Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1735 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/01/2019, (ud. 07/11/2018, dep. 23/01/2019), n.1735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21457-2017 proposto da:

L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato AVALLONE PIERLUIGI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 492/1/7017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 10/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/11/2018 dal Consigliere Relatore Dott. GORI

PIERPAOLO.

Fatto

RILEVATO

Che:

– Con sentenza n. 492/1/17 depositata in data 10 febbraio 2017 la Commissione tributaria regionale del Lazio (in seguito, la CTR) respingeva l’appello proposto da L.S. (in seguito, il contribuente) avverso la sentenza n. 1061/1/14 della Commissione tributaria provinciale di Latina (in seguito, la CTP) che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2008;

– La CTR osservava in particolare che, come correttamente affermato dai primi giudici, le riprese fiscali trovavano solido fondamento nelle prove indiziarie addotte dall’Ente impositore, con specifico riguardo all’inesistenza oggettiva delle fatture in contestazione, mentre il contribuente non aveva adeguatamente assolto al proprio onere contro probatorio;

– Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi che illustra con memoria.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – il ricorrente lamenta l’omesso esame del fatto decisivo e controverso consistente nella ripresa a tassazione dei costi per utenze (telefoniche, elettriche ed altre);

– La censura è inammissibile. Anzitutto va rilevato che, come eccepito dall’agenzia fiscale controricorrente, tale questione non è stata riproposta con l’appello, sicchè deve ritenersi applicabile la preclusione pro judicato (interno) e la conseguente inammissibilità del mezzo.

Comunque, vertendosi in un’ipotesi di “doppia conforme”, il mezzo stesso, per come formalmente dedotto, è comunque inammissibile ex art. 348-ter c.p.c., commi 4 e 5;

– Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione degli artt. 2727,2729 c.c., poichè la CTR ha mal valutato le prove in atti e di conseguenza erroneamente affermato la fondatezza delle riprese fiscali derivanti dalla contestazione dell’inesistenza oggettiva delle operazioni indicate in fatture passive registrate nella sua contabilità aziendale;

– La censura è inammissibile. Per come formalmente dedotta, anche questo mezzo risulta precluso ex art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, trattandosi di “doppia conforme”. Qualora peraltro si ritenesse errata l'”intitolazione” del mezzo stesso e lo si riqualificasse, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come denuncia di violazione di legge, se ne evidenzia comunque l’inammissibilità sotto altro profilo. Va infatti ribadito che: “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Cass. n. 26110 del 2015);

– “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. 7 aprile 2017 n. 9097);

– “Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. 10 giugno 2016 n. 11892);

– Lo sviluppo della censura collide radicalmente con le indicazioni sui limiti del giudizio di cassazione rivenienti dai principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, in sostanza chiedendo a questa Corte una “revisione” – appunto non consentitale – del giudizio di merito ed in particolare delle valutazioni probatorie effettuati dal giudice tributario di appello con puntualità e completezza;

– Il ricorso va dunque rigettato per inammissibilità dei motivi, e secondo la soccombenza segue il regolamento della spese di lite, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, e condanna parte ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese di lite, liquidate in Euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito.

La Corte dà atto che, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, dell’art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, testo unico spese di giustizia.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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