Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17327 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. un., 17/06/2021, (ud. 25/05/2021, dep. 17/06/2021), n.17327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. DORONZO Adriana – Presidente di Sez. –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 13286/2020 proposto da:

M.E.G.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SISTINA 121, presso lo STUDIO CORRIAS LUCENTE, rappresentato e

difeso dagli avvocati ROCCO DE BONIS, ed ORAZIO ABBAMONTE;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente –

contro

G.R., A.D., AM.VI., L.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso

lo STUDIO PLACIDI, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO

EUSTACHIO AMERIGO COLUCCI;

– ricorrenti incidentali adesivi –

MU.GI., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE

3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO SASSANI, rappresentato e

difeso dagli avvocati DONATO LETTIERI, e FERDINANDO PINTO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente all’incidentale –

S.G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DALMAZIA

29, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE CAIAZZO, rappresentato

e difeso dall’avvocato FELICE PALI;

– ricorrente incidentale –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

AN.AN., R.G., PROCURATORE REGIONALE PRESSO LA

SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE DEI CONTI PER LA BASILICATA;

– intimati –

sul ricorso 14713/2020 proposto da:

AN.AN., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DEI

MELLINI 17, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO VIGLIONE, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente –

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DANTE DE

BLASI 30, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA DI PIETRO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ROMINA GALIANI e FRANCESCA

PAUCIULO;

– ricorrente incidentale adesivo –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

M.E.G.D., MU.GI.,

S.G.P., AMENTO DOMENICO, L.A., G.R.,

AM.VI., PROCURA REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA

CORTE DEI CONTI PER LA BASILICATA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 264/2019 della CORTE DEI CONTI – I SEZIONE

GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 28/11/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2021 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto di tutti i

ricorsi;

uditi gli avvocati D.B.C.R. in proprio e per delega

dell’avvocato Orazio Abbamonte, C.V.E.A.

in proprio e per delega dell’avvocato Donato Lettieri e Felice Pali,

Giancarlo Viglione e Vincenzo Colucci per delega dell’avvocato

Romina Galiani.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Procuratore Regionale della Corte dei conti presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti della Basilicata conveniva davanti a questa una serie di persone che nel periodo tra il 2010 e il 2014 avevano rivestito incarichi di revisione o amministrazione di Acquedotto Lucano S.p.A. – società costituita come integralmente partecipata dagli enti locali dell’Ambito Territoriale Ottimale (ATO) per la gestione del Servizio Idrico Integrato della Regione Basilicata perchè fossero condannate a risarcire un danno erariale dell’importo di Euro 5.266.443 che avrebbero arrecato nel suddetto periodo, per avere Acquedotto Lucano S.p.A. costituito una società – a propria esclusiva partecipazione – denominata Acquedotto Lucano Progettazione S.r.l. affinchè provvedesse alla progettazione e alla direzione di interventi di gestione delle risorse idriche di competenza di Acquedotto Lucano S.p.A..

Il giudice adito, con sentenza del 24 gennaio 2017, reputando difetto di giurisdizione contabile, dichiarava giurisdizione del giudice ordinario in quanto Acquedotto Lucano S.p.A. non sarebbe stata società in house, per mancanza del requisito del c.d. controllo analogo.

Il Procuratore Regionale proponeva appello basato su unico motivo, con il quale sosteneva la sussistenza della giurisdizione contabile; si costituivano resistendo M.E.G.D., An.An., A.D., L.A., G.R., Am.Vi., Mu.Gi., R.G. e S.G.P..

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello, con sentenza del 28 novembre 2019 accoglieva l’impugnazione e per l’effetto rinviava la causa al primo giudice per la decisione sul merito e sulle spese.

Instaurando la causa n. 12386/2020 R.G., M.E.G.D. ha presentato ricorso sulla base di un unico motivo, da cui si è difeso con controricorso il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti.

Hanno presentato ricorso incidentale adesivo al suddetto ricorso e al ricorso di An.An. – che, come ora si vedrà, aveva intanto avviato un’altra causa ricorrendo avverso la medesima sentenza rispettivamente Mu.Gi., S.G.P. nonchè, unitariamente, G.R., A.D., Am.Vi. e L.A.; il Procuratore Generale presso la Corte dei conti si è difeso con controricorso nei confronti di ciascuno dei ricorsi incidentali adesivi.

