Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1735 del 27/01/2020

Cassazione civile sez. II, 27/01/2020, (ud. 13/06/2019, dep. 27/01/2020), n.1735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6497-2017 proposto da:

M.M.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.

VESALIO, 22, presso lo studio dell’avvocato NATALINO IRTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO ARNAUD;

– ricorrente –

contro

CONSOB, elettivamente domiciliato in ROMA, V.MARTINI GIOVANNI

BATTISTA 3, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PROVIDENTI, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO PALMISANO,

EMANUELA GARZIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 411/2016 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI

SASSARI, depositata il 22/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo di ricorso;

Uditi gli Avvocati Francesco Arnaud e Paolo Palmisano;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con Delib. 16 settembre 2015, n. 19358 la Consob, con riferimento alle operazioni di acquisto di azioni Banca Profilo spa disposte da Arepo spa nel periodo tra il 21 giugno 2011 e il 27 maggio 2013, applicava a M.M.U. la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 120.000, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 ter, comma 3, lett. a) e b), nonchè la sanzione amministrativa accessoria, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 quater, comma 1, per un periodo di 6 mesi, e, a G.R. la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 100.000, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 ter, comma 3, lett. b), nonchè la sanzione amministrativa accessoria ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 quater, comma 1, per il periodo di 4 mesi, e alla Banca Profilo Spa quale obbligata in solido, L. n. 689 del 1981, ex art. 6 il pagamento della sanzione di Euro 220.000 pari all’importo delle sanzioni inflitte a M. e G..

La contestazione aveva ad oggetto il fatto che M. e G., in qualità di trader addetti al desk negoziazione filiali di Banca profilo, avevano posto in essere una manipolazione del mercato mediante l’acquisto di azioni di Banca Profilo effettuato nella negoziazione continua e nell’asta di chiusura, acquisti che, nell’arco dell’intero periodo indicato, erano risultati idonei a sostenere artificialmente e, in via continuativa, il prezzo ufficiale delle suddette azioni Banca Profilo e, conseguentemente, a fornire indicazioni false e fuorvianti in merito al prezzo delle suddette azioni.

2. Avverso la citata Delib. M.M.U. proponeva opposizione, lamentando l’invalidità e l’infondatezza del provvedimento sanzionatorio per plurime ragioni di rito e di merito riconducibili all’intervenuta scadenza del termine per la conclusione del procedimento, all’indebita anticipazione del convincimento circa i fatti oggetto della sanzione, all’illegittimità del procedimento sanzionatorio, all’insussistenza della responsabilità del G. e del M. per le operazioni di compravendita dei titoli, alla entità della sanzione inflitta e all’insussistenza del dolo.

3. La Corte d’Appello di Cagliari, sez. dist. Di Sassari, rigettava il ricorso in opposizione, ritenendo infondati tutti i motivi. Quanto al motivo relativo alla sopravvenuta scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento rilevava la sua natura non perentoria e la non applicabilità ai procedimenti sanzionatori della L. n. 241 del 1990, art. 2, comma 3.

3.1 Quanto al motivo relativo alla anticipazione del giudizio fatta dalla Consob nella relazione annuale per il 2013 la Corte d’Appello rilevava che al procedimento amministrativo sanzionatorio non poteva applicarsi l’istituto proprio del processo penale relativo all’astensione. In secondo luogo il termine accertato usato nella suddetta relazione era riferito all’attività degli uffici e non a quella della commissione cui era riservato il giudizio finale. L’espressione accertamento non era, pertanto, un’anticipazione del giudizio ma una semplice informativa circa le indagini della divisione mercati.

3.2 La Corte d’Appello respingeva anche i motivi di doglianza relativi al procedimento sanzionatorio per la mancanza di udienza pubblica, violazione del giusto processo e del diritto di difesa, in quanto il procedimento sanzionatorio, ai sensi dell’art. 187 septies TUF, è retto dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione, nonchè della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie e solo nella fase successiva alla decisione l’interessato promuovere un vero e proprio giudizio contenzioso usufruendo delle relative garanzie processuali. Dunque, il fatto che la terzietà del giudice e l’udienza di discussione siano garanzie previste nella fase dell’opposizione soddisfa i parametri del giusto processo nella sede sua propria. Peraltro, nella specie, l’accesso agli atti dell’ufficio sanzioni era stato consentito agli interessati, i quali avevano potuto svolgere controdeduzioni e l’udienza celebrata nella fase giurisdizionale era stata tenuta pubblicamente con le forme del rito ordinario.

