Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17337 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/08/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 19/08/2020), n.17337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Lu – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. Grasso Gianlu – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6338/13 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12.

– ricorrente

Contro

GIANCARAN ITALIA SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore

legale rappresentante p.t.

– intimata –

avverso la sentenza n. 2/30/12 della Commissione tributaria regionale

della Toscana, depositata 19 gennaio 2012.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15 gennaio 2020 dal Consigliere Gianluca Grasso.

 

Fatto

RITENUTO

che:

– la Giancaran Italia s.r.l. ha impugnato l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale, a seguito di verifica fiscale parziale per l’anno di imposta 2004 effettuata dalla Guardia di Finanza di Pistoia, l’Agenzia delle Entrate accertava una maggiore Iva per Euro 57.039,00, oltre interessi e sanzioni. La maggiore imposta traeva origine dall’omessa dichiarazione di operazioni imponibili per Euro 285.194,00, essendosi accertata una maggiore plusvalenza con riferimento a un’operazione commerciale di vendita di due distinte porzioni immobiliari, avvenuta in data 15 gennaio 2004 al prezzo complessivo dichiarato in Euro 400.000,00. Oggetto della vendita era stato un laboratorio artigianale di circa mq. 440 con resede di mq. 1.400, ceduto al prezzo dichiarato di Euro 220.000,00, e un appartamento per civile abitazione classificato con categoria A/3 ceduto al prezzo dichiarato di Euro 180.000,00. L’avviso di accertamento, richiamando le risultanze emerse in sede di verifica, era motivato sul riscontro della non rispondenza del prezzo dichiarato a quello effettivamente corrisposto, considerando che nel bilancio al 31 dicembre 2002 i predetti immobili erano stati oggetto di rivalutazione ai sensi della L. n. 448 del 2001 e L. n. 342 del 2000, con perizia giurata di stima del 20 dicembre 2002, che valutava il complesso n Euro 473,000,00 (Euro 333.000 per il laboratorio e Euro 140.000 per l’immobile abitativo) e che lo stesso complesso, ai fini della cessione, veniva valutato dal perito di parte acquirente in Euro 535.000,00, anche a fronte di un mutuo concessogli per Euro 1380,000,00 (con garanzia ipotecaria per Euro 760.000,00). L’Ufficio, quindi, richiamando le disposizioni contenute nel D.L. n. 223 del 2006, art. 35, commi 2 e 3, – ai sensi della L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, applicabile anche agli atti formati in data precedente alla entrata in vigore del decreto n. 223/06, in forza delle quali, ai fini fiscali, per le cessioni aventi per oggetto beni immobili e relative pertinenze, in presenza di una divergenza fra il corrispettivo dichiarato e il valore normale del bene trasferito, determinato ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 14 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 9, si deve presumere che il corrispettivo realmente conseguito sia almeno pari al valore normale – procedeva all’accertamento della plusvalenza facendo proprio il procedimento di stima applicato dal perito di parte, determinando il valore netto dell’immobile (laboratorio artigianale e resede) in complessivi Euro 505.194,00;

– la Commissione tributaria provinciale di Pistoia, con sentenza n. 129/2/09, ha respinto il ricorso;

– la Commissione tributaria regionale della Toscana ha accolto l’appello principale proposto dalla Giancaran Italia s.r.l., ritenendo applicabile il D.L. n. 41 del 1995, art. 15, e quindi insuscettibile di rettifica il prezzo dichiarato;

– l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi;

– la società contribuente, sia pur regolarmente intimata, non si è costituita.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 15, convertito con la L. n. 85 del 1995; art. 35, comma 4, nonchè del D.L. n. 223 del 2006, comma 2, conv. con L. n. 248 del 2006; falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 1 e 3, e della L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Parte ricorrente contesta la pronuncia impugnata nella parte in cui ha affermato l’applicabilità al caso di specie del D.L. n. 41 del 1995, art. 15, ritenendo che tale disposizione, espressamente abrogata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 4, fosse ancora vigente all’epoca dell’operazione contestata (gennaio 2004). A tal fine sottolinea che, in assenza di uno specifico riferimento temporale in merito alla decorrenza rispetto ai periodi di imposta ancora accertabili, il successiva L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, interpretando il dettato del D.L. n. 223/2006, ha precisato che per gli atti formati prima del 4 luglio 2006 le presunzioni di cui all’art. 35, commi 2, 3 e 23 bis, valessero come presunzioni semplici, richiamando il carattere derogatorio rispetto alla L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2. L’abrogazione in questione, secondo quanto argomentato, costituisce diretta conseguenza dell’adozione del diverso parametro di riferimento per l’individuazione del corrispettivo introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, al fine dell’esecuzione dei controlli sulle dichiarazioni, alchè gli effetti di detta abrogazione non possono che coincidere con la vigenza del nuovo parametro. Si sottolinea, inoltre, che il D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 2, prevede che, per le cessioni aventi ad oggetto beni immobili, la prova dell’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato in dichiarazione possa essere validamente desunta dalla differenza tra il valore normale dei beni e il corrispettivo dichiarato. La richiamata disposizione modifica il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e ha natura procedimentale, atteso che non muta il profilo sostanziale dei singoli ambiti impositivi. Ne consegue che le disposizioni in esame hanno efficacia anche per e rettifiche relative ai periodi d’imposta ancora accertabili. Le medesime considerazioni varrebbero anche riguardo alle rettifiche ai fini delle imposte sul reddito, posto che l’art. 35, comma 3, ha parimenti modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1. In coerenza con il contenuto delle disposizioni in esame, il successivo comma 4 ha abrogato il D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 15, che, come chiarito con la risoluzione 29 aprile 1996, n. 62/E, individuava nel valore catastale esclusivamente un valore indiziario sulla base del quale orientare un’eventuale attività di accertamento e non anche il criterio per la determinazione della base imponibile (costituita dall’ammontare complessivo del corrispettivo effettivamente pattuito). Pertanto, secondo la prospettazione dell’Agenzia delle entrate, l’abrogazione dell’art. 15, costituisce diretta conseguenza dell’adozione del diverso parametro di riferimento per l’individuazione del corrispettivo introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, al fine dell’esecuzione dei controlli sulle dichiarazioni. Dunque, a seguito dell’abrogazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 15, avvenuto con il D.L. n. 223/2006, e del successivo intervento normativo di cui alla L. n. 244 del 2007, l’applicabilità di un metodo accertativo in materia di Iva sulla base delle presunzioni “semplici” richiamate dalla normativa trova applicazione anche per gli atti antecedenti al 4 luglio 2006, per i quali deve ritenersi abrogata la previsione, altrimenti incompatibile, di cui al D.L. n. 41 del 1995, art. 15;

