Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17353 del 26/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 26/08/2016, (ud. 25/01/2016, dep. 26/08/2016), n.17353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6418-2011 proposto da:

A.L., (C.F. (OMISSIS)), R.R. (C.F. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso

l’avvocato ARTURO ANTONUCCI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ROBERTO VASSALLE, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., già BANCA AGRICOLA MANTOVANA

S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO 6, presso

l’avvocato MASSIMO LUCONI, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARIO CARLO ERUZZI, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1084/2010 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 14/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato A. ANTONUCCI che si riporta;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato M. TROPIANO, con delega,

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 14 dicembre 2010 la Corte d’appello di Brescia ha confermato la decisione con cui il Tribunale di Mantova aveva respinto la domanda proposta da A.L. e R.R. volta alla dichiarazione di nullità ovvero annullamento ovvero risoluzione dei contratti di acquisto e/o vendita di obbligazioni Del Monte 06.6,625% risalenti rispettivamente al 16 agosto 2001 e al 20 novembre 2002, con condanna della banca convenuta, Banca Agricola Mantovana S.p.A., poi Monte dei Paschi di Siena S.p.A., alla restituzione dell’importo corrisposto ovvero al risarcimento del danno nella misura di 85.357,45, oltre accessori e spese.

2. – A fondamento della decisione, la Corte d’appello, per quanto ancora rileva, ha ritenuto:

1) che la banca avesse informato gli attori che il rischio relativo all’investimento, il quale offriva interessi ad un tasso molto superiore alla media, era quello dell’insolvenza della società emittente, con conseguente assoluzione dell’obbligo informativo previsto dall’art. 28 del regolamento Consob 11.522 del 1998;

2) che la banca avesse osservato altresì il precetto dell’art. 29 del medesimo regolamento, segnalando l’inadeguatezza dell’operazione, senza che occorresse ulteriormente indicare le motivazioni di tale valutazione, motivazioni peraltro emerse dalla deposizione del teste Z., il quale aveva informato A.L. del rischio di insolvenza della società emittente;

3) che la banca avesse infine osservato il dettato dell’art. 27 del regolamento menzionato dal momento che i titoli in oggetto non si trovavano nel portafoglio della banca ma erano stati acquistati proprio per procurarli ai clienti, aggiungendo essere estraneo al tema del conflitto di interessi il fatto che la banca avesse praticato ai clienti un prezzo superiore rispetto a quello a cui essa aveva acquistato, circostanza, quest’ultima, peraltro estranea al thema decidendum cristallizzatosi in primo grado.

3. – Per la cassazione hanno proposto ricorso A.L. e R.R. deducendo sei motivi.

Il Monte dei Paschi di Siena S.p.A. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. – Il ricorso contiene sei motivi.

4.1. – Il primo motivo è intitolato: “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. B e dell’art. 28, comma 2 regolamento Consob numero 11.522/1998 in relazione agli obblighi informativi specifici sull’investimento di causa (art. 360 c.p.c., comma 1 numero 3 c.p.c.)”.

Vi si sostiene, in breve, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che la banca avesse correttamente adempiuto ai propri obblighi informativi limitandosi ad illustrare ai clienti il rapporto rendimento rischio, neppure peraltro emergendo che l’operatore avesse informato della data di emissione del titolo, dal momento che l’informativa doveva estendersi anche alla natura e alle implicazioni dell’investimento e, dunque, doveva soffermarsi sulle circostanze che l’emittente era società di diritto straniero, che il titolo era regolato da legge straniera, che non erano noti la situazione finanziaria e la capacità patrimoniale della emittente, che il titolo era riservato a investitori istituzionali, che era privo di rating, che l’intero gruppo Cirio era fortissimamente indebitato con il sistema bancario.

4.2. – Il secondo motivo è intitolato: “Motivazione insufficiente in relazione alla adeguatezza della informativa (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Vi si ripropone la doglianza concernente l’assolvimento degli obblighi informativi dal versante dell’adeguatezza della motivazione.

4.3. – Il terzo è intitolato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 29 del regolamento Consob numero 11.522/1998 e dell’art. 2722 c.c. in relazione all’inadeguatezza dell’operazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Vi si sostiene, in breve, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere rispettato il precetto posto dal citato art. 29, dal momento che tale norma richiedeva non soltanto il rilievo dell’inadeguatezza, ma anche l’esplicitazione dei motivi di tale rilievo, esplicitazione che doveva risultare per iscritto e non poteva pertanto essere dimostrata per testimoni.