Instaurando la causa n. 14713/2020 R.G., An.An. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, da cui si è difeso con controricorso il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti.

In questa seconda causa R.G. ha presentato ricorso incidentale definito adesivo al ricorso di M.E.G.D. e al ricorso di An.An.; il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti si è difeso con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. In primis, deve disporsi la riunione della causa recensione – n. 14713/2020 R.G. – alla causa n. 12386/2020 R.G., in quanto entrambe hanno ad oggetto l’impugnazione della medesima sentenza della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello, emessa il 28 novembre 2019.

2. Tanto premesso, si osserva che il ricorso proposto da M.E.G.D., nel suo unico motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, violazione dei principi fondamentali riguardanti il riparto tra giurisdizione contabile e giurisdizione ordinaria, nonchè violazione del D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, art. 1, recante l’approvazione del codice della giustizia contabile.

Osserva il ricorrente che il presupposto della giurisdizione contabile è che la società sia in house e quindi sia un soggetto sostanzialmente, e per vari aspetti anche formalmente, indistinto dalla controllante amministrazione pubblica. E la verifica dei requisiti affinchè la società sia in house deve svolgersi, come insegna la giurisprudenza di questa Suprema Corte (si invocano S.U. 21 giugno 2019 n. 16641 e S.U. 11 settembre 2019 n. 22712) in riferimento alla normativa e allo Statuto vigente all’epoca in cui sarebbe stato commesso il fatto illecito, occorrendo comunque tutti i requisiti perchè sussista una società “in house providing”: requisiti i quali devono “risultare da precise disposizioni statutarie in vigore all’epoca”, essendo “essenziale, anche se l’ente privato societario rimane pur sempre centro di imputazione di rapporti e di posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante…, che siano resi manifesti nei rapporti interni ed esterni il carattere istituzionalmente servente della società in house e la sua fisionomia di mera articolazione della P.A. da cui promana, in contrapposizione a quella di soggetto giuridico esterno e autonomo della P.A.”. Pertanto la società sarebbe in house soltanto qualora sussistano forme di controllo dei soci analogo a quello che compiono gli enti pubblici sui propri uffici.

Il giudice d’appello, invece, quanto ad Acquedotto Lucano S.p.A. avrebbe potuto rilevare unicamente che l’Assemblea sociale ne nomina gli amministratori (come in ogni Assemblea dei soci: art. 2364 c.c.), che ne deve autorizzare le scelte fondamentali – cioè atti programmatori, stipulazione di convenzioni con l’Ente d’ambito ottimale e investimenti superiori a un milione di Euro – e che “lo Statuto rinvia alle leggi per la disciplina residuale”. Tutto questo non costituirebbe un controllo analogo a quello, appunto, che una P.A. ha il potere di effettuare sui propri uffici, cioè il controllo per cui l’ente ha “incombenza” su ogni atto per cui ritiene necessario esercitarlo, “potendone determinare i contenuti, annullarli, preventivamente autorizzarli”. Al contrario, nel caso in esame non agli enti controllanti, bensì all’Assemblea sociale spettano le scelte che la Corte dei Conti definisce fondamentali, ma che sarebbero invece di un “livello generalissimo” (la programmazione delle attività) o riguardanti investimenti superiori ad un importo “molto elevato”, e non anche ad ogni spesa.

Tutto questo non distinguerebbe l’assemblea di Acquedotto Lucano S.p.A. da ogni assemblea di società per azioni, cui lo Statuto riserva ai sensi dell’art. 2364 c.c., “taluni atti aggiuntivi”; quindi non costituirebbe “una generalizzata supervisione sulla vita dell’ente controllato”.