3.3 La Corte d’Appello rigettava anche i motivi di opposizione relativi al merito delle contestazioni evidenziando la sussistenza di tutti gli elementi propri dell’illecito di manipolazione del mercato.

3.4 Quanto alla determinazione della sanzione il giudice del merito affermava che l’interpretazione del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6 proposta dall’opponente non aveva alcun fondamento e le modifiche introdotte dal suddetto decreto dovevano trovare applicazione solo alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione emanate ex art. 196 TUF.

Infine, La Corte d’Appello evidenziava che il principio della retroattività della legge più favorevole per l’incolpato, ai sensi dell’art. 2 c.p., pacificamente non era applicabile agli illeciti amministrativi, nè poteva ipotizzarsi una sua applicazione analogica alla luce della natura sostanzialmente penale della sanzione, posto che tale qualificazione, secondo la giurisprudenza della CEDU, comportava unicamente l’estensione delle garanzie procedimentali all’esercizio del diritto di difesa.

4. M.M.U. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

5. La Consob ha resistito con controricorso.

6. All’udienza del 21 marzo 2019 il collegio ha ritenuto di rinviare la trattazione del ricorso in vista della decisione della Corte Costituzionale sulla questione di costituzionalità sollevata dalla corte d’appello di Milano con ordinanza 19 marzo 2017 avente ad oggetto il D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2.

La Corte costituzionale con sentenza n. 63 del 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 72, art. 6, comma 2, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dallo stesso art. 6, comma 3 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito disciplinato dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187-bis e ha dichiarato anche, in via consequenziale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 27 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dallo stesso art. 6, comma 3 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187-ter.

7. Le parti in prossimità dell’odierna udienza fissata per la prosecuzione del processo dopo la sentenza della Corte Costituzionale hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, comma 2, art. 36 c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 37 c.p.p., comma 1, lett. a), e art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e artt. 97 e 111 Cost., nonchè dei principi generali del giusto processo ed imparzialità del giudice e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2 e del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187-septies, comma 1.

Il ricorrente lamenta che la Consob nella relazione al Ministero dell’Economia e delle Finanze sull’attività di vigilanza svolta nel corso del 2013 aveva fatto riferimento alla pretesa manipolazione del mercato oggetto della sanzione di cui al provvedimento impugnato. In pendenza del procedimento sanzionatorio la Commissione aveva dichiarato di aver accertato i suddetti illeciti amministrativi e ciò avrebbe dovuto determinare l’astensione dei commissari V. e T. in coerenza con il principio di imparzialità dei pubblici ufficiali ex art. 97 Cost.

Il ricorrente aveva eccepito anche violazioni delle regole del giusto processo quali l’imparzialità dell’organo decidente, l’autonomia tra la fase istruttoria e la fase giudicante, il contraddittorio tra le parti intorno alle prove testimoniali e documentali, l’udienza pubblica di discussione, ciò sul presupposto della natura penale delle sanzioni amministrative previste dalla disciplina italiana sugli abusi di mercato.

Il ricorrente afferma che gli illeciti amministrativi che hanno natura penale non possono sottrarsi alle garanzie sostanziali assicurate dagli artt. 6 e 7 della CEDU e non essere assoggettati alla medesima disciplina dell’azione penale in senso stretto. La possibilità di ricorso dinanzi al giudice munito di poteri di piena giurisdizione non sana le gravi e molteplici irregolarità del provvedimento sanzionatorio.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1 e art. 111 Cost., comma 6, nullità della sentenza per mancanza di motivazione.

Il ricorrente lamenta di aver evidenziato nell’opposizione che la proposta dell’ufficio sanzioni amministrative, quanto alla determinazione e alla quantificazione della sanzione, richiamava il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 ter, comma 3, lett. a) e b), come modificato dalla L. n. 262 del 2005, art. 39, comma 3, che quintuplicava le sanzioni.

