Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17337 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. I, 23/07/2010, (ud. 09/06/2010, dep. 23/07/2010), n.17337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16845/2008 proposto da:

INTESA SANPAOLO S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona del

Responsabile RECUPERO CREDITI pro tempore, elettivamente domiciliata

in ROMA, PIAZZA ADRIANA 15, presso l’avvocato PANINI ALBERIGO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GENTILI Marisa, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA DI INTERCOMUNALE CINQUE MONTI

SOCIETA’ COOPERATIVA EDILE A.R.L. (c.f. (OMISSIS)), in persona

dei Commissari Liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA S. GEMINI 15, presso l’avvocato D’AUDINO Francesco, che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CIVITAVECCHIA, depositato il

28/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/06/2010 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato GENTILI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato D’AUDINO che ha chiesto il

rigetto o in subordine l’inammissibilità del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per manifesta infondatezza

del ricorso con condanna aggravata delle spese ex art. 385 c.p.c..

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 10 gennaio 2008, Intesa Sanpaolo s.p.a.

propose opposizione, davanti al Tribunale di Civitavecchia, allo stato passivo della Cooperativa Edile Intercomunale Cinquemonti a r.l. in liquidazione coatta amministrativa. L’opponente espose: – che essa era creditrice della cooperativa in liquidazione per la complessiva somma di Euro 541.545,45 in via privilegiata in forza di contratto di mutuo fondiario, e dell’ulteriore somma di Euro 53.291,97 quale saldo debitore di conto corrente intrattenuto presso l’agenzia di (OMISSIS) della banca, ed estinto nel 2002 per giro a sofferenza, come da nota di precisazione del credito inviata al commissario liquidatore il 19 marzo 2007, su sollecitazione degli stessi organi della liquidazione in data 8 febbraio 2007; – che il giorno (OMISSIS) era pervenuta alla filiale di (OMISSIS) della banca la raccomandata con cui si comunicava che lo stato passivo era stato depositato presso il Tribunale il 3 dicembre precedente, e che il credito non era stato ammesso per carenza di documentazione; – che i commissari erano invece già in possesso di tutti gli atti, trattandosi di atti pubblici redatti da notai, iscritti ed annotati presso la Conservatoria dei registri immobiliari di Civitavecchia, e degli stessi titoli in forza dei quali era stata instaurata una procedura esecutiva immobiliare davanti al medesimo tribunale, dichiarata poi improcedibile il 16 marzo 2007 su istanza dei commissari a norma della L. 17 luglio 1975, n. 400, art. 3.

L’opponente depositò in giudizio tutta la documentazione in questione, e chiese l’ammissione al passivo dei suoi crediti. Gli organi della liquidazione si costituirono ed eccepirono in via pregiudiziale l’inammissibilità dell’opposizione, perchè proposta fuori termine.

Con decreto 28 maggio 2008, il tribunale, premesso che, trattandosi di liquidazione coatta amministrativa disposta con D.M. 4 agosto 2006, pubblicato sulla G.U. del 5 settembre 2006, doveva applicarsi la disciplina della legge fallimentare, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 5 del 2006, siccome applicabile a tutte le procedure aperte dopo il 16 luglio 2006 e fino al 31 dicembre 2007, e che il citato decreto aveva bensì aumentato a trenta giorni il termine per l’opposizione nel fallimento, ma non aveva modificato la L. Fall., art. 209, in materia di liquidazione coatta amministrativa, dichiarò l’opposizione inammissibile.

Per la cassazione del decreto, comunicato dalla cancelleria il 6 giugno 2008, ricorre l’Intesa Sanpaolo s.p.a., con atto notificato in data 21 giugno 2008 agli organi della procedura concorsuale, affidato a nove mezzi d’impugnazione, illustrati anche con memoria.

Gli organi della liquidazione resistono con controricorso notificato il 29 luglio 2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo d’impugnazione si denuncia la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 209, in forza degli artt. 12 e 15 preleggi. In forza di un’interpretazione sistematica della L. Fall., art. 209, commi 2 e 3, nel testo anteriore alla riforma del Decreto n. 169 del 2007, e degli artt. 98 e 100, come riformati dal Decreto n. 5 del 2006, che aveva unificato tutte le impugnazioni al decreto esecutivo dello stato passivo nel fallimento assoggettandole all’unico termine di trenta giorni, si sostiene che la previsione del termine di quindici giorni per impugnare, nell’art. 209, comma 2, deve ritenersi abrogato, e la materia disciplinata dal rimando generale agli artt. 98 e 100 contenuto nell’art. 209, comma 3. Si pone il quesito se vi sia violazione o falsa interpretazione della L. Fall., art. 209, non interpretata in relazione agli artt. 12 e 15 disp. gen., stante la contraddizione tra il termine di quindici giorni fissato per l’opposizione allo stato passivo al comma 2, e quello di giorni trenta desumibile dal rinvio operato dal comma 3 agli artt. da 98 a 103, Legge Fallimentare, rinvio di ordine sistematico in considerazione dell’unificazione dei termini (in quello di trenta giorni) disposto dal decreto n. 5 del 2006.

