Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17338 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/08/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 19/08/2020), n.17338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

stesa in calce al ricorso, dall’Avv. Luigi Quercia del Foro di Bari,

il quale ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliato

presso lo studio dell’Avv. Livia Ranuzzi, al viale del Vignola n. 5

in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso il suo uffio alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 12, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale di Bari il 31.01.2011 e pubblicata il 7.3.2011;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo DiMarzio;

la Corte osserva.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.A., commerciante in frutta e verdura nella città di Bari, l’8.7.2017 riceveva la notifica dell’avviso di accertamento n. (OMISSIS) mediante il quale l’Agenzia delle Entrate rettificava il reddito dichiarato come conseguito nell’anno 2004, conseguendone maggiori tributi a titolo di Irpef, Iva ed Irap, per il valore di Euro 49.281,00, oltre accessori.

Ricorda la impugnata CTR come l’Agenzia avesse riscontrato che i ricavi dichiarati, pari ad Euro 673.105,00 risultavano inferiori a quelli calcolati mediante utilizzazione degli studi di settore, che ammontavano ad Euro 795.623,00. Invitato il contribuente al contraddittorio, l’Amministrazione finanziaria, in considerazione delle osservazioni proposte dalla parte, la quale “aveva attribuito lo scostamento alla concorrenza dei mercati rionali, della grande distribuzione e dell’incidenza delle vendite con emissione di fatture che generalmente avvenivano a prezzi più contenuti di quelli praticati normalmente” (sent. CTR, p. 2), riduceva la differenza tra i ricavi dichiarati e quelli accertati da Euro 122.518,00 ad Euro 100.000,00. Poichè la procedura di accertamento con adesione non andava a buon fine, poi, l’Agenzia delle Entrate inviava l’atto di imposizione di cui in premessa.

L’avviso di accertamento era impugnato dal contribuente innanzi alla

Commissione Tributaria Provinciale di Bari, che accoglieva il ricorso ed annullava l’atto impositivo, ritenendo che la motivazione dello stesso non evidenziasse le gravi incongruenze rilevate tra i ricavi dichiarati e quelli determinati in applicazione degli studi di settore. Reputava, inoltre, che l’Ente impositore “non aveva tenuto in nessun conto la concreta situazione sfavorevole determinata dalle cause evidenziate nel ricorso” (sent. CTR, p. 3).

La decisione assunta dalla CTP era gravata da appello dall’Amministrazione finanziaria innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia. La CTR premetteva che le risultanze degli studi di settore sono di per sè inidonee a giustificare l’emissione di un avviso di accertamento nei confronti del contribuente, costituendo presunzioni semplici e dovendo, pertanto, essere supportate da ulteriori elementi indiziari: gravi, precisi e concordanti. Tanto premesso la CTR affermava che l’Agenzia delle Entrate non aveva proceduto sulla base di una mera applicazione delle risultanze dello studio di settore, ma aveva esaminato le repliche del contribuente e, pur evidenziandone la genericità, le aveva comunque accolte in misura significativa. Inoltre, osservava la CTR, “questo Collegio non può non evidenziare che – obiettivamente ed a prescindere dai dati scaturenti dagli studi di settore – i risultati di gestione dichiarati dal Bonerba per l’anno accertato, come emergenti dalla contabilità aziendale, appaiono irreali. Non è credibile, infatti, che a fronte di un volume d’affari dichiarato pari ad Euro 673.105,00 il contribuente abbia realizzato un utile di Euro 11.534,00…”. In conseguenza la CTR riformava la decisione dei primi giudici ed affermava la piena legittimità dell’avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione finanziaria nei confronti di B.A..

Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi a cinque motivi di gravame. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il suo primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente afferma la nullità della sentenza, in conseguenza della violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di impugnazione proposto contestando l’introduzione, da parte dell’Ente impositore, di eccezioni nuove in grado di appello, con particolare riferimento alla pretesa insufficienza del reddito complessivo dichiarato dal contribuente al fine del “mantenimento della famiglia” (ric., p. 28).

1.2. – Mediante il secondo mezzo di gravame, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’impugnante censura la decisione della CTR per essere incorsa nella violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, non avendo rilevato che le domande nuove proposte nel corso del giudizio di appello dall’Ente impositore avrebbero dovuto essere dichiarate inammissibili, anche d’ufficio.