il motivo è fondato;

– per le cessioni di immobili soggette ad Iva, il D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 15, aveva esteso (per i fabbricati classificati o classificabili nei gruppi A, B e C) il principio della non rettificabilità del corrispettivo dichiarato, ove determinato in base ai parametri automatici previsti per l’imposta di registro, salvo che, da atto o documento, il corrispettivo risultasse di maggiore ammontare, se lo stesso fosse indicato nell’atto in misura non inferiore al valore determinato ai sensi dell’art. 52, comma 4, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131;

– Il D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 15, è stato espressamente abrogato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 4, (cd. decreto Visco-Bersani), convertito, con modificazioni, con la L. n. 248 del 2006 (decreto in vigore dal 4 luglio 2006), in coerenza con la disciplina contestualmente introdotta dal commi 2 (che ai fini dell’Iva ha modificato il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3) e art. 3 (che riguardo alle imposte sui redditi ha modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)), diretta ad ampliare i poteri esercitabili dall’ufficio. Sono state infatti introdotte presunzioni legali relative che consentivano all’ente impositore di rettificare la dichiarazione del contribuente sulla base del solo scostamento tra il corrispettivo dichiarato per le cessioni di beni immobili (e relative pertinenze) e il valore “normale” degli stessi;

– la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, in vigore dal 1 gennaio 2008, ha stabilito che le indicate presunzioni legali (basate sul valore normale) si applicano soltanto per gli atti formati a decorrere dal 4 luglio 2006, mentre, per gli atti formati anteriormente, valgono, “agli effetti tributari, come presunzioni semplici” (“265. In deroga alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, per gli atti formati anteriormente al 4 luglio 2006 deve intendersi che le presunzioni di cui al D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, commi 2, 3 e 23-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, valgano, agli effetti tributari, come presunzioni semplici”);

– il legislatore, richiamando lo Statuto dei diritti dei contribuenti (L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2), con una norma dall’espresso valore interpretativo (L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265), ha pertanto ritenuto che le modifiche introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, siano applicabili anche in via retroattiva agli atti formati anteriormente al 4 luglio 2006, puntualizzando però che le presunzioni previste dalla nuova disciplina (D.L. n. 223 del 2006, art. 35, commi 2, 3 e 23-bis) valgano, agli effetti tributari, come presunzioni semplici;

– l’espressa abrogazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 15, operata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 4, e dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265 ha quindi effetto retroattivo (Cass. 14 novembre 2012, n. 19942);

– la L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 5, (Legge Comunitaria 2008), ha tuttavia modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, così come l’omologo D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in tema di IVA, eliminando le disposizioni introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, a seguito di un parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione Europea, la quale, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l’incompatibilità – in relazione, specificamente, all’Iva, ma ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette – di tali disposizioni con il diritto comunitario (Cass. 15 marzo 2017, n. 6736);

– sul piano degli effetti ne consegue che, in tema di accertamenti tributari, a seguito della soppressione, ad opera della legge comunitaria n. 88 del 2009, della presunzione iuris Tantum di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, che era stata introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35 (conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006), il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, secondo cui spetta al giudice valutare l’eventuale esistenza di attività non dichiarate – e dunque di un corrispettivo non integralmente fatturato – anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti, sono nuovamente applicabili, con effetto retroattivo, in considerazione della ratio legis di adeguare l’ordinamento interno a quello comunitario (Cass. 4 aprile 2019, n. 9453; Cass. 15 marzo 2017, n. 6736; Cass. 18 novembre 2016, n. 23485);

– nel presente giudizio, stante – da un lato – l’espressa abrogazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 15 con effetto retroattivo, operata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 4, e dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265 (che aveva al contempo attribuito alle presunzioni previste dalla nuova disciplina contenuta nel D.L. n. 223 del 2006, art. 35, commi 2, 3 e 23-bis, il valore di presunzioni semplici), e – dall’altro essendo stato ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006, avendo la legge comunitaria n. 88 del 2009 sopesso la presunzione legale di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore “normale” del bene (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35), il giudice può desumere l’esistenza di attività non dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti;

– deve dunque rimettersi alla valutazione della Commissione tributaria regionale se la documentazione allegata fosse idonea a

r emergere una discrasia tra il valore catastale dell’immobile e il prezzo effettivamente corrisposto, nei termini indicati dalla giurisprudenza di legittimità;

– l’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo, formulato in via subordinata, con cui si è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 15, sotto l’ulteriore profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

– in conclusione, il ricorso va accolto in relazione al primo motivo, assorbito il secondo, e la sentenza impugnata va cassata

rinviata alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, per nuova valutazione e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

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