Tale ultima norma, tuttavia, è stata abrogata a partire dal 27 giugno 2015. Infatti, il D.Lgs. n. 72 del 2015 prevede, fra l’altro, che alle sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. n. 58 del 1998 non possa più applicarsi la L. n. 262 del 2005, art. 39, comma 3.

Nel provvedimento sanzionatorio si affermava che il D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6 trovava applicazione per le violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia secondo le rispettive competenze. Sempre nel provvedimento sanzionatorio, si evidenziava che in tema di illeciti amministrativi valevano solo i principi di legalità, irretroattività, divieto di analogia e non quello dell’applicabilità della disciplina posteriore più favorevole.

Il ricorrente aveva sollevato (pagine 32 e 38 del ricorso) motivi con i quali aveva denunciato i gravi errori del decreto impugnato in relazione a tale aspetto. La Corte d’Appello non aveva in alcun modo motivato sul punto.

A parere del ricorrente, dunque, vi è stata una totale omissione della motivazione, tale da determinare ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la nullità della sentenza.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 3 e art. 25 Cost., nonchè del principio generale sulla retroattività della norma penale favorevole, in relazione alla mancata applicazione del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, e all’applicazione del principio generale sul tempus regit actum.

Il ricorrente rileva che, mentre il D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2 stabilisce una disciplina transitoria, il successivo comma 3, laddove afferma la non applicabilità della L. n. 262 del 2005 alle sanzioni amministrative del TUF stabilisce una disciplina di portata generale, non soggetta a limiti temporali, di abrogazione della L. n. 262 del 2005, art. 39, comma 3.

In ogni caso le sanzioni in esame devono considerarsi penali in relazione alla loro afflittività, e ad esse deve applicarsi il principio della retroattività della norma penale più favorevole e non già quello del tempus regit actum anche nell’ipotesi in cui l’art. 6, comma 3, sopra indicato debba interpretarsi nel senso che, in forza del comma 2, esso si applica solo alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate.

4. Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione della Consob di tardività del ricorso, perchè notificato il 2 marzo 2017 mentre il termine ultimo scadeva il 28 febbraio 2017 dovendosi considerare come dies a quo il deposito in cancelleria della sentenza impugnata avvenuto in data 22 agosto 2016.

4.1 L’eccezione è fondata e il ricorso è inammissibile.

Nella specie, essendo avvenuto il deposito della sentenza in periodo feriale, occorre valutare come operi la sospensione dei termini fino al 31 agosto.

In particolare, se il giorno 1 settembre viene considerato il “dies a quo” non rientrante nel computo, il deposito del ricorso verificatosi il 2 marzo sarebbe in termini, costituendo quella data l’ultimo giorno dei sei mesi concessi dall’art. 327 c.p.c. dal deposito della sentenza non notificata per proporre l’impugnazione. Se invece si ritiene che il 1 settembre sia il primo giorno di computo del termine, in tale caso il termine stesso scadrebbe il giorno 1 marzo 2017, che non era giorno festivo, per cui la notifica del ricorso sarebbe fuori termine per un giorno.

4.2 Ai sensi della L. n. 742 del 1969, art. 1 “Il decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed a quelle amministrative è sospeso di diritto dal 1 al 31 agosto di ciascun anno, e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo”.

Il disposto normativo citato, dunque, prevede che, in tutti i casi come quello in esame in cui il deposito della sentenza sia avvenuto durante il periodo di sospensione, il decorso del termine per impugnare ex art. 327 c.p.c., comma 1, è differito alla fine di detto periodo.

4.3 Il problema del decorso del termine processuale, il cui inizio si verifichi in periodo di sospensione, è già stato affrontato in numerose occasioni anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. 4 luglio 1983 n. 4814, Sez. U. Sent. n. 3668 del 1995, Sez. U. Sent. n. 21197 del 2009) le quali, hanno nel tempo sempre confermato l’interpretazione secondo la quale quando un termine decorre da un atto verificatosi nel periodo di sospensione feriale ex L. 7 ottobre 1969, n. 742, il successivo giorno (il primo successivo alla cessazione della sospensione, allora 16 settembre, oggi 1 settembre in forza del D.L. n. 132 del 2014, art. 1 conv. in L. n. 162 del 2014) rientra nel computo.