1.3. – Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il contribuente contesta il vizio di motivazione, e la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, per non avere la CTR esplicitato in base a quale valutazione l’Ente impositore avrebbe tenuto in debito conto le ragioni dello scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quanto calcolato con applicazione degli studi di settore.

1.4. – Mediante il quarto motivo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente critica la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, per non essersi la CTR adeguatamente pronunciata “sul fatto controverso e decisivo del presente giudizio, ovvero sul fatto che l’avviso di accertamento impugnato è nullo per infondatezza nel merito della pretesa impositiva” (ric., p. 52).

1.5. – Con il suo quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, B.A. lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in cui è incorsa la CTR per aver ritenuto che le mere risultanze dello studio di settore risultassero sufficienti a fondare la legittimità dell’impugnato accertamento.

2.1. – 2.2. – Mediante i primi due motivi di impugnazione, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta connessione, il ricorrente contesta, in relazione ai profili della nullità della sentenza e della violazione di legge, l’omessa pronuncia della CTR circa la novità dell’argomento posto a fondamento della legittimità dell’avviso di accertamento dall’Amministrazione finanziaria, introdotto solo in grado di appello, e relativo alla totale inadeguatezza del reddito dichiarato dal contribuente per far fronte alle esigenze di vita sue e della sua famiglia.

Il ricorrente qualifica, nel suo primo motivo di ricorso, le contestazioni che ha proposto nel giudizio di appello avverso quella che ritiene essere l’introduzione di un nuovo elemento posto a fondamento della pretesa tributaria da parte dell’Agenzia, come “uno specifico motivo di impugnazione con cui l’odierno ricorrente ha censurato l’inammissibilità dell’atto di appello proposto dall’Agenzia delle Entrate in quanto posto in essere in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57”, e tale qualificazione appare impropria, essendo al proposito sufficiente ricordare che in secondo grado l’odierno ricorrente ha assunto la veste di mero resistente, non avendo proposto ricorso incidentale.

Tanto premesso, è pacifico tra le parti che l’atto impositivo traeva origine dall’accertamento di una considerevole differenza tra il reddito dichiarato e quello calcolato mediante gli studi di settore, per un valore eccedente i 100.000,00 Euro. Pertanto i redditi dichiarati erano espressamente valutati come incongrui. L’Amministrazione finanziaria istaurava il contraddittorio con il contribuente, che proponeva le proprie difese. L’Ente impositore, pur non mancando di evidenziare la genericità delle difese proposte, le riteneva comunque parzialmente fondate, e riduceva la pretesa tributaria di oltre 20.000,00 Euro. Il ricorrente non riteneva di aderire all’accertamento e lo impugnava.

L’Amministrazione finanziaria, nel proporre nuovi argomenti a fondamento della propria pretesa in grado di appello, non ha introdotto domande o eccezioni nuove, ma ha proposto ulteriori elementi di valutazione, che non hanno comportato l’esigenza di alcun approfondimento istruttorio, per assicurare fondamento al giudizio di incongruità dei redditi dichiarati, ragione posta a giustificazione dell’operato accertamento sin dalla redazione dello stesso. Tanto deve osservarsi anche a prescindere dal limite di decisività della contestazione perchè, come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo, la decisione della CTR appare fondata anche su ragioni diverse e preponderanti, rispetto alla valutazione degli argomenti proposti dall’Ente impositore solo in grado di appello.

I primi due motivi di ricorso sono pertanto infondati e devono essere rigettati.

2.3. – Con il terzo mezzo di gravame il contribuente critica, in relazione ai profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, che la CTR non abbia esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria abbia adeguatamente considerato gli argomenti proposti da B.A. per giustificare la differenza riscontrata tra i ricavi dichiarati e quelli calcolati mediante lo studio di settore.

