Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17342 del 17/08/2011

Cassazione civile sez. II, 17/08/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 17/08/2011), n.17342

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.L. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA DI VILLA FIORELLI 5 INT 4, presso lo studio

dell’avvocato DE SENA MARIO, rappresentato e difeso dall’avvocato

CACCAVALE SALVATORE;

– ricorrente –

contro

P.A.;

– intimato –

sul ricorso 4604-2006 proposto da:

P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA N.S. DI LOURDES 25, presso lo studio

dell’avvocato CHINNI CAMILLO NICOLA, rappresentato e difeso

dall’avvocato DEL GENIO CARMINE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

R.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 671/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 08/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Nola del 23-7-1986, R.L., proprietario di un fabbricato con annesso fondo rustico sito in (OMISSIS), esponeva che il confinante P. A., qualche mese prima, aveva abbattuto un vecchio fabbricato fatiscente, realizzandone uno nuovo, composto da un piano terra e un primo piano, a distanza non regolamentare dal confine con il suo immobile. Tanto premesso, il ricorrente chiedeva l’immediata sospensione delle opere edilizie in corso.

Il P. resisteva alla domanda, sostenendo che stava ricostruendo un vecchio fabbricato terremotato, nel rispetto dell’autorizzazione rilasciata dal Comune di Nola.

Con sentenza depositata il 29-5-2003 il Tribunale di Nola, Sezione Stralcio, alla quale era stata assegnata nelle more la causa, accertate alcune delle illegittimità dedotte, condannava il P. a rendere conforme alle prescrizioni indicate nell’art. 901 c.c. la terza veduta aperta, a piano terra, verso la proprietà del ricorrente, portandola ad un’altezza non minore di m. 2,50 dal pavimento e munendola di inferriata, idonea a garantire la sicurezza del vicino, e di una grata fissa, con maglie non inferiori a 3 cmq., nonchè ad eliminare:

1) ogni diritto di affaccio sul fondo del R. dal lastrico solare del vecchio terrazzo, realizzando tutte le opere necessarie a impedire ogni veduta diretta, laterale ed obliqua sul detto fondo;

2) la scala che consentiva l’accesso, un tempo non goduto, al lastrico solare del vecchio terraneo e permetteva l’affaccio sul fondo del ricorrente;

3) ogni aggetto ed ogni parte del cornicione, sporgenti sul confine o sul predetto fondo;

4) ogni eventuale apertura che consentisse l’affaccio sul fondo del ricorrente, realizzata nella parte del suppenno rivolta verso tale fondo.

Il P. proponeva appello avverso tale decisione, affermando che il suo fabbricato era stato ristrutturato e non ricostruito, ed aveva conservato le distanze osservate dal vecchio edificio; negava altresì l’apertura di nuove vedute e la costruzione di scale di accesso nuove, e faceva presente che il suo immobile aveva dal fondo dell’appellato una distanza minima di m. 1.82, superando di 32 cm. il limite legale previsto.

Il R. si costituiva contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.

Con sentenza depositata P8-3-2005 la Corte di Appello di Napoli accoglieva l’appello e, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda proposta dall’attore.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il R., sulla base di due motivi.

Il P. ha resistito con controricorso, con il quale ha altresì proposto ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Preliminarmente, deve disporsi la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2) Con il primo motivo il ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Deduce che la Corte dì Appello ha erroneamente ritenuto che il P. aveva proceduto ad una mera ristrutturazione del fabbricato preesistente che gli consentiva di osservare le originarie distanze. Sostiene che, per escludere che si vertesse in un’ipotesi di ricostruzione o di nuova costruzione, da assoggettare alle norme sulle distanze dettate dei regolamenti locali, era necessario accertare che non fosse intervenuta alcuna variazione di volumetria.

Tale indagine, secondo il ricorrente, non è stata effettuata, in quanto la Corte territoriale si è limitata a rilevare che era rimasta inalterata la struttura perimetrale del fabbricato, ma non ha effettuato alcuna verifica in ordine ai muri perimetrali e alla altezza preesistenti. Assume che, in concreto, il fabbricato ha subito variazioni dì altezza, di sagoma e di cubatura, sì da risultare un organismo nuovo rispetto a quello preesistente.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che già in primo grado il Tribunale aveva escluso che il fabbricato del convenuto fosse stato realizzato a distanza illegale dal confine con il fondo dell’attore, tranne che per le parli aggettanti del cornicione, di coi aveva disposto l’eliminazione. La Corte di Appello ha negato anche la sussistenza di tale abuso, dando atto, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’afficio, che il fabbricato del P. è posto ad una distanza minima, di cm. 182 dal confine (cm. 32 in più dei legali cm. 150) e che, pertanto, l’aggetto di cm.

