Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17335 del 17/08/2011

Cassazione civile sez. II, 17/08/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 17/08/2011), n.17335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.E. e F.P., rappresentati e difesi, in

forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. IACOPETTI

Giovanni e Alfredo Codacci Pisanelli, elettivamente domiciliati nello

studio di quest’ultimo in Roma, via Claudio Monteverdi, n. 26;

– ricorrenti –

contro

FA.El., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dagli Avv. CATTANI Giovanni e

Giuseppe Tufani, elettivamente domiciliata nello studio di

quest’ultimo in Roma, via Pisciano, n. 43;

– controricorrente –

e nei confronti di:

F.L. e F.C.;

– intuiate –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Firenze n.

1425 del 21 luglio 2006.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 17

maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l’Avv. Alfredo Codacci Pisanelli;

udIto il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il

rigetto del ricorso e per l’estinzione per rinuncia limitatamente al

ricorso di F.E..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il Tribunale di Lucca, con sentenza (non definitiva del giudizio di divisione proposto da Fa.El. contro i fratelli G. e L.) in data 11 novembre 2003, pronunciando limitatamente alla domanda di usucapione proposta, in riferimento ad uno dei cespiti da dividere, dal convenuto F.G., respinse la domanda stessa, dando disposizioni per la prosecuzione del giudizio di divisione.

Il Tribunale osservò, in particolare, che F.G. non aveva fornito prove sufficienti che il possesso da lui esercitato fosse qualificabile uti dominus e non, semplicemente, in conformità al titolo derivativo che egli poteva vantare, uti condominus.

2. – La Corte d’appello di Firenze, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 21 luglio 2006, ha rigettato il gravame proposto da C., E. e F.P., figli ed eredi di F.G..

2.1. – La Corte d’appello ha motivato in proposito: “non vi è prova certa che e. fosse privo delle chiavi dei lucchetti: i testi non sono stati in grado di confermare ciò e la iniziale posizione assunta, in proposito, dalla difesa di Fa.El. ha, per la verità, a pro delle tesi degli appellanti, un valore probatorio assai tenue, trattandosi di negazioni (che, in quel momento, potevano apparire funzionali alla difesa di El.) che il difensore potrebbe avere manifestato nelle memorie difensive senza previamente, sentire, sul punto, la cliente; anche il fatto che i lavori fossero curati e, forse, pagati esclusivamente da G. nonchè il fatto che F.G. avesse, a proprie spese, realizzato, in situ, una costruzione, demolendo preesistenti manufatti appaiono, di per sè (non potendosi, in realtà, escludere che G. abbia agito dopo essersi provvisto del consenso del fratello), come un indizio davvero tenue dell’esclusività del possesso, indizio che avrebbe potuto assumere un valore significativo solo in congiunzione con altri, seri elementi di prova, in verità del tutto assenti nel materiale istruttorio raccolto”.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno proposto ricorso F.E. e F.P., con atto notificato il 16 ottobre 2007, sulla base di due motivi.

Ha resistito, con controricorso, Fa.El..

Gli altri intimati – F.L. e F.C. – non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

4. – Con atto notificato il 10 dicembre 2008 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 23 dicembre 2008, F.E. ha dichiarato di rinunciare al ricorso.

La rinuncia è stata accettata dalla controricorrente Fa.

E..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, deve dichiararsi l’estinzione del processo promosso da F.E. per intervenuta rinuncia.

2. – Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente F.P. denuncia motivazione contraddittoria ed insufficiente su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 2697, 2729 e 2730 cod. civ. e art. 116 cod. proc. civ.. Esso indica come fatto controverso “il non avere la Corte territoriale attribuito valore probatorio al fatto che l’accesso al fabbricato era impedito da lucchetti di cui certamente F.G. aveva le chiavi e – dall’altro – nell’aver negato che vi sia la prova che f.e. era, al contrario, privo delle chiavi di detti lucchetti (anche ammesso e non concesso che l’onere di provare tale circostanza negativa incombesse su F. G. e, dopo di lui, sui suoi eredi). Fatto controverso e decisivo immediatamente ricollegato a quest’ultimo aspetto consiste anche nella considerazione del valore delle dichiarazioni contenute nella costituzione di nuovo procuratore, in ordine alle quali è stata ignorata, senza motivare sul punto, la circostanza che essa reca a margine la firma di Fa.El. (si tratta, dunque, di dichiarazioni aventi valore confessorio e che, comunque, anche in ipotesi denegata, dovevano essere valutate come elementi presuntivi, si da poterne essere esclusa la rilevanza solo previa congrua motivazione, nella specie assente)”. Il quesito di diritto che accompagna il motivo è se “sussiste violazione degli artt. 2697 e 1158 cod. civ. laddove la Corte d’appello di Firenze ha addossato a F.G. ed ai suoi eredi l’onere di dimostrare la circostanza negativa per cui le chiavi dei lucchetti non sarebbero state in possesso di f.e. (id est: di dimostrare la circostanza per cui, pur dopo che F.G. aveva posto in essere opere – i lucchetti – che rendevano il suo godimento inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, f.

