Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17346 del 13/07/2017

Cassazione civile, sez. I, 13/07/2017, (ud. 06/06/2017, dep.13/07/2017),  n. 17346

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS), in persona del l.r.p.t. e

B.C., accomandatario, rappr. e dif. dall’avv. Luigi Manzi e

dall’avv. Riccardo Spagliardi, elett. dom. presso lo studio del

primo, in Roma, via Federico Confalonieri n. 5, come da procura in

calce a margine dell’atto;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) e di B.C., in

persona del curatore fall. p.t. A.G.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza App. Genova 18.7.2012, n. 104/2012

nel proc. R.G. 251/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 6 giugno 2017 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. – lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Anna Maria Soldi, del seguente tenore:

“La (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) ricorre per cassazione contro la pronuncia della Corte di Appello di Genova (n. 104/2012) che, decidendo sul reclamo L. Fall., ex art. 18, ha confermato la sentenza del primo grado recante la dichiarazione del suo fallimento.

La Corte di Appello di Genova ha confermato la sentenza del primo grado riscontrando come l’imprenditore fallito non avesse prodotto i bilanci ovvero le altre scritture contabili obbligatorie relative ai tre esercizi che precedono la presentazione della istanza di fallimento; ha, peraltro, evidenziato come la circostanza che detto imprenditore avesse legittimamente optato per il regime di contabilità semplificata non fosse ragione sufficiente per derogare alla regola secondo cui spetta al fallendo l’onere di fornire, con la documentazione contabile ufficiale, prova della insussistenza dei requisiti di fallibilità di cui alla L. Fall., art. 1; ha, infine, rilevato che non può reputarsi rilevante, quanto alla prova dell’indebitamento di cui all’art. 1, comma 2, lett. c), l’ammontare complessivo dei debiti nei confronti dei soli creditori istanti nel procedimento prefallimentare.

Il ricorso è infondato e, dunque, non meritevole di essere accolto.

La principale questione di diritto posta all’attenzione della Corte (e dedotta con la censura svolta con il motivo n. 1) è la seguente: muovendo dalla considerazione secondo cui la prova della insussistenza dei requisiti di fallibilità incombe sull’imprenditore fallendo e, di regola, deve essere fornita con la produzione dei bilanci relativi ai tre esercizi che precedono la proposizione della istanza di fallimento, occorre stabilire come si atteggi la interpretazione della L. Fall., art. 1 nei casi in cui, legittimamente, il predetto imprenditore si sia avvalso del regime di contabilità semplificata. Più precisamente occorre domandarsi se, nella ipotesi da ultimo considerata, possa confermarsi l’orientamento che pone l’onere della prova a carico del debitore ed impone che la dimostrazione circa il possesso dei requisiti di cui alla L. Fall., art. 1 debba essere fornita con la documentazione ufficiale – menzionata dalla L. Fall., art. 14 (che fa riferimento alle scritture fiscali e contabili obbligatorie).

Orbene, deve ritenersi che la soluzione fornita dalla Corte di Appello di Genova sia esatta e meriti conferma.

Non vi è ragione per sostenere che la scelta di un regime di contabilità semplificata possa consentire di derogare al disposto della L. Fall., art. 1, comma 2 laddove pone a carico dell’imprenditore l’onere di documentare l’insussistenza dei requisiti di fallibilità.

Ed ancora, giusta il disposto della L. Fall., art. 14, e considerato che il regime di contabilità semplificata non esime l’imprenditore dalla necessità di tenere le scritture obbligatorie di cui all’art. 2214 c.c., non è plausibile sostenere che, ai fini della prova di cui alla L. Fall., art. 1, il debitore possa essere esentato dal depositare, se non i bilanci, che non è tenuto a redigere, quantomeno la documentazione ufficiale contabile e fiscale in suo possesso (ad esempio: libri inventari registri degli incassi e dei pagamenti ovvero dei beni ammortizzabili etc.; Cfr. Cass. 25855/2015; Cass. 3448/2016; Cass. 14724/2016).

Sulla base di tali premesse, correttamente, si è allora affermato che, in difetto di produzioni idonee, l’adesione al regime di contabilità semplificata non possa esentare il debitore dalla rigorosa prova della insussistenza dei requisiti di fallibilità.

Per completezza, giova segnalare che la censura in esame è inammissibile laddove il ricorrente assume che non sarebbe stata adeguatamente valutata la documentazione prodotta ed estratta dal cassetto fiscale dell’imprenditore ovvero le comunicazioni ufficiali finalizzate a dimostrare la cessazione dei rapporti di lavoro e della attività commerciale.

A parte il fatto che tale documentazione, non menzionata dalla corte di merito, non è stata riprodotta nel ricorso, la censura in parte qua si risolve nella richiesta eventuale di un nuovo accertamento in fatto non ammissibile in questa sede.

In tale prospettiva, peraltro, il dedotto vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione, prospettato sempre con il primo motivo, appare del tutto destituito di fondamento.

Il ricorso non merita accoglimento neppure in relazione alla censura svolta con il secondo motivo.

Secondo la ricorrente la decisione della Corte di appello sarebbe errata nella parte in cui quest’ultima avrebbe omesso di svolgere indagini officiose in merito alla sussistenza dei requisiti di fallibilità.

A tale proposito, ed anche ammettendo che il reclamante avesse richiesto alla Corte una indagine “di iniziativa” (il ricorso su questo punto è privo di autosufficienza atteso che la società ricorrente si limita a rappresentare, senza riprodurre i necessari atti difensivi, di aver avanzato istanza per lo svolgimento di una istruttoria d’ufficio cui non era seguita l’adozione di alcun provvedimento), la tesi della odierna ricorrente non può essere condivisa.

Va, infatti, rilevato, innanzitutto, che il potere – dovere, spettante al giudice della impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento, di verificare, anche d’ufficio, la sussistenza dello stato di insolvenza e ogni altro presupposto per l’apertura della procedura concorsuale riveste un “carattere officioso relativo”, restando pur sempre circoscritto alle domande e alle eccezioni sollevate dalle parti ed operando nell’ambito del principio generale se secondo cui è onere delle parti fornire prova delle proprie allegazioni; nè può tralasciarsi di considerare che, in ogni caso, la scelta della corte di merito di procedere ad una integrazione dell’istruttoria resta pur sempre oggetto di una valutazione discrezionale ragion per cui il mancato esercizio del predetto potere dovere di integrazione, tanto più se, come nel caso in esame, non accompagnata dalle circostanze allegate a supporto della sollecitazione proveniente dall’interessato, si risolve in una richiesta di revisione dell’apprezzamento risultante dalla sentenza impugnata (Cass. 3448/2016; Cass. 14724/2016).

Per le ragioni che precedono il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.”;

2.- ritenuto che le conclusioni del P.G. e le argomentazioni che le sorreggono sono interamente condivise dal Collegio, ne consegue che il ricorso va rigettato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017

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