Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17350 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. I, 23/07/2010, (ud. 22/06/2010, dep. 23/07/2010), n.17350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Z.S., elettivamente domiciliato in Roma al Viale delle

Milizie n. 22, presso l’avv. Di Genesio Pagliuca Gabriele, che lo

rappresenta e difende per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

V.P., elettivamente domiciliata in Roma al Viale Giulio

Cesare n. 71, presso l’avv. Bellocci Maurizio, che la rappresenta e

difende, per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di appello di Roma, Sez. Pers. e Fam.,

n. 5295, del 30 giugno – 14 luglio 2005;

Udita, all’udienza del 9 luglio 2010, la relazione del Cons. Dott.

FORTE Fabrizio;

Uditi l’avv. Di Genesio, per il ricorrente, e il P.M. Dott. ZENO

Immacolata, che conclude per la inammissibilita’ del motivo sulla

insufficiente motivazione e il rigetto del resto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 14 luglio 2005, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il reclamo di Z.S. contro il decreto del Tribunale di Roma del 23 gennaio 2004, che aveva respinto la sua domanda di modificare, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9 le condizioni del divorzio dalla ex moglie V.P. e di revocare l’assegno mensile in favore di questa, di Euro 154,94, fissato nella sentenza di divorzio nel 1999 e confermato in appello nel 2001.

Ad avviso del reclamante, il Tribunale non aveva tenuto presenti le sue attuali condizioni di impossidenza derivate dall’impossibilita’, per ragioni di eta’ e di perdita delle capacita’ professionali, di reinserirsi nel mondo del lavoro, con la conseguenza che la ex moglie era attualmente in condizioni economiche migliori delle sue, cosi’ da giustificare la chiesta revoca dell’assegno divorzile. La V. costituendosi deduceva in replica alla domanda la precarieta’ del suo lavoro per il quale ella non era in grado di mantenere il tenore di vita fruito durante il matrimonio, con i suoi redditi saltuari e incerti.

La Corte ha ritenuto mancanti i presupposti per la revisione delle condizioni di divorzio di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9 come successivamente modificata, cioe’ i giustificati motivi della modifica chiesta, in quanto lo Z. avrebbe dovuto provare il mutamento delle sue condizioni economiche da esaminare in comparazione con quelle della ex moglie, per dar luogo all’esame dell’istanza di mutamento delle condizioni accessorie al divorzio.

Nel caso non risultava dimostrata dallo Z. la ricorrenza di fatti nuovi rispetto alla sua situazione di disoccupato, risalente al 1996 e quindi ad epoca anteriore alla data della sentenza di divorzio del 1999 che aveva fissato la modesta somma mensile a suo carico e a vantaggio della V.. Rilevato il mancato cambiamento delle circostanze di fatto a base dell’assegno, perduranti da epoca anteriore alla fissazione della somma mensile a suo carico nel 1999, come lo stato di disoccupato iniziato nel 1996, la Corte ha affermato che non era emerso il presupposto di fatto per chiedere la revoca dell’assegno deciso nel 1999, per cui giustamente la domanda dello Z. era stata respinta in primo grado e il reclamo avverso il decreto del tribunale era da rigettare, con compensazione delle spese del grado tra le parti. Per la cassazione di tale pronuncia propone ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost., illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., lo Z., cui resiste, con controricorso, la V..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso lo Z. denuncia la violazione dalla Corte d’appello di Roma della L. n. 898 del 1970, art. 9 (come successivamente modificata per non avere tenuto conto dei fatti nuovi e sopravvenuti da lui posti a base dell’istanza di revoca dell’assegno di divorzio, deciso nonostante il suo stato di disoccupato anteriore al divorzio. Elencati i fatti nuovi costituiti dall’avere egli lavorato sia pure saltuariamente dal 1996 fino al 2001, anno dal quale gli era stato impossibile reperire un altro lavoro nonostante i suoi sforzi per cercarlo, nel ricorso si evidenzia la impossidenza di beni mobili e immobili da parte dello Z. e la sua qualita’ di coniuge a carico dell’attuale moglie, insieme alle migliorate condizioni della controparte. Il motivo di ricorso si conclude con il quesito ai sensi dell’art. 366 bis, non necessario in ragione della data del provvedimento impugnato.