La CTR, invero, ha innanzitutto riassunto le difese proposte dalla parte, la quale “aveva attribuito lo scostamento alla concorrenza dei mercati rionali, della grande distribuzione e dell’incidenza delle vendite con emissione di fatture che generalmente avvenivano a prezzi più contenuti di quelli praticati normalmente” (sent. CTR, p. 2), ed ha quindi osservato che l’Amministrazione finanziaria “ha valutato, invece, le argomentazioni addotte dal B., che – se pure generiche e vaghe, tanto da poter essere dedotte “in ogni circostanza, occasione e stagione…” atteso che i loro effetti sui ricavi e sul risultato economico, non sono dimostrabili e documentabili in concreto – le ha ritenute idonee solo per proporre la citata riduzione dei ricavi accertati, peraltro, non condivisa dal ricorrente. Trattasi di argomentazioni prive di valenza probatoria, non idonee ad inficiare l’operato dell’Ufficio che dagli atti appare, invece, improntato alle disposizioni vigenti in materia di “studi di settore” elaborati sulla base dei dati dichiarati dalla stessa società ricorrente nella dichiarazione dei redditi” (sent. CTR, p. 5). La motivazione proposta sul punto dalla CTR, pertanto, non solo è presente, ma è anche agevolmente intellegibile. Il contribuente non si confronta con la stessa, non chiarisce quali specifiche ulteriori difese non adeguatamente valutate avesse proposto, pur riportando praticamente per intero anche le difese proposte in fase precontenziosa (ric., p. 32), non indica come avrebbe quantificato l’incidenza economica delle proprie difese, e come avrebbe coltivato le sue specifiche contestazioni nel corso del giudizio. Il contribuente neppure indica in qual modo avrebbe assicurato prova della dimostrabilità e documentabilità delle maggiori conseguenze in termini economici sofferte a causa dei fattori che gli avrebbero impedito di conseguire un reddito maggiore, e si limita a riproporre generiche lagnanze, domandando alla Corte di legittimità di rinnovare la valutazione del merito del giudizio, andando a ricercare nelle quasi cento pagine di cui si compone il suo ricorso, se possano individuarsi elementi idonei a sostenere le proprie affermazioni.

Il motivo di ricorso risulta pertanto inammissibile.

2.4. – 2.5. – Mediante il quarto motivo di impugnazione il ricorrente censura il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la CTR per non essersi pronunciata in materia di infondatezza nel merito della pretesa impositiva. Mediante il quinto motivo di ricorso, poi, il contribuente critica la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la decisione impugnata per aver ritenuto sufficiente ad assicurare fondamento alla legittimità dell’impugnato avviso di accertamento le risultanze dello studio di settore. I motivi possono essere trattati congiuntamente, stante la loro stretta connessione.

Invero la CTR ha osservato che “l’Agenzia delle Entrate non ha fatto, in effetti, una astratta applicazione matematica dei valori emersi dall’applicazione degli studi di settore” (sent. CTR, p. 5), ma ha corretto i risultati in considerazione di quelle argomentazioni proposte dal contribuente che ha ritenuto di poter accogliere. Inoltre, l’accertamento risulta fondato nel merito, anche perchè “obiettivamente ed a prescindere dai dati scaturenti dagli studi di settore, i risultati della gestione dichiarati dal Bo-nerba per l’anno accertato, come emergenti dalla contabilità aziendale, appaiono irreali. Non è credibile, infatti, che a fronte di un volume di affari dichiarato pari a Euro 673.105,00, il contribuente abbia realizzato un utile di Euro 11.534…” (sent. CTR, p. 5). Il giudizio sul merito della pretesa impositiva è stato pertanto espresso con chiarezza dalla CTR, ma il ricorrente non si confronta con la decisione assunta, non ne evidenzia eventuali limiti o errori, e si limita a lamentare genericamente la ricorrenza di un omissione che non si riscontra. Analogo discorso deve proporsi,” relazione alla contestazione secondo cui la CTR avrebbe ritenuto legittimo un accertamento fondato sui soli studi di settore. La CTR ha infatti chiarito quali ulteriori elementi ha inteso valorizzare, esprimendo il giudizio di merito che le competeva.

Anche il quarto ed il quinto motivo di impugnazione devono essere pertanto rigettati.

Il ricorso deve pertanto essere respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto da B.A., e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate, delle spese di lite del presente giudizio di cassazione, che liquida in complessivi 7.000,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19agosto 2020

 

 

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