Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17348 del 13/07/2017


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Cassazione civile, sez. I, 13/07/2017, (ud. 05/04/2017, dep.13/07/2017),  n. 17348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27240/2012 proposto da:

N.F.S., (c.f. (OMISSIS)), in proprio e nella

qualità di procuratore generale di N.V., nonchè

G.P. (c.f. (OMISSIS)), in proprio e nella qualità di genitore

della minore G.L., quali eredi di N.C., e

T.L.A. (c.f. (OMISSIS)), T.L.M.C.

(c.f. (OMISSIS)), T.L.V. (c.f. (OMISSIS)), nella

qualità di eredi di N.M.C., elettivamente domiciliati

in Roma, Via Monte delle Gioie n. 13, presso l’avvocato Valensise

Carolina, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Scaglione Francesco, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica della

Provincia di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via G. Zanardelli n.

20, presso l’avvocato Buonafede Achille, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato De Leo Giuseppe, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 354/2012 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 17/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2017 dal cons. MARULLI MARCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale ZENO

IMMACOLATA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Francesco Scaglione che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Ernesto Giglioni, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con sentenza 354 del 17.7.2012 la Corte d’Appello di Reggio Calabria adita dall’ATERP provinciale, succeduto allo IACP della Provincia, onde sentir riformare la decisione che in primo grado ne aveva pronunciato la condanna a risarcire il danno inferto agli odierni ricorrenti per l’irreversibile trasformazione subita da un fondo di loro proprietà in comune di (OMISSIS) su cui era stato attuato di un intervento di edilizia residenziale pubblica, accogliendo il proposto gravame ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’appellante in considerazione del fatto che “l’istituto ha ultimato i lavori in data antecedente alla scadenza del termine di occupazione legittima” e che non era stato “delegato per procedere al completamento della procedura espropriativa con pagamento dell’indennità”.

Avverso detta decisione propongono ora ricorso a questa Corte i soccombenti eredi N. affidandosi a tre motivi di ricorso, illustrati pure con memoria, a cui replica l’ATERP con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunziano per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13 ed una carenza motivazionale sul presupposto che la decisione impugnata aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’ente appellante sebbene il decreto di occupazione fosse “divenuto inefficace col decadere dell’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità”, sicchè, essendo questa venuta meno il 17.1.1986 o al più tardi il 4.3.1986, decorsi cinque anni dalla data in cui essa era divenuta efficace, l’occupazione era divenuta illegittima da quella data con susseguente legittimazione passiva del ente appellante.

1.2. Il secondo motivo del ricorso lamenta per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di carenza o illogicità della motivazione con cui il giudice d’appello ha accolto l’eccezione dell’ente appellante rilevando che la delega ad esso conferita riguardasse soltanto il compimento dell’opera e non anche il completamento della procedura di espropriazione, malgrado il Comune di (OMISSIS) con Delib. consiglio comunale del 27.3.1980, localizzando l’intervento, avesse deliberato “di autorizzare lo IACP nell’esproprio relativo secondo il piano parcellare allegato”.

2.1. In disparte da ogni considerazione suggerita dai rassegnati motivi, che intendono sollecitare il giudizio di questa Corte su aspetti di dettaglio della vicenda espropriativa patita dai ricorrenti, è opinione del collegio che la doglianza che essi rappresentano con riguardo all’esito fatto segnare dalla procedura – che, avviata con decreto di occupazione, non culminava nella pronuncia il conclusivo decreto di esproprio sebbene nelle more fosse intervenuta l’irreversibile trasformazione del fondo di loro proprietà mediante la realizzazione di un insediamento ERP – sia fondata e meriti perciò di essere accolta anche se per ragioni diverse da quelle che essi intendono far valere.

A ciò il collegio intende pervenire in adesione al principio più volte affermato da questa Corte secondo cui, in virtù della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè per omologia con quanto prevede la norma di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2 deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione possa ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l’esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l’efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’integrazione di una eccezione in senso stretto (Cass., Sez. 6-3, 14 febbraio 2014, n. 3437).

2.2. Orbene in applicazione di questo principio e ferma la pacificità in senso storico naturalistico dei fatti allegati dai ricorrenti e non fatti oggetto di confutazione da parte dell’intimato – nessuno per vero dubitando che i ricorrenti siano stati privati della proprietà del fondo per effetto della realizzazione su di esso di un’opera pubblica – non può non prendersi atto che la specie in discorso, integrando propriamente la figura dell’occupazione acquisitiva, viene oggi a cadere sotto gli effetti del revirement di cui la figura è stata fatta oggetto dalle SS.UU. Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 19-01-2015, n. 735, dovendo invero ricordarsi con queste che la vicenda che in essa si iscrive, debitamente lumeggiata alla stregua del diritto sovranazionale e segnatamente dell’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte EDU, non decampa dal quadro dell’illecito risarcitorio in quanto si traduce nell’arrecare un danno ingiusto che obbliga il danneggiato al suo risarcimento secondo le regole proprie della responsabilità da fatto illecito. E tra esse, ovviamente, anche l’art. 2055 c.c., di modo che, come si è ricordato, quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, tali soggetti debbono essere considerati corresponsabili in solido perchè, qualunque sia la fonte della responsabilità, “se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo risarcitorio, è sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento (dei quali, del resto, l’art. 2055 costituisce un’esplicitazione), che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo” (Cass., Sez. 3, 30/03/2010, n. 7618). Poichè nella specie, nella catena causale che ha determinato l’insorgenza in capo agli impugnanti del danno da essi lamentato per effetto della spoliazione subita a causa dell’irreversibile trasformazione del fondo di loro proprietà dovuto alla realizzazione dell’intervento pubblico, le attività poste in essere dall’ATERP intimato, con l’occupazione e la manipolazione del bene immobile, si pongono quali condizioni dell’evento, in difetto delle quali l’evento non avrebbe avuto ragione di prodursi, l’autore di quelle attività è per ciò stesso, secondo la teoria causale accolta dal nostro ordinamento, direttamente responsabile delle conseguenze pregiudizievoli che la sua azione ha concorso a determinare e lo rende perciò obbligato a sopportare in regime di responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. il riflesso onere risarcitorio.

2.3. Nè vale a stemperare questa conclusione – che obbliga l’ATERP a risarcire il danno inferto e lo identifica sul piano processuale quale giusto e legittimo contraddittore dei danneggiati – la circostanza che le attività dal medesimo siano avvenute in esecuzione dl decreto di occupazione del Presidente della giunta regionale e che l’intervento edilizio abbia avuto compimento entro i termini dell’occupazione legittima, vero, infatti, che la mancata adozione del provvedimento di esproprio degrada l’intera procedura, indipendentemente dalla legittimità o meno degli atti pregressi, a mera fattispecie illecita, sicchè nella prospettiva aperta dalle SS.UU., le singole azioni che si connettono nella sequenza causale che determina l’evento vanno valutate alla stregua di condizioni di esso e la loro rilevanza va apprezzata in funzione della loro idoneità a porsi quale antecedente fattuale che ha dato causa al fatto offensivo. E dunque, avendo l’ATERP proceduto ad occupare il fondo dei ricorrenti ed avendone determinato l’irreversibile trasformazione, essa risulta concorrente nella causazione dell’evento e tenuta per questo al suo ristoro.

3. L’impugnata decisione – assorbito con ciò anche il terzo motivo di gravame – che ha ignorato i principi di diritto di cui sopra va dunque cassata e la causa va rimessa nuovamente al giudice territoriale per il doveroso seguito ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 1.

PQM

 

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017

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