30 verso tale confine, riscontrato dal C.T.U., non è posto in violazione della distanza legale prevista dell’art. 873 c.c. Con il motivo in esame il ricorrente, senza muovere specifiche cessare riguardo alla statuizione adottata dal giudice del gravame con riferimento al cornicione, si è limitato a sostenere che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, le opere realizzate dal convenuto non integravano una mera ristrutturazione del fabbricato preesistente, ma, una nuova costruzione, soggetta alle distanze fissate nei regolamenti edilizi locali.

Tale doglianza appare generica, non avendo il R. in alcun modo specificato se il Comune di Nola, all’epoca dell’intervento edilizio effettuato dal P., fosse dotato di uno strumento urbanistico, contenente una disciplina integrativa della normativa sulle distanze dettata dall’art. 873 c.c..

“Ne consegue che, dovendosi ritenete rispettosa delle disposizioni codicistiche l’edificazione eretta ad una distanza dal confine di metri 1,50 (pari alla metà del distacco minimo tra costruzioni prescritto dall’art. 873 c.c.), non ha alcuna rilevanza accertare se il convenuto abbia effettuato un semplice intervento di ristrutturazione del fabbricato preesistente, ovvero abbia realizzato una costruzione ex novo anche in tale ultima ipotesi, infatti, rimarrebbe esclusa la violazione delle distanze legali.

3) Con il secondo motivo il R. si duole dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’asserita preesistenza di tre vedute dirette al piano terra.

Sostiene che la Corte di Appello non ha indicato alcun elemento di prova riguardo alla precedente esistenza delle predette vedute, e non ha tenuto conto del fatto che il C.T.U., nella perizia suppletiva, ha dovuto ammettere che non era stato possibile, nemmeno attraverso gli accertamenti UTE, verificare la preesistenza delle stesse.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

La Corte di Appello, alla stregua delle emergenze della consulenza tecnica d’ufficio, ha accertato, con apprezzamento in fatto sottratto al sindacato di legittimità, che la parete del fabbricato del convenuto prospettante sul fondo del R. è ubicata a distanza variabile da quest’ultimo, da m. 1,82 a m. 3,88.

Ciò posto e atteso che il ricorrente non ha nemmeno dedotto l’eventuale esistenza di norme regolamentari locali impositive, in materia di vedute, di distanze maggiori rispetto a quelle codicisticbe, deve ritenersi la piena legittimità delle vedute dirette aperte a piano terra della predetta parete, in quanto poste a una distanza dal fondo dell’attore superiore rispetto a quella minima di mt. 1,50 prescritta dall’art. 905 c.c..

Le censure mosse dal ricorrente, pertanto, investono un punto non decisivo della controversia, m quanto le vedute in questione devono essere considerate legali, a prescindere dalla loro preesistenza.

4) Con l’unico motivo di ricorso incidentale il P. si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione alla ritenuta sussistenza di giusti motivi di compensazione delle spese.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi, anche nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a) deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento, purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente desumibili dal complesso della motivazione adottata (Cass. S.U. 30-7- 2008 n. 20598), e fermo restando che la valutazione operata dal giudice di merito può essere censurata in cassazione solo se sia violato il principio per il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, ovvero quando la motivazione posta a fondamento della statuizione di compensazione risulti palesemente illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per la sua inconsistenza o evidente erroneità, il processo decisionale del giudice (Cass. 2-12-2010 n. 24531).

Nel caso di specie, non può ritenersi irragionevole la motivazione resa dalla Corte di Appello, la quale ha ritenuto la sussistenza di giusti motivi per La compensazione delle spese di doppio grado, in considerazione dell'”ampia rivisitazione” della sentenza impugnata alla quale aveva proceduto.

5) In considerazione della sostanziale soccombenza dei ricorrente principale, va pronunciata la condanna del medesimo al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2011

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