corrente bancario, l’estratto conto comunicato dalla banca al debitore principale e dal medesimo non impugnato nel termine di cui all’art. 1832 c.c., assume carattere di incontestabilità, sicchè è idoneo ad esempio a fungere da mezzo di prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato nei confronti del fideiussore (Cass. 817/2016). Ma analoga vincolatività non è ravvisabile, o almeno non in modo diretto, verso il curatore, in quanto terzo e semmai alla medesima conclusione potendosi pervenire soltanto nel concorrente riscontro di tutti gli altri elementi che rendano appunto la “storia contabile” di quel rapporto opponibile alla massa dei creditori, esattamente secondo il principio di limitata e formale efficacia preteso dall’art. 2704 c.c., e sopra richiamato. Nella vicenda, invece, gli estratti conto non sono stati giudicati in grado di permettere la precisa ricostruzione dell’entità del credito della banca, adeguato a valutare – per come insinuato se la domanda finale di ammissione al passivo, per il saldo evidenziato a chiusura del rapporto, riflettesse con esattezza e sin dall’origine le poste di dare e avere, tenuto conto delle invocate condizioni contrattuali.

Da un lato l’estratto del conto corrente bancario, formato in epoca postfallimentare (come nella specie avvenuto), non ha alcuna data certa opponibile al curatore e dall’altro può osservarsi che, nella fattispecie, va applicato il principio – con cui integrare parzialmente la motivazione del decreto impugnato, per altra parte corretto nel suo dispositivo – per cui l’istituto di credito, il quale prospetti una sua ragione di credito verso il fallito derivante da un rapporto obbligatorio regolato in conto corrente e ne chieda l’ammissione allo stato passivo, ha l’onere, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, di dare piena prova del suo credito, assolvendo al relativo onere secondo il disposto della norma generale dell’art. 2697 cod.civ. attraverso la documentazione relativa allo svolgimento del conto, senza poter pretendere di opporre al curatore, stante la sua posizione di terzo, gli effetti che, ex art. 1832 c.c., derivano, ma soltanto tra le parti del contratto, dall’approvazione anche tacita del conto da parte del correntista, poi fallito, e dalla di lui decadenza dalle impugnazioni (Cass. 6465/2001, 1543/2006).

3. All’altezza del secondo profilo di contestazione, condotto alla stregua del vizio di motivazione, il motivo appare invece inammissibile, ove si censura il modo con cui la selezione delle circostanze di fatto, attinenti al rapporto bancario con il cliente, è pervenuta a sancire la loro insufficiente concludenza quanto alla prova del credito verso il curatore e al pari l’inidoneità ad operare come indizi ai fini della prova presuntiva. Così, la mancata prova della tempestiva comunicazione degli estratti conto al correntista e l’impossibilità di conferire piena corrispondenza delle lettere di accettazione delle condizioni contrattuali rispetto ai documenti, privi di data certa, con cui sarebbe nato il rapporto stesso, hanno adeguatamente giustificato, con un apprezzamento incensurabile in questa sede, il giudizio di mancata ammissione al passivo della pretesa, per come insinuata. Sul punto, va solo condivisibilmente osservato che la mancata sottoscrizione delle citate lettere da parte della banca non era requisito da potersi ritenere superato in virtù della loro produzione in giudizio, trattandosi non di controversia tra banca e cliente bensì del diverso accertamento della efficacia del credito verso la massa dei creditori, del tutto terza rispetto al dedotto rapporto.

Il ricorso va dunque rigettato, integrata ex art. 384 c.p.c., la motivazione come sopra indicato e con condanna della banca alle spese del procedimento e liquidazione come meglio da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in Euro 10.200 (di cui 200 per esborsi), oltre alla somma a forfait del 15% sui compensi ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2016

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