Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17339 del 17/08/2011

Cassazione civile sez. II, 17/08/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 17/08/2011), n.17339

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25537/2006 proposto da:

L.C. (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CLEMENTE GIOVANNI;

– ricorrente –

contro

D.G.E. (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DE LISIO Luigi;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 474/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 09/06/2006;

udita La relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Presidente Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in data 3 novembre 1998 L.C. chiedeva al Pretore di Salerno, sezione distaccata di Eboli, poi diventata sezione distaccata dei Tribunale di Salerno, di essere reintegrato nel possesso di un fondo rustico in località (OMISSIS) del Comune di Eboli, che conduceva in base a rapporto agrario di compartecipazione con D.G.E., possesso del quale quest’ultimo lo aveva spogliato.

D.G.E., costituitosi, contestava che il ricorrente fosse stato mai nel possesso del fondo.

La domanda veniva rigettata con sentenza in data 6 giugno 2002 dal Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Eboli, che escludeva la tutelabilità delle ragioni del ricorrente sia sotto il profilo originariamente dedotto della sussistenza di una associazione in partecipazione – che non avrebbe dato luogo a possesso o detenzione – sia sotto quello della sussistenza di un rapporto agrario, mancando la prova scritta ad probationem di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 606, art. 3.

L.C. proponeva appello, che veniva dalla Corte di appello di Salerno, con sentenza in data 9 giugno 2006, la quale riteneva che, a dispetto dell’amplissimo testimoniale escusso in secondo grado, difettava la prova della legittimazione attiva del L. quale detentore qualificato del fondo riguardo al quale egli lamentava lo spoglio, e in particolare della sussistenza di un rapporto agrario di qualsivoglia tipologia tra il medesimo L. e la sua controparte, in forza del quale potesse ritenersi ammesso alla particolare tutela di cui all’art. 1168 cpv. cod. civ..

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, illustrati da memoria, L.C..

Resiste con controricorso e memoria D.G.E..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce che i giudici di merito – in modo apodittico – hanno affermato che, a dispetto dell’amplissimo testimoniale escusso in secondo grado, difettava la prova della legittimazione attiva di esso ricorrente, quale detentore qualificato del fondo, ad esperire l’azione di spoglio.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:

Affermi La Corte Suprema che il giudice del merito – di sensi dell’art. 116 c.p.c. – nulla valutazione delle risultanze della prova testimoniale – deve indicare, in modo congruo e logico, le ragioni in punto di fatto e di diritto del proprio convincimento, con riferimento al contenuto della testimonianza ed alla qualità di chi le ha rese e non al mero rapporto esistente tra i testimoni e la parte che li ha indicati, siccome il rivestire tali qualifiche è circostanza di per sè neutra rispetto al giudizio, onde consentire la verifica che le risultanze probatorie siano state esaminate ed apprezzate in modo unitario e globale per modo che la decisione costituisca il risultato di una sintesi logica del complesso delle prove offerte dalle parti.

Il motivo è inammissibile per la disarmonia della premessa (mancanza di motivazione) e il quesito di diritto (con il quale si chiede a questa S.C. che affermi il principio che il giudice del merito deve esaminare esamini in un certo modo le testimonianze, dopo avere dedotto che tale esame, nella specie, sarebbe totalmente mancato).

Con il secondo motivo il ricorrente propone due censure.

Con la prima si duole del tutto che sia stata esclusa la testimonianza resa dalla moglie, sul presupposto di un presunto interesse alla causa, pur non essendo la incapacità della stessa mai stata mai eccepita.

La doglianza è infondata, in quanto la sentenza impugnata, dopo avere erroneamente rilevato di ufficio l’incapacità a testimoniare della moglie dell’attuale ricorrente, ha comunque aggiunto, con valutazione di merito incensurabile in questa sede, che la stessa era inattendibile, avendo un evidente interesse nella causa, ritenendosi parte del rapporto agrario invocato dal marito.

Si duole, poi, il ricorrente che erroneamente sarebbe stata esclusa la deposizione di P.R., in quanto la stessa “risulta essersi vista contestare dai D.G. una pretesa servitù di passaggio sul fondo di costoro”, senza considerare che all’epoca della deposizione tale motivo di risentimento più non esisteva.

Anche tale doglianza è infondata.

Da un lato, infatti, la Corte di appello non ha “escluso” la deposizione di P.R., sotto il profilo che sarebbe stata incapace a testimoniare ex art. 116 c.p.c., come sembra alternare il ricorrente, ma la ha semplicemente ritenuta inattendibile, in considerazione dei passati attriti con i D.G., con una valutazione incensurabile in sede di legittimità.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce che, dovendosi ritenere provata la coltivazione del fondo, sulla base delle deposizioni assunte, ne conseguiva quantomeno la presunzione della esistenza di un rapporto agrario, con conseguente legittimazione all’azione di spoglio.

Anche tale motivo è infondato, in quanto ancora una volta viene richiesta a questa S.C. una rivalutazione del materiale probatorio in senso contrario alla sentenza impugnata.

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000,00 per onorari, oltre Euro 200,00 per esborsi e spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2011

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