Nello Statuto di Acquedotto Lucano S.p.A. non sarebbe previsto un distinto potere di controllo e nessuna delle speciali prerogative già all’epoca previste dagli artt. 2449 c.c. e segg., per le società partecipate dallo Stato o da enti pubblici in ordine alla designazione dei consiglieri di amministrazione e dei sindaci; e null’altro sarebbe stabilito per gli enti controllanti. Nello Statuto non sarebbero previste la nomina di organi di gestione della società nè la preventiva autorizzazione degli enti controllanti sull’attività della società o forme particolari di ispezioni e di comunicazione informativa. La Corte dei conti pertanto fonderebbe “la pretesa esistenza del controllo analogo su dati statutari che descrivono l'”ordinaria organizzazione di una società”; e gli “sporadici interventi” sulla programmazione dei maggiori investimenti sarebbero conferiti all’Assemblea dei soci, non agli enti controllanti.

Lo Statuto d’altronde non prevederebbe “adeguati flussi informativi” a favore degli enti controllanti, nè la facoltà di questi di accedere ai dati della società “in forme prestabilite e penetranti”. Sarebbe impossibile il controllo analogo senza la “correlata possibilità d’imporre la comunicazione di dati continua e completa” e tantomeno senza la possibilità di imporre la trasmissione di tali dati “in caso di omissioni riscontrate o sospettate”.

Si trascrivono poi due articoli dello Statuto per evidenziare come il Consiglio di Amministrazione avrebbe i “più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria” (art. 20) nonchè le autorizzazioni riservate all’Assemblea ordinaria (art. 15), così da desumerne che l’attività del Consiglio di Amministrazione non subirebbe “alcun limite nei controlli degli enti soci” – neppure su quanto programmato dall’Assemblea – e sarebbe un “organo gestionale nel più pieno dei suoi poteri operativi”.

Pertanto gli enti soci non governerebbero Acquedotto Lucano S.p.A., al cui organo di amministrazione sarebbe “consentita anche la fusione con altre e le ulteriori modalità di trasformazione codicistica”: si tratterebbe, in conclusione, di una società per azioni come delineata dalla normativa del codice civile, “e quindi sostanzialmente sovrana delle proprie decisioni, senza… alcuna qualificante interferenza, in termini di controllo o di formazione della volontà” consentita agli enti pubblici soci.

3. Il ricorso adesivo di Mu.Gi. – che si presenta come adesivo non solo a quello M., ma anche a quello An., che si vedrà infra – non è formalmente rubricato. In riferimento comunque alla determinazione della giurisdizione – evidentemente aderendo all’unico motivo che denuncia l’erronea identificazione della giurisdizione come contabile in entrambi i ricorsi cui aderisce – prende le mosse dal rilevare che nel caso in esame sussistono “due fondamentali principi che regolano il tema”.

In primo luogo (cfr. S.U. 19 dicembre 2009 n. 26806) devono distinguersi i danni che subisce direttamente la società di capitali dai danni che subisce il socio pubblico per il valore della partecipazione, e ciò “è particolarmente rilevante per le società che agiscono sul mercato”: solo per i danni subiti dal socio pubblico “la giurisdizione sarebbe riservata al giudice contabile”.

In secondo luogo, come principio “in evoluzione del primo” (e qui si cita S.U. 25 novembre 2013 n. 26283), deve affermarsi che tale distinzione non incide se la società è in house, per la immedesimazione tra questa e la pubblica amministrazione in modo che il danno “si rifletta direttamente nei confronti del soggetto (pubblico) controllante”.

Afferma il ricorrente che i due principi sono stati poi codificati dal D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 12, senza modifica della precedente consolidata giurisprudenza. E “in questo quadro” si dovrebbe ricostruire se sussiste una società in house.

D’altronde la questione della giurisdizione “non si risolve nell’alternativa se esista un sistema di controlli o se non esista, ma esclusivamente di chi sia la competenza”. Invece nella sentenza impugnata emerge la convinzione che, “al di fuori della Corte dei Conti, non esista alcun vero e reale controllo”: assunto, questo, “inaccettabile”, in quanto manifestante “sfiducia nell’amministrazione, e nello stesso giudice ordinario”.

