Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17329 del 23/07/2010
Cassazione civile sez. II, 23/07/2010, (ud. 27/05/2010, dep. 23/07/2010), n.17329
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
S.P. e B.R., rappresentati e difesi, giusta
procura speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato SCROFANI
Salvatore, elettivamente domiciliati in Roma, Via Sicilia n. 169,
presso lo studio dell’Avvocato Lelio Placidi;
– ricorrente –
contro
L.N. e V.A., rappresentati e difesi, giusta
procura speciale in calce al controricorso, dagli Avvocati MAGNANI DI
SAN LIO Giovanni e Giuseppe Marletta, elettivamente domiciliati in
Roma , via dei Gracchi n. 187, presso lo studio del primo;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 270 del 2008,
depositata in data 15 febbraio 2008;
udita, la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
27 maggio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
che, con sentenza depositata in data 15 febbraio 2008, la Corte d’appello di Catania, giudicando in sede di rinvio a seguito di annullamento, con sentenza n. 151 del 2004, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ragusa – che aveva accolto in parte la domanda proposta da S.P. e B.R. nei confronti di L.N. e V.A., condannando i due convenuti a chiudere due finestre e ad abbattere una scala -, ha rigettato la domanda volta ad ottenere la chiusura delle due finestre e ha confermato per il resto la sentenza impugnata, compensando le spese del giudizio di legittimità e condannando gli originari attori alle spese del giudizio di appello;
che per la cassazione di questa sentenza hanno proposto ricorso S.P. e B.R. sulla base di due motivi;
che, con il primo motivo, i ricorrenti deducono errata e falsa applicazione dell’art. 1062 cod. civ., e, con il secondo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ.;
che i ricorrenti si dolgono altresì della statuizione in tema di spese;
che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il relatore designato, nella relazione depositata il 12 marzo 2010, ha formulato la seguente proposta di decisione:
“(…) Sussistono le condizioni per la trattazione della causa in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 1, essendo il ricorso inammissibile.
Entrambi i motivi di ricorso non si concludono con la formulazione del quesito di diritto, secondo quanto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., per la proposizione del ricorso per cassazione avverso le sentenze depositate dopo il 2 marzo 2006. La doglianza relativa alle spese non sembra qualificabile come motivo di ricorso per cassazione, essendosi i ricorrenti limitati a rilevare che la decisione sulle spese avrebbe dovuto essere diversa ove la Corte d’appello avesse adeguato la propria decisione di accertamento a quanto devolutole dalla Corte di cassazione, come dedotto nel secondo motivo”;
che il Collegio condivide la proposta di decisione ora richiamata, alla quale non sono state formulate critiche di sorta;
che privo di rilievo in sede di legittimità è il decesso del ricorrente S., comunicato alla Corte dal difensore, atteso che “nel giudizio di cassazione, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dall’art. 299 cod. proc. civ., e segg., onde, una volta instauratosi il giudizio, il decesso di uno dei ricorrenti, comunicato dal suo difensore, non produce l’interruzione del giudizio” (Cass., S.U., n. 14385 del 2007);
che il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010