Il motivo è fondato. Occorre a questo riguardo muovere dalla disciplina dell’opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa, qual era disegnata nel Decreto n. 267 del 1942, anteriormente alla riforma attuata con i decreti n. 5 del 2006 e n. 169 del 2007. Per il Decreto n. 267 del 1942, art. 209, comma 2, le opposizioni a norma dell’art. 98 e le impugnazioni a norma dell’art. 100 erano proposte con ricorso al presidente del tribunale entro quindici giorni dal deposito, vale a dire nel medesimo termine indicato negli artt. 98 e 100; a norma del terzo comma del medesimo articolo, per l’ulteriore corso si osservavano, in quanto applicabili, le disposizioni degli artt. da 98 a 103. Dalle norme citate appariva manifesta la volontà del legislatore di mantenere, sin dove possibile, il parallelismo tra le due azioni (opposizione al passivo e impugnazioni dei crediti ammessi) nella liquidazione coatta amministrativa e nel fallimento, sul presupposto che non vi fosse alcuna ragione per differenziare le due discipline, specificamente con riguardo ai termini d’impugnazione.

In tale quadro è sopravvenuto il Decreto n. 5 del 2006 che ha profondamente modificato il sistema delle impugnazioni dello stato passivo del fallimento, unificandole nel nuovo testo della L. Fall., art. 98. Nella nuova disciplina il termine, che è unico per tutte le impugnazioni, è indicato dall’art. 99, ed è stato portato da quindici a trenta giorni. Con lo stesso Decreto n. 5 del 2006 il legislatore non è però intervenuto sul testo dell’art. 209, con la conseguenza che il parallelismo tra le due discipline, della liquidazione coatta amministrativa e del fallimento, pur mantenuto dal persistente riferimento espresso contenuto nel terzo comma dell’art. 209 agli artt. da 98 a 103, è apparentemente venuto meno con riguardo al termine applicabile, per il quale il legislatore, in luogo di un rinvio, aveva optato per la riproduzione nel secondo comma dell’art. 209 di quello indicato nell’art. 98 (testo originario). Ciò ha comportato una dissimmetria apparente e per la quale non è individuabile una qualsiasi ragione; lo stesso risultato non si sarebbe verificato se l’art. 209, comma 2, avesse operato per il termine, come il terzo comma per la restante disciplina, un rinvio formale all’art. 98, invece di riprodurne il contenuto (quantunque si debba riconoscere la sostanziale equivalenza delle due tecniche normative, quanto al risultato), perchè in tal caso l’impossibilità di rinvenire nel nuovo art. 98 il termine richiamato avrebbe comportato necessariamente l’applicazione del terzo comma, che con il rinvio agli artt. da 98 a 103 avrebbe reso applicabile anche nella liquidazione coatta amministrativa il nuovo termine di trenta giorni.

La circostanza che di tale sopravvenuta dissimmetria, limitata al solo termine di proposizione della domanda, delle due discipline che restano regolate unitariamente, non sia identificabile una qualsiasi ratio legis, e il fatto che la dissimmetria appare quale effetto conseguente non già ad un intervento del legislatore sulla disciplina della liquidazione coatta amministrativa (l’art. 209, come s’è ricordato, non è stato modificato dal Decreto n. 5 del 2006), bensì quale risultato indiretto di modifiche apportate ad altre disposizioni della stessa legge, non consentono di attribuire al legislatore l’intento di differenziare i termini delle impugnazioni dello stato passivo nei due casi, ed impongono di ritenere che si tratti semplicemente di un effetto, non voluto, del mancato coordinamento della disciplina rimasta immutata, con le innovazioni apportate nella disciplina del fallimento. La riproduzione, nel corpo dell’art. 209, comma 2, del termine indicato nell’art. 98 deve ritenersi pertanto abrogata dalla modifica della L. Fall., artt. 98 e 99, per incompatibilità con le nuove disposizioni.

A tale conclusione concorre, del resto, un’interpretazione costituzionalmente orientata del sistema, giacchè l’interpretazione letterale, con l’introduzione indiretta di una differenza concernente la sola lunghezza del termine di decadenza per la proposizione dell’impugnazione nelle due situazioni, e con la penalizzazione dei creditori delle imprese in liquidazione coatta, assoggettati a termini più brevi di decadenza rispetto a quelli delle imprese fallite, si presterebbe a dubbi non manifestamente infondati circa la ragionevolezza della disparità che ne deriverebbe nel trattamento delle due situazioni, che lo stesso legislatore considerava già prima della riforma, e continua a considerare dopo, sostanzialmente equivalenti.

L’indicata abrogazione per incompatibilità è divenuta poi abrogazione espressa con il Decreto n. n. 169 del 2007, che ha soppresso dell’art. 209, comma 2. Nel periodo intermedio, non potendo più trovare applicazione dell’art. 209, comma 2, la disciplina del termine deve essere rinvenuta nel rinvio del comma 3 del medesimo art. 209 agli artt. da 98 a 100, e in particolare all’art. 99, che indica, in una norma, sicuramente compatibile con la disciplina della liquidazione coatta amministrativa, il termine di trenta giorni.

Il conseguente accoglimento del motivo in esame, comportando la cassazione della sentenza impugnata, la quale non si è pronunciata nel merito dell’opposizione a causa della ritenuta tardività dell’azione, assorbe l’esame di tutte le altre censure. La causa deve essere rinviata, anche ai fini del regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Civitavecchia in altra composizione, che esaminerà la domanda della banca uniformandosi al principio di diritto che, a seguito dell’emanazione del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, che negli artt. 83 e 84 ha modificato il testo del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 98 e 99, il citato Decreto n. 267 del 1942, art. 209, comma 2, è abrogato.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia la causa, anche ai fini del regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Civitavecchia in altra composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

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