4.4. – Il quarto è intitolato: “Vizio di motivazione per insufficienza della stessa in relazione alla inadeguatezza dell’operazione per “tipologia” e “dimensioni” (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

La doglianza si sofferma nuovamente sul profilo dell’adeguatezza dell’investimento, ponendo in evidenza che, ove pure si fosse ritenuto che l’esplicitazione dei motivi non dovesse risultare per iscritto, nel caso di specie la valutazione non si era soffermata sugli aspetti della tipologia e delle dimensioni dell’investimento.

4.5. – Il quinto è intitolato: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27 del regolamento Consob numero 11.522/1998 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Si sostiene che, come emerso dalla consulenza tecnica espletata in primo grado, la banca aveva praticato sul prezzo delle obbligazioni acquistate e poi rivendute il giorno stesso ai clienti una maggiorazione pari quasi all’1% dell’importo investito ben superiore alla normale commissione aggirantesi sullo 0,30%, commissione alla quale peraltro la stessa banca non aveva diritto ai sensi dell’art. 32 del citato regolamento Consob, non avendo reso noto alcunchè in ordine alla medesima. A tal riguardo si afferma che la Corte d’appello sarebbe incorso in errore di diritto per violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 27 del regolamento laddove aveva affermato l’estraneità al tema del conflitto della maggiorazione del prezzo di acquisto, ben potendo la situazione verificatasi per effetto della maggiorazione essere ricompresa nella nozione di conflitto di interessi regolata dalla menzionata norma. Sarebbe secondo i ricorrenti incomprensibile il rilievo della inammissibilità del motivo di appello per non avere gli appellanti censurato il comportamento della banca sotto il profilo della best execution ovvero impugnato il capo della sentenza di primo grado che aveva inquadrato nella eventuale violazione di tale dovere il comportamento della banca.

4.6. – Il sesto è intitolato: “Omessa pronuncia in relazione alla contestata violazione del dovere di correttezza e trasparenza di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. A per l’applicata maggiorazione sul prezzo del titolo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.

Vi si sostiene che la maggiorazione del prezzo sarebbe stata inquadrata anche nel citato art. 21, sotto il profilo della violazione dell’obbligo di correttezza, mentre la Corte d’appello avrebbe scrutinato tale aspetto solo dal versante del conflitto di interessi.

5. – Il ricorso va respinto.

5.1. – Il primo ed il secondo motivo, che per il loro collegamento, concernendo entrambi l’aspetto della violazione degli obblighi informativi, possono essere congiuntamente trattati, sono inammissibili.

Difatti, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675).

Nel caso in esame, la sentenza d’appello riferisce in espositiva a pagina 3 che gli odierni ricorrenti avrebbero lamentato la mancanza del contratto quadro, la mancata consegna del documento sui rischi generali degli investimenti, l’omessa richiesta di informazioni sulla situazione finanziaria dei clienti e sulla loro propensione al rischio, la mancata informazione circa l’inadeguatezza delle operazioni poichè effettuate in conflitto di interessi.

Non vi è invece traccia, nè nell’espositiva, nè poi nella parte motiva della sentenza impugnata, di alcuna doglianza concernente la mancata comunicazione della data di emissione del titolo nonchè la carenza informativa in ordine alla natura e alle implicazioni dell’investimento, con particolare riguardo alle circostanze che l’emittente era società di diritto straniero, che il titolo era regolato da legge straniera, che non erano noti la situazione finanziaria e la capacità patrimoniale della emittente, che il titolo era riservato a investitori istituzionali, che era privo di rating, che l’intero gruppo Cirio era fortissimamente indebitato con il sistema bancario.

Nè nel ricorso per cassazione è spiegato se e quando le menzionate circostanze fossero state dedotte e tempestivamente poste a sostegno della domanda proposta.

Di qui l’inammissibilità del motivo.

5.2. – Il terzo motivo è infondato.

La Corte d’appello ha dato conto del fatto che l’ A. aveva sottoscritto l’ordine di acquisto recante, ai sensi dell’art. 29 del regolamento Consob 11.522 del 1998, la segnalazione di inadeguatezza, alla quale aveva fatto seguito la conferma espressa dell’ordine ed ha aggiunto che, come era emerso dall’assunzione del teste Z., lo stesso A. era stato messo in guardia sul rischio di insolvenza della società emittente, sicchè era stata indicata nell’occasione la ragione dell’inadeguatezza dell’operazione.

Nè può ritenersi, come vorrebbero i ricorrenti, che i motivi dell’inadeguatezza dovessero essere necessariamente indicati per iscritto.

In proposito vale osservare che l’art. 29 del Regolamento Consob numero 11522/98 stabilisce quanto segue: “1. Gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. 2. Ai fini di cui al comma 1, gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati. 3. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.

