Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17329 del 17/08/2011

Cassazione civile sez. II, 17/08/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 17/08/2011), n.17329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 24820/05) proposto da:

R.C. (OMISSIS), rappresentato e difeso, in forza

di procura speciale a margine del ricorso e con atto notaio Anna

Bianchini del collegio notarile di Venezia rep. n. 26014 del

13.6.2008, dall’Avv.to ZANDINELLA Angelo (poi deceduto) e dall’Avv.to

Zeno Forlati, entrambi del foro di Venezia, nonchè dall’Avv.to Luigi

Manzi del foro di Roma, ed elettivamente domiciliato presso lo studio

di quest’ultimo in Roma, via Confalonieri, n. 5;

– ricorrente –

contro

D.G.M. e G., rappresentati e difesi dall’Avv.to

DEL BIANCO Adriano del foro di Rimini e dagli Avv.ti Crescentino

Radicchi e Franco Antonazzo, entrambi del foro di Roma, in virtù di

procura speciale a margine del controricorso ed elettivamente

domiciliati presso lo studio di questi ultimi in Roma, Via Golametto

n. 4;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 776/2005

depositata il 12 maggio 2005.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti Zeno Forlati, per parte ricorrente, e Franco

Antonazzo, per parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE Vittorio Eduardo, che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 17 febbraio 1998 D.G.G. e M. evocavano, dinanzi alla Pretura circondariale di Venezia – Sezione distaccata di Chioggia, R.C. chiedendo la reintegrazione nel possesso dell’immobile sito in (OMISSIS) e censito nel N.C.T. ai foglio 21 p.lla 201, asserendo di esserne stati spogliati dal convenuto mediante abbattimento della recinzione della rete divisoria.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il quale assumeva che i ricorrenti avevano perso il possesso del bene per averlo alienato prima a lui e poi a terzi, non sussistendo peraltro i presupposti per l’azione di cui all’art. 704 c.p.c., non potendo essere considerato il giudizio ex art. 2932 c.c., di natura petitoria, il Tribunale (già Pretore) adito accoglieva il ricorso ed ordinava al convenuto di reintegrare nel possesso dell’immobile in contesa la controparte, oltre a condannarlo al pagamento delle spese processuali.

In virtù di rituale appello interposto dal R., con il quale eccepiva la erroneità della decisione del giudice di prime cure per non avere accolto l’eccezione di incompetenza ex art. 704 c.p.c., per essere i fatti in contestazione avvenuti prima del 20.1.1997, dovendosi il presunto spoglio farsi risalire al 1995, anno in cui aveva avuto il possesso del terreno dagli stessi ricorrenti con la consegna delle chiavi di accesso, precisato che i D.G. non avevano il possesso del fondo per averlo con atto del 20.1.1997 venduto prima a lui e poi alla società Sporting Club, la Corte di appello di Venezia, nella resistenza degli appellati, respingeva l’appello.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte lacunare riteneva l’infondatezza del primo motivo per essere stato il ricorso regolarmente incardinato dinanzi al Pretore in quanto la domanda atteneva a tutela possessoria, rientrante in via esclusiva nella competenza del pretore del luogo in cui si trovavano i beni oggetto dello spoglio, ai sensi dell’art. 703 c.p.c.. Precisava, comunque, che il medesimo giudice – a seguito della riforma del giudice unico di primo grado, introdotta con la L. n. 51 del 1998 – sarebbe stato competente anche in ordine alla domanda ex art. 2932 c.c., introdotta dal convenuto dinanzi alla stessa Pretura, ufficio quest’ultimo soppresso, a norma dell’art. 704 c.p.c., comma 2.

La Corte distrettuale, inoltre, affermava che pure il secondo motivo, attinente l’eccezione di decadenza dall’azione ex art. 1968 c.c., era priva di pregio risultando dalle dichiarazioni degli informatori che lo spossessamento, con abbattimento di una parte della recinzione, era avvenuto nel corso del 1997, proposto il ricorso il 17.2.1998, mancando qualsiasi prova in ordine al fatto che ancora prima del 1997 il R. avesse cominciato a disporre autonomamente del bene, autorizzando anche altri a depositarvi la barca. Aggiungeva che pure non fondata doveva ritenersi l’eccezione di carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti per avere gli stessi venduto il bene con atto notarile del 26.11.1997, giacchè la domanda di reintegra nel possesso di un bene era proponibile anche nei confronti del promissario acquirente dello stesso, purchè non passata in giudicato la sentenza ottenuta ex art. 2932 c.c., sebbene proposto ricorso per cassazione, nel caso di pluralità di promittenti venditori, da uno soltanto di essi, stante l’unicità del contratto posto a base della decisione. Del pari sussisteva la legittimazione attiva dei ricorrenti con riferimento al contratto di vendita del bene medesimo dagli stessi concluso con la Sporting Club, esercitando questi un potere di fatto sul terreno, tutelabile anche con l’esperimento dell’azione di spoglio, come emergeva dal telegramma del 12.2.1998 con il quale la società acquirente chiedeva ai venditori di fare cessare le turbative poste in essere da terze persone sul fondo.

Infine, concludeva che pure non provata era risultata la circostanza di un possesso del fondo in epoca anteriore al 1998 da parte dell’appellante, per avere i testi dallo stesso indotti riferito di fatti e convincimenti ingenerati dallo stesso R., peraltro circostanze incompatibili con il tenore della clausola del preliminare sottoscritto dalle parti nel gennaio 1997 ove era precisato che il possesso del terreno gli sarebbe stato trasferito con la stipula dell’atto notarile, precisato dagli appellati che nel 1995 l’appellante aveva ricevuto le chiavi del cancellerò di accesso al terreno a puro titolo di cortesia per agevolare l’esecuzione dei lavori edili alla sua abitazione, chiavi mai restituite ai legittimi proprietari. Alla luce di quanto sopra, doveva ritenersi sussistere anche l’animus spogliandi in quanto proprio per avere il R. trattenuto le chiavi, D.G.M. era stato costretto ad inviare il L. dal R. per depositare la barca. Analoghe considerazioni venivano fatte per la locazione conclusa dall’appellante con il Dott. M..

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione il R., che risulta articolato su quattro motivi, al quale hanno resistito con controricorso i D. G.. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente osservato che non si deve tenere conto della sentenza allegata dai controricorrenti alla memoria ex art. 378 c.p.c., trattandosi di documentazione che non può essere considerata mera produzione di giurisprudenza, operando in tal caso la preclusione di cui all’art. 372 c.p.c., che vieta nel giudizio di legittimità il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi, atteso che altrimenti potrebbero sostanziarsi i presupposti di un vizio revocatorio, causando un inconveniente incompatibile con il principio di rango costituzionale di economicità dei giudizi.

Ciò precisato, con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 1168 c.c. e art. 703 c.p.c., nonchè per omessa ed illogica motivazione su punti essenziali della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Più specificamente, il ricorrente contesta – sin dai primi atti difensivi – il fatto che l’azione di reintegrazione sia stata esercitata da soggetti che al momento del preteso spoglio non possedevano nè detenevano il fondo. La corte di merito ha desunto la sussistenza di tale circostanza dal tenore del telegramma inviato dalla Sporting Club, cui i ricorrenti all’epoca del sofferto spoglio avevano ceduto con atto pubblico, del 26.11.1997, il terreno in contesa.

Il motivo è fondato.

Premesso che l’art. 1140 c.c., definisce il possesso come un potere di fatto sulla cosa (corpus) che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, accompagnata dall’hanimus rem sibi habendi, il potere sulla cosa presuppone il c.d. impossessamento, che si realizza innanzi tutto mediante apprensione materiale unilaterale. Il possesso si può perdere per rinunzia mediante comportamenti concludenti, per subito spoglio o volontaria consegna, abbandono o perimento o restituzione della cosa (v Cass. 7 gennaio 1992 n. 39).

Legittimato alla tutela possessoria, che dal punto di vista sostanziale, è assoluta ed incondizionata erga omnes contro gli atti di spoglio e di molestia, e, dal punto di vista processuale, è improntata ad estrema urgenza, è soltanto il possessore o il detentore qualificato del bene.

Dunque pur vero che nel giudizio possessorio l’esame dei titoli è consentito non già per pronunciare sui diritti che possono derivarne, ma solo ad colorandam possessionem, cioè per trame elementi di convincimento sull’esistenza, le modalità e i limiti del possesso o del compossesso, è tuttavia agevole osservare che il giudice del merito non ha considerato che quando taluno venda un proprio fondo garantendone all’acquirente la libertà da diritti di terzi, non corrispondente all’effettiva situazione giuridica e di fatto del bene medesimo, esso venditore resta soggetto, ricorrendone le condizioni di legge, alle azioni contrattuali dell’acquirente di risoluzione o di risarcimento dei danni, ma non è legittimato attivo (nè passivo), solo per effetto di tale garanzia, nell’azione di reintegrazione nel possesso del terreno venduto per lo spoglio compiuto da terzi.

Infatti nella specie risulta pacificamente che i D.G. non avevano più il possesso del terreno in contesa al momento della introduzione della domanda (febbraio 1998) per averlo ceduto (quanto meno) alla società Sporting Club con rogito notarile del 26 novembre 1997, come da documento in atti.

Da quanto sopra traspare un non corretto concetto della legitimatio ad causam di chi materialmente può ottenere di impedire comportamenti rintuzzagli con le azioni di tutela possessoria ed in particolare una erronea configurazione del diretto rapporto con il bene che deve esistere con colui che chiede la tutela. Va sul punto ribadito che perchè possa profilarsi una situazione di spoglio che comporti la legittimazione attiva della parte lesa ad esperire l’azione di reintegrazione nel possesso occorre che il mandante, agendo nel proprio interesse, abbia poi stabilito con la cosa un rapporto materiale diretto, che comporti un potere di disposizione della stessa. In mancanza il ricorrente, non avendo nulla da chiedere in restituzione, in quanto il bene è già uscito dalla sua sfera di disponibilità, e dunque non è più animato da un interesse diretto, non può essere ritenuto legittimato attivo rispetto all’azione di spoglio, che si caratterizza per la funzione di reintegrazione, inattuabile in suo favore. Infatti l’interesse diretto della parte lesa va inferito e deve consistere nell’acquisizione del possesso del bene e della sua disponibilità. Nulla di tutto ciò si è nella specie verificato, alla stregua degli accertamenti di fatto eseguiti nell’opportuna sede.

Del resto questa Corte ha già avuto modo di affermare che nella controversia promossa con azione di reintegrazione nel possesso non è configurabile una legittimazione delle ragioni del soggetto leso da parte di chi gli abbia venduto il bene oggetto di spoglio, in relazione all’interesse ad “evitare eventuali pretese di garanzia per evizione”, dato che siffatta garanzia può insorgere soltanto per domande altrui di contenuto petitorio (in termini vedasi sent. 6 novembre 1989 n. 4614 e Cass. 30 gennaio 1995 n. 1094).

Infatti, nella disciplina codicistica, l’evizione è configurabile solo quando la perdita della cosa sia effetto dell’accertamento di un diritto fatto valere da un terzo sulla stessa, e non quando deriva dall’accoglimento di un’azione possessoria esercitata dallo stesso venditore, il cui oggetto è solo quello di ripristinare la situazione di fatto preesistente, indipendentemente dalla corrispondenza di questa ad una posizione di diritto.

Ne segue che nella specie, essendo pacifico che i D.G. hanno promosso azione possessoria a sostegno delle ragioni della società acquirente, per evitare, attraverso la dimostrazione della fondatezza della loro domanda di reintegra, le conseguenze della garanzia per evizione, da loro dovuta, quali venditori, deve escludersi un loro interesse ad agire, non avendo le domante proposte contro il R. contenuto petitorio.

La sentenza impugnata che ha accolto le ragioni dei ricorrenti in sede possessoria deve pertanto essere cassata in parte qua.

Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., nonchè per omessa e illogica motivazione su punti essenziali della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la corte di merito riconosciuto l’intervenuto spossessamelo solo nel corso del 1997, con conseguente salvaguardia del termine decadenziale per la proposizione dell’azione di spoglio, circostanza contraddetta nella medesima decisione dal riconoscimento che la chiave del cancello di accesso al fondo, consegnata al ricorrente nel 1995, non era mai stata riconsegnata da quest’ultimo, tant’è che lo stesso ” D.G. M. disse al teste L. di chiedere al R. se poteva ricoverare nel terreno la barca visto che egli non aveva le chiavi perchè consegnate al R. nel 1995″. Con ciò dimostrando di condividere la linea difensiva sostenuta dallo stesso R. secondo cui qualora ci fosse stato uno spossessamelo, questo era da identificare non con l’abbattimento della rete di recinzione, ma con l’esclusione dal possesso dei precedenti possessori avvenuto nel corso del 1995 quanto il R., finito il restauro della casa, aveva continuato ad utilizzare il fondo per altri e diversi scopi.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., nonchè l’omessa ed illogica motivazione con riferimento alla diversa prospettazione della insussistenza dell’animus spoliandi in capo allo stesso ricorrente.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 124 del 2004, per avere la corte distrettuale effettuato una erronea liquidazione delle spese processuali di soccombenza applicando il massimo degli onorari e dei diritti previsti per le cause di valore indeterminabile, avendo, di converso, la causa un valore di Euro 25.822,84.

Dalla impostazione assunta circa la prima censura dedotta dal ricorrente discende che le altre doglianze debbono ritenersi assorbite, trattandosi di motivi necessariamente collegati alla i questione pregiudiziale del difetto di legittimazione attiva, anche per quanto attiene alla liquidazione delle spese processuali.

In conclusione, accolto il primo motivo di ricorso ed assorbiti gli altri, la sentenza va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia affinchè provveda a pronunciarsi in ordine alla tutelabilità della posizione dei D.G. nel rispetto degli enunciati principi.

Il giudice del rinvio provvedere alla regolamentazione delle spese processuali, anche per questa fase del giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese processuali, ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2011

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