e. aveva nondimeno conservato il godimento stesso)? Sussiste violazione dell’art. 2730 cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. laddove la Corte d’appello non ha considerato come aventi valore confessorio le dichiarazioni contenute in un atto (costituzione di nuovo procuratore) sottoscritto non dal solo procuratore, ma – a margine – anche dalla parte di persona? Sussiste, in ipotesi, violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e degli artt. 2729 e 2697 cod. civ., laddove le dichiarazioni contenute nell’atto predetto e nella memoria istruttoria di Fa.El. sono state puramente e semplicemente ritenute irrilevanti senza procedere ad una loro motivata valutazione almeno come presunzioni nel contesto del quadro probatorio in atti? Ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ. la Corte d’appello avrebbe dovuto dare contezza del perchè non ha tenuto conto della contraddittorietà della difesa di Fa.El.

che, dopo avere sostenuto l’inesistenza dei lucchetti, la ha poi ammessa sostenendo, però, che il suo dante causa avrebbe avuto le chiavi?”.

Con il secondo mezzo il ricorrente censura motivazione contraddittoria ed insufficiente su un fatto controverso e decisivo per il giudizio sotto altro profilo, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 2697 e 2729 cod. civ. e 116 cod. proc. civ.. Il fatto controverso e decisivo in ordine al quale la Corte sarebbe incorsa nel vizio consisterebbe “nella valutazione complessiva del contegno di F.G., quale è risultato dimostrato in atti e consistente in una serie di attività rilevanti ai fini dell’acquisto per usuca-pione (esclusione del possesso di altri mediante lucchetti, libero accesso all’immobile ove conservava cose di sua proprietà, esecuzione a sue integrali cura e spese di lavori, ecc.)”. La Corte d’appello non avrebbe valutato il contegno nel suo complesso, ma ne avrebbe “estrapolato singole parti omettendo una valida motivazione circa le scelte operate in ordine al materiale probatorio”. Il quesito di diritto che conclusivamente accompagna il motivo è se sussista “violazione degli artt. 1158, 2697 e 2729 cod. civ. e, soprattutto, dell’art. 116 cod. proc. civ. laddove la Corte d’appello, senza dare contezza di aver valutato le prove complessivamente e senza confutare nel loro complesso le censure mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado, tiene conto solo di alcuni elementi probatori senza operare tra essi alcuna connessione”.

2.1. – I due motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sè, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando necessario, a fini dell’usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla rea communis da parte dell’interessato attraverso un’attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene (Cass., Sez. 2^, 20 settembre 2007, n. 19478; Cass., Sez. 2^, 27 luglio 2009, n. 17462).

A tale principio di diritto si è attenuta la Corte territoriale, escludendo, al pari del primo giudice, all’esito della disamina delle complessive risultanze istruttorie, che F.G. (padre dell’attuale ricorrente P.) abbia fornito una dimostrazione sufficiente che il possesso da lui esercitato fosse qualificabile come uti domius: ciò sia per la mancanza di prova che l’altro comproprietario ( f.e.) fosse privo della chiave dei lucchetti, sia per la non decisività della circostanza relativa alla cura della realizzazione di alcuni lavori (costruzione di un immobile l previa demolizione di precedenti manufatti) da parte di F. G., non potendosi escludere che questi avesse agito con il consenso del fratello.

L’apprezzamento della Corte d’appello è congruamente motivato ed immune da vizi logici e giuridici.

Correttamente la Corte fiorentina ha escluso che l’affermazione contenuta nella “comparsa di nuova costituzione” di Fa.El.

contenesse ammissioni suscettibili di avere valore confessorio: non solo perchè quest’ultima ha in particolare sottolineato, proprio nel detto atto, che entrambi i fratelli, G. ed f.e., avevano “sempre avuto la piena disponibilità dell’immobile”, ma anche perchè la deduzione relativa ai lucchetti si riferisce agli “attuali lucchetti”, ossia a quelli “illegittimamente apposti solo dopo l’instaurazione del presente giudizio”.

Le critiche del ricorrente – oltre a risolversi, anche quando denunciano violazione e falsa applicazione di legge, nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito – non tengono conto del fatto che il sindacato di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata. Spetta, infatti, solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Nè per ottemperare all’obbligo della motivazione il giudice è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento e dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la motivazione (Cass., Sez. lav., 23 dicembre 2009, n. 27162).

Inoltre, secondo il costante insegnamento di questa Corte (Cass., Sez. Un., 21 dicembre 2009, n. 26825), si ha carenza di motivazione, nella sua duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, soltanto quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza però un’approfondita disamina logica e giuridica, ma non anche nel caso di valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte.

Parimenti, si ha motivazione insufficiente nell’ipotesi di obiettiva deficienza del criterio logico che ha indotto il giudice del merito alla formulazione del proprio convincimento ovvero di mancanza di criteri idonei a sorreggere e ad individuare con chiarezza la ratio decidendi, ma non anche quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati (Cass., Sez. lav., 2 febbraio 1996, n. 914).

3. – Il ricorso di F.P. è rigettato.

4. – Non vi è luogo ad alcuna statuizione in ordine alle spese relative al ricorso di F.E., atteso che la controricorrente ha aderito alla rinuncia.

Le spese del giudizio di cassazione del ricorso di F.P., liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

– dichiara estinto per intervenuta rinuncia il processo relativamente al ricorso proposto da F.E.;

rigetta il ricorso di F.P. e lo condanna al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente Fa.

E., che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2011

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