Tale disposizione, la quale pone la c.d. suitability rule, ossia la regola che impedisce agli intermediari di porre in essere operazioni inadeguate al profilo di rischio dell’investitore, si pone in collegamento con la c.d. know your customer rule (v. già la L. n. 1 del 1991, art. 6), dal momento che l’intermediario in tanto può verificare l’adeguatezza dell’operazione, in quanto abbia precedentemente acquisito le informazioni concernenti il cliente.

Ciascuna operazione di negoziazione, secondo la disposizione menzionata, può essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, ed ognuno di tali eventuali profili di inadeguatezza, ove sussistente, deve essere – con diverso approfondimento in dipendenza dell’attività prestata dall’intermediario, secondo si tratti di attività di gestione, ovvero di mera negoziazione o ricezione-trasmissione di ordini indicato e spiegato all’investitore al fine di consentirgli in proposito una scelta consapevole: tant’è che la norma regolamentare prevede, in caso di conferma dell’ordine di esecuzione dell’operazione, quantunque inadeguata, un ordine scritto (o registrato su nastro magnetico o supporto equivalente), contenente il riferimento alle avvertenze ricevute, avvertenze che, pertanto, devono essere state senz’altro in precedenza somministrate.

In particolare, l’inadeguatezza per tipologia ed oggetto va verificata in relazione alle caratteristiche proprie dello strumento finanziario, le quali si riflettono sul coefficiente di rischio dell’operazione: e, nel caso in esame, l’intermediario ha per l’appunto ritenuto inadeguata l’operazione in considerazione della rischiosità dell’investimento, evidentemente parametrato al profilo dell’investitore. Il profilo dell’adeguatezza per dimensione o frequenza riguarda invece il rapporto tra l’entità dell’investimento e del portafoglio del cliente, profilo rispetto al quale la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento.

Ciò detto, nessun rilievo riveste la mancanza di indicazione per iscritto, nella conferma d’ordine impartita dall’ A., delle motivazioni dell’inadeguatezza dell’investimento, motivazioni invece fornite verbalmente secondo quanto riferito dal teste già ricordato, dal momento che l’art. 29 poc’anzi trascritto richiede la forma scritta per l’ordine da parte del cliente, ma non con riguardo alla motivazione dell’inadeguatezza, la quale, avuto riguardo al principio generale della libertà di forme, ben può essere fornita verbalmente: ed anzi non potrà di regola discendere se non da un individualizzato colloquio verbale, indispensabile alla realizzazione di un’effettiva spiegazione e di una reale comprensione dei termini e delle ragioni dell’inadeguatezza rilevata dall’intermediario.

La disposizione dunque non reca alcuna previsione formale, salvo per quanto concerne la conferma dell’ordine da parte dell’investitore (non per l’indicazione delle ragioni di inadeguatezza), la quale deve essere data per iscritto ovvero risultare la registrazione magnetica o analogo supporto.

5.3. – Il quarto motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

E’ infondato laddove i ricorrenti lamentano che l’intermediario non si sarebbe soffermato sulla tipologia dell’investimento: la sottolineatura della rischiosità, viceversa, come si è già detto, atteneva proprio a tale profilo, che ha indotto l’intermediario a ritenere l’investimento in questione inadeguato.

Quanto al profilo delle dimensioni dell’investimento, la doglianza è invece inammissibile, per le ragioni già illustrate al par. 5.1..

Premesso infatti che l’intermediario finanziario deve indicare le ragioni di inadeguatezza dell’investimento, ma evidentemente non deve al contrario spiegare all’investitore perchè l’investimento da lui prescelto è adeguato, sicchè è ben possibile che l’inadeguatezza venga rilevata con riguardo ad uno soltanto dei profili normativamente considerati, occorre ancora una volta considerare che, a quanto emerge dalla sentenza impugnata, non risulta affatto se e quando A. e R. avessero, nel corso del giudizio, dedotto l’inadeguatezza dell’investimento sotto l’aspetto delle sue dimensioni, sicchè anche tale questione risulta essere del tutto nuova.

Ed infatti a pagina 15 del ricorso per cassazione si assume che l’inadeguatezza discenderebbe dall’entità dell’investimento, avente ad oggetto la – secondo gli stessi ricorrenti – rilevante somma di Euro 106.857,02: e, tuttavia, è del tutto evidente che il giudizio di inadeguatezza dimensionale è necessariamente un giudizio di relazione, che, come si accennava, richiede di raffrontare l’entità dell’investimento con la consistenza del portafoglio dell’investitore, tema, questo, che, dalla lettura del ricorso per cassazione, non risulta essere nel corso del giudizio mai precedentemente e specificamente sollevato.