1.2. Con il secondo motivo lo Z. lamenta omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere omesso il decreto ogni valutazione in ordine all’esistenza del lavoro della V., titolare di conto corrente e locataria d’una casa, proprietaria di un’automobile e dotata di mezzi economici che escludevano fosse rimasta immutata la condizione di lei, rispetto all’epoca del divorzio.

Come il tribunale, anche la Corte d’appello nessun rilievo aveva dato alle dedotte circostanze per giungere alla revoca dell’assegno chiesta dallo Z., non motivando sufficientemente la negata sussistenza dei presupposti per modificare le condizioni accessorie al divorzio.

2. Va preliminarmente esaminata e respinta l’eccezione della V. di inammissibilita’ dell’intero ricorso per la ragione formale di essere stato proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c. e non dell’art. 111 Cost..

Tale circostanza, sicuramente rilevante in ordine al secondo motivo di ricorso, nessun rilievo comporta sulla intera impugnazione, di cui va esclusa la inammissibilita’ per la ragione prospettata dalla V., di carattere meramente formale e irrilevante per la decisione.

2.1. Il primo motivo di ricorso e’ peraltro inammissibile perche’, pur deducendo violazione di legge per la esistenza di fatti sopravvenuti costituenti i giustificati motivi che consentivano allo Z. di chiedere la revoca dell’assegno di’ divorzio a vantaggio della ex moglie, e in particolare per avere il ricorrente lavorato per un certo periodo dopo il licenziamento del 1996 e allorche’ fu deciso l’assegno nel 1999 e fino al 2001, non precisa in alcun modo quale attivita’ aveva svolto ne’ chiarisce le ragioni per le quali la stessa era cessata, dando luogo al fatto nuovo della rinnovata disoccupazione ritenuto incompatibile con la prosecuzione dell’erogazione in favore della V..

Non sono in concreto specificati in ricorso i fatti nuovi incidenti sulla capacita’ patrimoniale e reddituale del ricorrente che egli afferma di aver dedotto nel merito, che avrebbero giustificato la revoca dell’assegno divorzile per la V., non essendo tali circostanze neppure sommariamente riportate nella impugnativa, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 e, per tale sua non autosufficienza, il primo motivo deve dichiararsi inammissibile, avendo ad oggetto solo la richiesta in sede di legittimita’ di un giudizio diverso da quello dato dei medesimi fatti che hanno fatto ritenere ai giudici di merito l’assenza di variazioni significative delle condizioni delle parti, da qualificare come giustificati motivi, presupposto per la modifica delle disposizioni accessorie della sentenza di divorzio, ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 come poi modificata (Cass. 26 gennaio 2007 n. 1754, 22 febbraio 2006 n. 3881, 12 agosto 2004 n. 15675).

La censura del vizio di motivazione contenuta nel secondo motivo di ricorso, relativa ad un provvedimento anteriore al 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, non e’ deducibile ai sensi dell’art. 111 Cost., potendosi denunciare in relazione a provvedimenti diversi dalle sentenze solo la mancanza assoluta o la mera apparenza di motivazione, costituenti violazione di legge ammessa dalla norma costituzionale (tra altre, Cass. 17 maggio 2010 n. 12027, 3 novembre 2008 n. 26426 e 24 novembre 2006 n. 24985) e non l’insufficienza motivazionale.

3. In conclusione alla inammissibilita’ dei due motivi di ricorso consegue quella della intera impugnazione e, per la soccombenza, le spese della presente fase di legittimita’ devono porsi a carico dello Z. e si liquidano nella misura di’ cui al dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.000,00 (mille/00), di cui Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e accessorie come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1A sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 22 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

 

 

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