Entrando nel tema dei requisiti della società in house, si osserva poi che, come risulterebbe dallo stesso atto d’appello della Procura Generale, Acquedotto Lucano S.p.A. è una società “pluripartecipata”, necessitante “controllo analogo congiunto”, cioè distinto dal “semplice” controllo analogo. La Corte di Lussemburgo ha affermato (sentenza 29 novembre 2012, C-182/2011 e C-183/2011, Econord) che “in caso di società partecipata da più autorità amministrative non è indispensabile che ciascuna di queste “detenga da sola un potere di controllo individuale” sulla società, ma occorre che i soci pubblici esercitino un controllo congiunto, attraverso la partecipazione di ciascuno di essi “sia al capitale, sia agli organi direttivi dell’entità suddetta”. Con la sentenza n. 3554/2017, poi, il Consiglio di Stato “ha ulteriormente chiarito” che il controllo congiunto si attua soltanto qualora gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, qualora i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato secondo le regole generali elaborate in riferimento al tradizionale in house providing, e qualora l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti. Per questo si è ritenuto sussistente il controllo analogo congiunto solo nel caso in cui sia previsto un apposito comitato assembleare al fine di valutare tutte le proposte del Consiglio di Amministrazione e verificare lo stadio di attuazione degli obiettivi indicati nei documenti programmatici e dei contratti di servizio, “comitato titolare del potere di richiedere informazioni e documenti, oltre che destinatario di referti sulla gestione da parte del medesimo consiglio di amministrazione”.

Parimenti fondamentale sarebbe l’esistenza di un “regolamento comune per disciplinare i rapporti tra gli stessi Enti locali e la Società”, modificabile solo all’unanimità e conferente a ogni ente locale partecipante un diritto di veto sulle delibere del consiglio di amministrazione dotate di “esclusiva attinenza” al suo territorio, con la facoltà di deferire la questione al comitato assembleare qualora l’organo amministrativo non si uniformi ai rilievi dell’ente locale.

Quindi il controllo congiunto sussisterebbe solo se le regole societarie, in deroga agli strumenti ordinari che regolano la società, “costruiscano modalità di governance in cui tutti i soggetti che partecipano della società possano disporre di poteri e determinino, in concreto, l’operato societario anche con la possibilità di opporre il veto”. Di ciò non vi sarebbe traccia quanto alla società pluripartecipata in questione, nè nell’atto d’appello nè nella sentenza impugnata, e ciò deriverebbe dal fatto che lo statuto non prevederebbe tali cautele, bensì sarebbe “un ordinario statuto retto dalle regole tipiche delle società di capitale con la formazione di maggioranze, e, soprattutto, di minoranze, che sono tenute al rispetto… di quanto deciso dalla maggioranza”.

Anche la previsione dell’autorizzazione assembleare per gli investimenti superiori a un milione di Euro ad avviso del ricorrente “non si discosta dallo schema maggioranza/opposizione”; e dunque non sussisterebbe il “controllo analogo congiunto”.

La sentenza inoltre non consentirebbe neppure di comprendere di quale tra gli enti pubblici partecipanti la società “possa considerarsi in house”.

Rilevato, poi, che la giurisprudenza consolidata riconosce che “l’influenza sulla società da parte dell’ente pubblico proprietario non si possa ridurre alle facoltà spettanti al socio, ma deve, al contrario, tradursi in veri e propri poteri di comando che limitino in maniera evidente l’autonomia societaria”, si rimarca che solo “con la Legge Regionale del 2016”, successiva ai fatti contestati, “si è posto il problema del controllo analogo” (legge non ancora attuata).

Non sussisterebbe quindi “l’essenza stessa della qualificazione in house della società come struttura corrispondente ad un’articolazione interna alla pubblica amministrazione (rectius alle singole amministrazioni)”, mancando “qualsiasi collegamento con le amministrazioni che compongono la società”.

Tutto questo sarebbe stato trascurato dalla sentenza impugnata, limitatasi a sottolineare il divieto di trasferimento di quote a soggetti non pubblici – qui ininfluente -, a evidenziare la competenza dell’assemblea per la nomina degli amministratori – “non si comprende chi altrimenti dovrebbe farla” – e l’autorizzazione assembleare per investimenti superiori a un milione di Euro omettendo “di considerare che le relative delibere sono adottate con le regole ordinarie del diritto societario e, dunque, a maggioranza, così che chi non ne fa parte semplicemente le subisce”, per cui si realizza il paradosso che “il (presunto) controllore dovrebbe subire le decisioni ritenute a lui sfavorevoli qualora queste vengano adottate da parte del (presunto) controllato”.