5.4. – Il quinto motivo va respinto. Sono stati gli stessi ricorrenti a riferire di aver inizialmente denunciato un conflitto di interesse derivante dalla circostanza che l’operazione di acquisto dei titoli da parte dell’intermediario, poi loro rivenduti, sarebbe stata compiuta in contropartita diretta (pagina 21 del ricorso per cassazione), circostanza, questa, pacifica.

Ma la corte d’appello:

1) ha anzitutto ritenuto che l’acquisto in contropartita diretta non desse luogo a conflitto di interessi, giacchè l’intermediario, in tal caso, non fa altro che acquistare il titolo, che non è nel suo portafoglio, per trasferirlo all’investitore: ed in effetti la negoziazione per conto proprio, la quale consiste nell’attività di acquisto per la rivendita e di vendita per conto proprio di strumenti finanziari, con lo scopo per la banca di realizzare una differenza (spread) tra prezzi di acquisto e di vendita è attività legittima e regolamentata dall’ordinamento (v. art. 1, comma 5, lett. a, Tuif e art. 32, comma 5, del Regolamento Consob più volte ricordato), e dunque non costituisce di per sè attività in conflitto di interessi, come del resto ritenuto dalla Consob, nella Comunicazione DAL/97006042 del 9 luglio 1997, ove è affermato che “una ipotesi di conflitto di interessi non può essere individuata – a priori – in tutti i casi in cui l’intermediario negozia in contropartita diretta con la propria clientela strumenti finanziari”;

2) ha successivamente posto in risalto (pagina 12 della sentenza impugnata) che il prezzo praticato per l’acquisto dei titoli (prezzo che, secondo i ricorrenti, sarebbe stato maggiorato per effetto di una commissione eccessiva) nulla aveva a che vedere con l’inadempimento contestato alla banca, nell’atto introduttivo del giudizio, dal versante della violazione dell’art. 27 del già citato Regolamento, in punto di conflitto di interessi, ma potesse se del caso assumere rilievo, come già rilevato dal Tribunale, quale violazione (non già della regola dettata dall’art. 27, ma, semmai) della c.d. best execution rute, prevista dall’art. 32 del Regolamento Consob numero 11.522 del 1998, con la precisazione che tale ratio decidendi, posta assieme alle altre dal Tribunale a sostegno del rigetto della domanda, non era stata oggetto di censura, non potendo pertanto che rimanere ferma.

Orbene, a fronte di tale piana motivazione, i ricorrenti hanno sostenuto che la asserita maggiorazione del prezzo ben potrebbe “ritenersi ricompresa nella nozione di “conflitto di interessi” di cui all’art. 27 del Regolamento”, aggiungendo poi che il passaggio motivazionale contenuto nella sentenza impugnata concernente la mancata censura del comportamento della banca sotto il profilo della best execution non sarebbe stato comprensibile.

Ma, al di là della totale genericità della doglianza concernente il conflitto di interessi in tesi derivante dalla maggiorazione del prezzo, sta di fatto che la ratio decidendi adottata dalla Corte d’appello – la quale si riassume in ciò, che l’argomento dell’irrilevanza della maggiorazione del prezzo, ritenuta dal Tribunale, sotto il profilo della sussistenza di un conflitto di interessi tra investitore e intermediario, non era stata censurata con l’atto d’appello – non è sfiorata dal ricorso per cassazione, il quale si fonda sulla tesi, priva di fondamento, che la motivazione non fosse comprensibile.

5.6. – Il sesto motivo è inammissibile.

Sostengono i ricorrenti che la maggiorazione del prezzo sarebbe stata denunciata in primo grado anche sotto il profilo della violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a, e che, sul punto, la Corte d’appello non avrebbe pronunciato.

Ancora una volta, però, di tale doglianza non v’è traccia nella sentenza della corte d’appello ed il ricorso difetta del requisito di autosufficienza, nei termini precedentemente indicati, giacchè non indica dove sarebbe stata introdotta la denuncia di inadempimento del citato art. 21 per effetto della maggiorazione del prezzo ed in qual modo tale argomento sarebbe stato ulteriormente fatto valere (occorrendo evidentemente a tal fine uno specifico motivo di impugnazione) dinanzi al giudice d’appello.

6. – I ricorrenti, rimasti soccombenti, vanno condannati in solido alle spese.

PQM

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese sostenute per questo grado del giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e quant’altro dovuto per legge.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2016

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