Questo indirizzo è stato seguito anche da successive sentenze di questa Corte che hanno affermato il seguente principio di diritto: “In tema di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, la disposizione della L. n. 742 del 1969, art. 1 per la quale, se il decorso del termine ha inizio durante il periodo di sospensione, esso è differito alla fine di detto periodo, va intesa nel senso che il primo giorno utile successivo alla sospensione feriale va computato nel novero dei giorni concessi dal termine, di cui tale giorno non costituisce l’inizio del decorso ma la semplice prosecuzione, a nulla rilevando che si tratti di giorno festivo (Sez. 1, Sent. n. 7112 del 2017, Sez. 5, Sent. n. 19874 del 2012).

Si è ritenuto, infatti, che sarebbe contrario alla ratio dell’art. 155 c.p.c., lasciare fuori dal computo un giorno intero (il 1 settembre) in cui l’atto di riferimento non si è verificato, giorno che si aggiungerebbe illogicamente a quelli interi del termine, allungandolo senza alcuna logica giustificazione. La funzione del principio “dies a quo non computatur in termine”, infatti, attiene all’esigenza di dare rilievo (quando il termine è a giorni), a giorni interi, trascurando le frazioni di giorno relative al momento in cui si sia verificato l’atto che costituisce il punto di riferimento del termine, nonchè l’effetto giuridico di quell’atto.

A tal proposito, infatti, costituisce principio del tutto consolidato quello secondo il quale in tema di impugnazioni la disciplina generale dell’art. 155 c.p.c. prevede che il decorso del termine ha inizio il giorno successivo a quello della notifica o del deposito della sentenza.

Il giorno che non viene computato nel termine, secondo il principio dell’art. 155 c.p.c., è il giorno (con riferimento specifico alle impugnazioni) in cui si è verificato l’atto.

Nel caso in cui quell’atto si realizzi nel periodo feriale, esso rimane pienamente valido ed efficace nella sua interezza, sicchè il differimento coinvolge soltanto il decorso del termine che in quell’atto abbia il punto temporale di riferimento. Non vi è preclusione, in definitiva, a che il dies a quo, da non computare nel termine, sia individuabile nello stesso giorno in cui l’atto abbia manifestato i suoi effetti, e rimanga detta individuazione ancorchè l’atto stesso sia caduto in periodo feriale.

Su tale base non potrebbe trovare adeguata spiegazione il diverso trattamento dei termini il cui decorso abbia inizio prima del 1 agosto, rispetto a quelli il cui inizio si verifichi nel periodo feriale. In quest’ultimo caso, infatti, si aggiungerebbe un ulteriore giorno a quelli (31) del periodo feriale normale, senza alcuna logica spiegazione.

In virtù delle considerazioni esposte, si ritiene di dovere dare accoglimento e continuità al principio già espresso da questa Corte a Sezioni Unite con le pronunce sopra citate. Dovendosi, nel caso di specie, computare nel termine di cui all’art. 327 c.p.c. anche il giorno 1 settembre 2017.

Infine, deve osservarsi che il computo del termine di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c. è operato, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 2, e art. 2963 c.c., comma 4, non ex numero bensì ex nominatione dierum, sicchè, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel periodo, il termine scade allo spirare della mezzanotte del giorno del mese corrispondente a quello in cui il termine ha cominciato a decorrere (Sez. 3, Sent. n. 17313 del 2015).

Ne consegue che, come si è detto, nel caso in esame il deposito della sentenza era avvenuto il 22 agosto del 2016, il termine semestrale ex art. 327 c.p.c. decorreva dal 1 settembre 2016 sicchè alla data del 2 marzo 2017 era interamente decorso, determinando il prodursi dell’effetto preclusivo dell’impugnazione.

5. L’evidente ed inemendabile tardività della notifica dell’atto di impugnazione impone, in accoglimento della preliminare eccezione della controricorrente, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

Si dà atto – mancando la possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez.

Ric. 2017 n. 6497 sez. S2 – ud. 19/06/2019 U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 19 giugno e il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA