Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1734 del 20/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2022, (ud. 16/11/2021, dep. 20/01/2022), n.1734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2030-2020 proposto da:

D.L.C., C.G., C.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA BOEZIO 14, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE ITRI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LOREDANA GOMBIA;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Dirigente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINA PULLI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MANUELA MASSA,

PATRIZIA CIACCI;

– resistente –

avverso la sentenza n. 6886/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

10/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA

CALAFIORE.

 

Fatto

RITENUTO

che:

il Tribunale di Roma, con sentenza n. 6886/2019, resa in seno al giudizio introdotto. ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, da D.L.C., C.F. e C.G. quali eredi di C.D. al fine di contestare la decorrenza indicata dal c.t.u. del requisito sanitario per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento in favore del dante causa, ha rigettato il ricorso e confermato il contenuto della consulenza tecnica; inoltre, la sentenza ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio che ha liquidato in complessivi Euro 2500;

avverso tale sentenza ricorrono per cassazione D.L.C., C.F. e C.G. con un unico motive illustrato da memoria;

l’INPS è rimasto intimato;

la proposta del relatore è stata comunicata alla parte unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza non partecipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 91 c.p.c., della L. n. 247 del 2012, art. 13, del D.M. n. 55 del 2014, artt. 2,4 e 5; in particolare, si dolgono della liquidazione delle spese del giudizio in ragione del fatto che non sarebbe stato considerato il reale valore della causa (corrispondente agli importi dei ratei dell’indennità di accompagnamento maturati dalla domanda amministrativa (settembre 2017) al riconoscimento operato dal c.t.u. (dicembre 2017); per cui lo scaglione avrebbe dovuto essere quello compreso tra Euro 1.100 ed Euro 5.200;

inoltre, si denuncia l’errata omessa valutazione della natura non complessa della controversia e dell’attività giudiziale effettivamente svolta, essendo mancata la fase istruttoria, rappresentate dai parametri dell’importanza, della difficoltà, delle caratteristiche e del pregio dell’opera prestata, nonché del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate;

i ricorrenti, dunque, ritengono che date le superiori premesse, l’importo minimo delle spese liquidabili avrebbe dovuto essere pari ad Euro 844,00 e quello medio pari ad Euro 1179,00.

il motivo è infondato;

e’ corretto il criterio di determinazione del valore suggerito dal ricorrente in quanto il criterio legale del cumulo fino a dieci annualità (art. 13 c.p.c., comma 2, u.p.) cede naturalmente il passo allorquando, come è nel caso di specie, per la morte dell’avente diritto e per l’avvenuto riconoscimento in sede di accertamento tecnico a partire dal dicembre 2017, è possibile la fissazione esatta del valore di causa, in misura pari ai ratei maturati (Euro 1546,29, pari a tre mesi circa), con entità finale comunque non superiore a quella di cui al citato art. 13;

va quindi preso a riferimento lo scaglione da Euro 1100,00 fino ad Euro 5.000,00;

rispetto a tale scaglione gli importi liquidati sono superiori ai valori medi della tariffa di cui al D.M. n. 55 del 2014 (pari ad Euro 1685,00 escludendo la fase istruttoria), ma non ai massimi (pari ad Euro 3033,00);

questa Corte di cassazione (tra le più recenti, Cass. 13-07-2021, n. 19989; Cass., ord., 10/05/2019, n. 12537) ha avuto modo di affermare che, per le liquidazioni ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, vale il principio, consolidato nelle liquidazioni riferite alle previgenti tariffe, secondo cui “la determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, se contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità” (Cass. 23 maggio 2002, n. 7527, Cass. 22 giugno 2004, n. 11583, quest’ultima con riferimento anche all’attività stragiudiziale; Cass. 9 ottobre 2015, n. 20289);

il D.M. n. in esame, nel fissare i criteri di liquidazione, stabilisce semplicemente, all’art. 4, che “(…) il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola, fino all’80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento(…);

la normativa predetta è stata dunque intesa nel senso che la discrezionalità insita nella forcella tra minimi e massimi (ovverosia quella da rispettare “di regola”) non è soggetta a sindacato in sede di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, così confermandosi in parte qua e pur nel mutato contesto tariffario, l’orientamento giurisprudenziale pregresso di cui si è detto, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice, avvalendosi di quanto stabilito dalla tabella, decida di aumentare o diminuire “ulteriormente” gli importi da riconoscere, essendo necessario in tal caso, proprio per l’apparente ampiezza indiscriminata della facoltà, che siano controllabili sia le ragioni dello scostamento dalla forcella di tariffa, sia le ragioni che giustifichino la misura di tale scostamento;

poiché nel caso di specie la liquidazione, come si è visto, resta contenuta entro i massimi di tariffa, essa non può essere sindacata in questa sede e ciò risulta assorbente di ogni altra questione agitata con i motivi di ricorso;

il ricorso va, dunque, rigettato e nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, essendo l’INPS rimasto intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

 

 

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