Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17328 del 17/08/2011

Cassazione civile sez. II, 17/08/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 17/08/2011), n.17328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al N.R.G. 14832/05 proposto da:

F.M. (OMISSIS), rappresentato e difeso, in forza

di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to DE PROPRIS

Elio e dall’Avv.to Eugenio De Propris, entrambi del foro di Roma, ed

elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, piazza di

Villa Carpegna, n. 43;

– ricorrente –

contro

C.A., G.A.R. e C.A.R.

rappresentati e difesi dall’Avv.to PAVONCELLO Lina del foro di Roma,

in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione

notificato in data 1.6.2005, ed elettivamente domiciliati in Roma

presso il suo studio, via Quirino Majorana, n. 203;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 769/2005

depositata il 17 febbraio 2005.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti Eugenio De Propris, per parte ricorrente, e Lina

Pavoncello, per parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE Vittorio Eduardo, che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 30 dicembre 1998 C. A., G.A.R. e C.R. evocavano, dinanzi al Tribunale di Roma, F.M. per ottenere, previa declaratoria di risoluzione del contratto, la restituzione ed il rilascio dell’immobile sito in (OMISSIS), facente parte del fabbricato Palazzina (OMISSIS), per inadempimento del convenuto, promissario acquirente nel contratto preliminare di vendita stipulato dalle parti in data 14.10.1992, il quale non aveva provveduto al pagamento del prezzo pattuito, da corrispondersi parte in denaro e parte mediante accollo di mutuo acceso sull’immobile presso la Abbey National Bank, oltre al risarcimento dei danni causati ai promittenti venditori, come da decreto ingiuntivo notificato agli stessi dalla CARISPAQ, e per occupazione abusiva del bene.

Instauratosi il contraddittorio, nella contumacia del convenuto, il Tribunale adito pronunciava sentenza parziale di condanna dello stesso al rilascio dell’immobile, rimettendo la causa sul ruolo per la determinazione dell’indennità di occupazione, al fine di valutare il risarcimento del danno dovuto agli attori.

In virtù di rituale appello interposto dal F., con il quale eccepiva la nullità dell’atto introduttivo di primo grado e l’inesistenza dell’inadempimento o quanto meno la scarsa importanza del citato ex art. 1455 c.c., la Corte di appello di Roma, nella resistenza degli appellati, respingeva l’appello.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale riteneva l’infondatezza del primo motivo per essere stato regolarmente notificato l’atto introduttivo, avendo l’appellante personalmente curato il ritirato del plico di cui alla seconda raccomandata (come imposta dalla Corte Costituzionale in caso di non rinvenimento del destinatario all’indirizzo).

La Corte capitolina, inoltre, affermava che correttamente il giudice di prime cure aveva ritenuto grave l’inadempimento del promissario acquirente per non avere provveduto all’accollo ovvero all’estinzione del mutuo, come pattuito, nonchè per il mancato pagamento del residuo prezzo e per il protrarsi di un tempo irragionevole per la stipula del contratto definitivo (decorsi ben sette anni dal termine concordato dalle parti), mentre i promittenti venditori avevano provveduto alla consegna dell’unità immobiliare.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione il F., che risulta articolato su due motivi, al quale hanno resistito con controricorso i C. e la G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione ed omessa applicazione dell’art. 1454 c.c., in quanto in mancanza di un atto di messa in mora del debitore – sebbene non previsto in contratto la diffida ad adempiere – la Corte di merito avrebbe applicato “quasi di ufficio l’inadempimento e quindi la risoluzione del contratto”.

Il motivo deve essere disatteso.

Anzitutto esso, presupponendo l’accertamento dell’asserita necessità di un atto di diffida ad adempiere, completamente mancato nella sede di merito, introduce un tema di indagine che il ricorrente neppure allega di avere dedotto dinnanzi al giudice di merito e che, anzi, deve ritenersi mai dedotto dato che di esso non vi è cenno di sorta nella sentenza impugnata. Il motivo non indica in quale modo sarebbe stata dedotta una censura in tale senso in appello, per cui si rivela privo del requisito di autosufficienza, necessario, secondo il costante orientamento di questa Corte, per i motivi di ricorso in Cassazione. I In altri termini, il ricorrente non precisa, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, di avere sollevato ritualmente nel secondo grado del giudizio l’eccezione qui proposta e che la corte di merito, la quale non ne fa menzione, abbia omesso di decidere sulla stessa, cosicchè è ragionevole ritenere che sia stata proposta per la prima volta in questa sede di legittimità (v.

Cass. 6 giugno 2006 n. 13259; Cass. 23 dicembre 1998 n. 12843).

D’altro canto la Corte di merito ha esaminato la domanda di risoluzione per inadempimento, ritenendone, nel merito, la fondatezza (al pari del giudice di prime cure). Con questa statuizione, ogni altra censura circa la natura della risoluzione ovvero la sua applicazione “d’ufficio” è ormai coperta dal giudicato, per non essere stata oggetto di specifica impugnazione la relativa statuizione (v. in tal senso Cass. S.U. 26 gennaio 2011 n. 1764).

Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta la violazione ed omessa applicazione dell’art. 1455 c.c., punto deciso della controversia sul quale la corte di merito sarebbe incorsa in un difetto assoluto di motivazione.

Va osservato che per consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte (ex plurimis Cass. 11 dicembre 1990 n. 11775) l’obbligo del giudice dei merito di accertare il presupposto dell’importanza dell’inadempimento, richiesto dallo art. 1455 c.c., al fine della pronunzia di risoluzione del contratto, deve ritenersi osservato anche in difetto di una espressa indagine diretta all’individuazione di tale presupposto, allorquando dal complesso della motivazione emerga che il giudice abbia comunque considerato gli elementi che incidevano in maniera rilevante sull’equilibrio contrattuale (v.

Cass. 9 febbraio 1993 n. 1595; Cass. S.U. 9 luglio 1997 n 6224; Cass. 27 febbraio 1998 n. 2153; Cass. 28 gennaio 2000 n. 984).

Il che è avvenuto puntualmente nella presente fattispecie nella quale la Corte distrettuale si è soffermata sulla circostanza che il promissario acquirente non avesse provveduto all’accollo ovvero all’estinzione del mutuo, così corrispondendo il prezzo complessivo dell’immobile, e ciò nonostante fossero decorsi ben sette anni dal termine fissato dalle parti per la stipula del contratto definitivo.

Quanto, poi, alla censura circa la dedotta mancanza della motivazione, non sussiste, ad avviso del Collegio, posto che, con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede, perchè sorretto da motivazione sufficiente e non contraddittoria, il giudice d’appello ha accertato un fatto che in realtà è pacifico: il decorso di ben un settennio senza che il promissario acquirente, già immesso nel possesso del bene compromesso, si attivasse per realizzare le condizioni per la stipula del contratto definitivo.

Esattamente la corte territoriale ha qualificato questa situazione come di inadempimento grave, procedendo ad una valutazione comparativa delle rispettive posizioni delle parti e degli opposti interessi, avuto riguardo alla incidenza di detto comportamento sull’equilibrio sinallagmatico.

Va qui ribadito il principio del tutto pacifico (ex plurimis: Cass. 27 ottobre 2004 n. 20791) a mente del quale in materia di responsabilità contrattuale la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce una questione di fatto, la cui valutazione è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, quale quella esposta dalla Corte territoriale.

In conclusione il ricorso va rigettato alla stregua delle precedenti considerazioni.

Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2011

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