Lo statuto non prevederebbe, secondo il ricorrente, clausole che consentano ai partecipanti un controllo analogo come se la società fosse una propria struttura interna, ma al contrario della società “rimarca la autonomia”, delineando “un modello societario in cui l’organo amministrativo risponde esclusivamente alla Assemblea”, come usualmente avviene nelle società di capitali; in questo senso lo statuto è l’unica fonte di eventuali responsabilità. E sarebbe evidentemente diverso “il profilo delle funzioni esercitate che, esse sì, devono essere definite dalla norma di rango superiore”, la quale non incide però sulla giurisdizione “che riguarda il modo con cui concretamente è affidato il servizio e non l’astratta definizione di esso”.

4. Il ricorso incidentale adesivo di S.G.P. – illustrato, poi, anche con memoria – presenta un unico motivo rubricato come denunciante, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, violazione dei principi fondamentali del riparto tra la giurisdizione contabile e la giurisdizione ordinaria, nonchè violazione del D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, art. 1, di approvazione del codice di giustizia contabile.

Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata ha ritenuto di individuare nello Statuto di Acquedotto Lucano S.p.A. gli artt. 15 e 16, come norme che apporterebbero il requisito del controllo analogo, ovvero la riserva all’assemblea dei soci della nomina degli amministratori e della preventiva autorizzazione delle scelte fondamentali (programmazione, sottoscrizione della convenzione con AATO Basilicata e investimenti eccedenti un milione di Euro).

Il ricorrente, peraltro, osserva che questi richiami “non sono sufficienti a far ritenere l’esistenza di un controllo analogo” perchè “il richiamo è ai poteri dell’assemblea dei soci e non certo a quello degli Enti (quali tra Regione e Comuni?)” e perchè tali poteri “sono riconducibili a quelli attribuiti a qualsiasi assemblea di società” secondo la disciplina codicistica. Nè la Regione nè i Comuni partecipanti “avevano il potere di nomina e revoca degli amministratori, dei sindaci e del direttore amministrativo”, e il Consiglio di Amministrazione godeva dei più ampi poteri di gestione ordinaria e straordinaria, salvi appunto i casi indicati nell’art. 15 dello Statuto. Mancando allora il potere di nomina e revoca degli amministratori, dei sindaci e del direttore amministrativo “non era ipotizzabile alcuna forma di controllo degli organi amministrativi della società”.

La mancanza sarebbe stata confermata dall’avere la Regione previsto solo con la L.R. n. 1 del 2016, che l’EGRIB effettuasse il controllo analogo sul gestore di affidamento in house; e solo con il D.Lgs. n. 175 del 2016, è stato stabilito che l’affidamento diretto del servizio pubblico può essere svolto soltanto da società in house e quindi sottoposte a controllo analogo.

Non a caso la Sezione Regionale di Controllo della Corte dei Conti della Basilicata, nell’udienza del 27 luglio 2018, nell’ambito del giudizio di parificazione del Rendiconto Generale della Regione Basilicata per l’anno 2016, a proposito di Acquedotto Lucano S.p.A. manifestava “perplessità in ordine all’esclusione da “qualsiasi controllo” sulla gestione delle risorse “pubbliche” di un organismo partecipato al 100% da Enti pubblici”, perplessità resa più “intensa” essendo deputato al controllo “un ente strumentale della Regione (EGRIB)”. Vi sarebbe dunque “un’anomalia di base”, non essendo “esercitata in via congiunta dagli enti soci” nessuna forma di controllo, demandato ad un ente terzo, l’EGRIB”, ovvero “un ente strumentale della Regione, e cioè un ente costituito per svolgere le funzioni delegate dalla Regione”.

Quanto rilevato quindi dalla Sezione Regionale di Controllo in tale sede confermerebbe comunque la “inesistenza di qualsiasi controllo esercitato in via congiunta dagli enti soci su Acquedotto Lucano S.p.A., che inoltre era stato escluso dai destinatari delle direttive sul controllo analogo standardizzato dell’Ente sulle società in house con deliberazione del 29 maggio 2015 n. 703 della Giunta Regionale.

Richiamata la giurisprudenza in ordine ai tre requisiti di cui deve essere dotata la società in house e che costituiscono il presupposto della giurisdizione contabile per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali in relazione ai danni cagionati al patrimonio della società – requisiti che devono emergere dallo statuto vigente all’epoca -, si sostiene che da quanto sopra illustrato “deriva che dallo Statuto di Acquedotto Lucano S.p.A. non era possibile evincere la sussistenza di un potere di controllo analogo da parte degli enti pubblici che ne facevano parte”.

5. Il ricorso incidentale adesivo di G.R., A.D., Am.Vi. e L.A. denuncia, con un unico motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, violazione dei principi del riparto tra la giurisdizione contabile e la giurisdizione ordinaria nonchè violazione del D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 1, di approvazione del Codice della Giustizia Contabile.

Ribadita la necessità dei tre requisiti per configurare una società in house come indicato da numerosi arresti di queste Sezioni Unite, si nega la sussistenza nel caso in esame del requisito del controllo analogo, in quanto lo Statuto non attribuirebbe agli enti pubblici partecipanti in Acquedotto Lucano S.p.A. “alcun potere di dettare le linee e scelte operative e/o di esprimere un potere di comando direttamente sulla gestione della società”, avendo viceversa modalità di partecipazione “riconducibili ai consueti diritti e facoltà spettanti al socio secondo le regole comuni civilistiche, senza preventiva ingerenza e successivo controllo”.

A differenza poi di quanto affermato nella impugnata sentenza, il divieto di trasferimento di quote a soggetti privati stabilito nello Statuto sarebbe un “elemento neutro per sussumere l’esistenza del terzo necessario requisito”. E proprio l’esame delle singole disposizioni statutarie condurrebbe a escludere “forme di ingerenza, poteri di coordinamento o linee di comando degli enti partecipanti sulla gestione sociale”, come la giurisprudenza indica per il requisito del controllo analogo.

Vengono richiamati dello Statuto l’art. 20 – Poteri dell’organo amministrativo: “L’organo amministrativo è investito dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della Società, e in particolare gli sono riconosciute tutte le facoltà per il raggiungimento degli scopi sociali…” – e art. 24 – Controllo contabile: “Il controllo contabile è esercitato da un revisore o da una Società di revisione iscritti nell’apposito registro” – per segnalare poi anche “l’assenza di flussi informativi tra organo gestorio ed enti partecipanti”.

Si adduce inoltre che le disposizioni statutarie relative a nomina, formazione e funzionamento degli organi di gestione (artt. 16-20) ovvero all’attività di controllo (artt. 24-25) confermano la tesi prospettata, “non esistendo alcuna forma di diversa e più pregnante cautela rispetto ad un tipico statuto societario regolato dalle norme di diritto comune nè diverse competenze affidate all’Assemblea dei soci”, e comunque mancando “forme di ingerenza o poteri di comando diversi e più incisivi rispetto alle facoltà che spettano al socio di una società regolata dal codice civile”.

Che poi all’Assemblea dei soci spetti la nomina degli amministratori (“tipico potere di ogni assemblea”) e la preventiva autorizzazione su atti di programmazione e su investimenti oltre un milione di Euro “non sposta il problema di fondo”, dato che “tali scelte statutarie riconoscono pur sempre all’Assemblea, dunque ai soci, facoltà rientranti nella fisiologia dinamica di una società comune, perchè non autorizzano una ingerenza preventiva sulle scelte da parte degli enti controllanti – nè un controllo successivo analogamente a quello esercitato su atti e attività dei propri uffici”, onde “nei rapporti interni ed esterni” la società non presenta il necessario “carattere istituzionalmente servente”, nè una fisionomia di mera articolazione della pubblica amministrazione.

6. L’unico motivo del ricorso di An.An. – illustrato pure con ampia memoria – denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, violazione dei principi fondamentali di riparto tra giurisdizione contabile e ordinaria, nonchè violazione del D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, art. 1, recante l’approvazione del codice della giustizia contabile. Il motivo viene comunque illustrato in tre distinte parti.

In primo luogo, “con riferimento alla parte motiva” della sentenza, si osserva che in essa la Corte dei Conti ha affermato che l’art. 7, u.c., dello Statuto (per cui “il trasferimento delle azioni, tanto a titolo oneroso quanto a titolo gratuito, è consentito unicamente a favore di enti pubblici territoriali costituenti l’Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale di Basilicata”) “deve ritenersi bastevole per poter affermare, in fattispecie, la sussistenza della giurisdizione” contabile.

In tal modo la Corte dei Conti sarebbe giunta a ritenere che non occorresse verificare la presenza di tutti e tre i requisiti necessari affinchè una società sia in house (la natura pubblica dei soci, l’attività totalmente o comunque prevalentemente espletata a favore dei soci, il controllo analogo dell’ente pubblico), così contrastando con la giurisprudenza di queste Sezioni Unite, per cui devono invece sussistere contemporaneamente tutti i requisiti e tutti devono trovare fondamento in precise e inderogabili disposizioni dello Statuto sociale, come insegna in particolare S.U. 26283/2013. Secondo il ricorrente, poi, il divieto di cedere le partecipazioni a privati varrebbe soltanto come “elemento confermativo”, ma non sostitutivo dei tre requisiti necessari.

Lo Statuto di Acquedotto Lucano S.p.A. nulla prevederebbe a proposito del controllo analogo così come era vigente quando avvennero i fatti da cui sarebbe derivato il presunto danno erariale. Si invoca, da ultimo, S.U. 7824/2020, per cui tutti i requisiti devono risultare da specifiche disposizioni statutarie dell’epoca, non rilevando “la loro ricorrenza in fatto”, essendo necessario esternare nei rapporti interni ed esterni “il carattere istituzionalmente servente della società in house” quale “mera articolazione della P.A. da cui promana”, in contrapposizione alla natura di “soggetto giuridico esterno e autonomo dalla P.A.”. Ne consegue la necessaria contemporaneità dei tre requisiti.

In secondo luogo il ricorrente lamenta carenza del requisito del controllo analogo, da intendere come esercizio da parte della pubblica amministrazione di un potere gestionale e decisionale sulla società in house come se fosse una propria articolazione organizzativa, così che – come insegna la giurisprudenza (ancora S.U. 26283/2013) – la società in house ha della società soltanto la forma esteriore. Quindi per operare un siffatto controllo non basterebbe la sola partecipazione pubblica della società in house, il controllo d’altronde dovendo essere esercitato con mezzi diversi da quelli previsti dal codice civile, tali da privare di ogni autonomia gestionale gli organi sociali. Il che andrebbe previsto in modo preciso e inderogabile dallo Statuto sociale, indicando puntualmente come si esercita sulla società “una vera e propria forma di comando” idonea a farne una longa manus della pubblica amministrazione.

Tutto questo difetterebbe nello Statuto di Acquedotto Lucano S.p.A., come rilevato dal primo giudice: lo Statuto “rimanda esclusivamente alle norme del codice civile” per le società di capitali (artt. 2380 c.c. e segg.), senza nulla aggiungere. Ciò sarebbe stato confermato, poi, dal giudizio di verifica del rendiconto del 2016 effettuato dalla Sezione Regionale del giudice contabile, e confermato altresì dalla introduzione della “conseguente” L.R. 8 gennaio 2016, n. 1, prevedente il controllo, e dalla quale avrebbe dovuto derivare la modifica dello Statuto, peraltro non attuata.

In terzo luogo, riguardo alle “argomentazioni di parte appellante” (sic) osserva il ricorrente che quest’ultima aveva prospettato un’infondata tesi: ricostruita la normativa nazionale e regionale, avrebbe affermato che il controllo analogo sarebbe stato desumibile “da fonti di rango superiore allo Statuto come leggi o regolamenti”. Questo però non emergerebbe dalla normativa, nella quale nulla sarebbe stato previsto in ordine al controllo analogo fino alla promulgazione della L.R. n. 1 del 2016. Gli stessi fatti contestati dimostrerebbero, d’altronde, l’assenza del controllo analogo: il Consiglio di Amministrazione di Acquedotto Lucano S.p.A. avrebbe scelto in modo autonomo come gestire la società.

7. Il ricorso incidentale adesivo di R.G. propone a sua volta un unico motivo, denunciante, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, violazione dei principi fondamentali di riparto tra giurisdizione contabile e ordinaria, nonchè violazione del D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, art. 1, recante l’approvazione del codice della giustizia contabile.

Si richiama la giurisprudenza di queste Sezioni Unite in ordine ai tre requisiti che rendono una società in house, e si invoca pure la giurisprudenza della Corte di Giustizia CE (sentenza 13 ottobre 2005, C-458/2003, Parking Brixen) per sostenere che il controllo analogo si caratterizza per la sua particolare incisività, effettività e concretezza d’esercizio, così da risultare incompatibile con ampi poteri di gestione dell’organo amministrativo, instaurando al contrario un rapporto di subordinazione gerarchica tra esso e l’ente pubblico socio, dovendo l’ente pubblico avere “statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della società in house”.

Il controllo d’altronde non coinciderebbe con l’influenza dominante che i soci in posizione maggioritaria o il socio unico possano esercitare sull’assemblea della società, integrando invece un potere di controllo previsto nello Statuto e direttamente esercitato sulla gestione dell’ente con modalità e intensità diverse rispetto ai diritti e alle facoltà dei soci dettati dal codice civile, così da escludere ogni rilevante autonomia gestionale degli organi societari (e qui, oltre a S.U. 30 agosto 2019 n. 21871, si cita Cons. Stato, Ad. plen. 3 marzo 2008 n. 1).

Richiamata quindi la più recente giurisprudenza di queste Sezioni Unite per ribadire i principi sopra esposti, si afferma che in sostanza deve essere lo Statuto a prevedere “più stringenti forme di controllo rispetto a quelle previste dal codice civile”, per giungere a escludere che ciò si ravvisi nello Statuto di Acquedotto Lucano S.p.A., sia quanto alle norme relative alle modalità di formazione e di funzionamento del Consiglio di Amministrazione (artt. 16-20), sia quanto alle norme regolanti il controllo (artt. 24 e 25).

Segnala in particolare il dettato dell’art. 15 (“Sono soggetti alla preventiva autorizzazione dell’assemblea ordinaria: il programma annuale e triennale dell’attività di gestione e degli investimenti; la sottoscrizione della convenzione (e delle sue modificazioni) con l’ente d’ambito; la realizzazione di singoli investimenti con impegno che ecceda Euro 1.000.000,00 e non ricompresi nei piani già approvati.”) e quello dell’art. 24 (“Il controllo contabile è esercitato da un revisore o da una Società di revisione iscritti nell’apposito registro”) per desumerne che non stabiliscono alcun potere di comando direttamente esercitato sulla gestione della società “con modalità e intensità non riconducibili ai normali diritti e facoltà che spettano al socio in base alle regole dettate dal codice civile”. E in effetti, sia per le norme relative al Consiglio di Amministrazione, sia per le norme relative al controllo “lo Statuto rimanda esclusivamente agli articoli del codice civile” relativi alle società di capitali, senza riconoscere agli enti pubblici in essi partecipanti “alcun ulteriore potere di comando”. Le norme statutarie invocate nella sentenza impugnata in realtà si limiterebbero “a descrivere l’ordinaria attività organizzativa di Acquedotto Lucano S.p.A., in cui all’Assemblea dei soci sono affidate le decisioni ordinarie di carattere generale, relative alla programmazione dell’azione della società o ad interventi superiori ad un determinato importo”. Non può quindi ritenersi sussistente la giurisdizione contabile, mancando il requisito del controllo analogo alla società in questione.

8. Il Procuratore Generale di questa Suprema Corte ha presentato conclusioni scritte in riferimento al ricorso M., al ricorso An., al ricorso incidentale adesivo Mu., al ricorso incidentale adesivo G. – A. – Am. – L. (così non considerando i ricorsi adesivi S. di questa causa e R. della causa n. 14713/2020), reputandoli infondati.

Tutte le censure “possono essere unitariamente considerate,”, in quanto relative all’asserita assenza del requisito del controllo analogo, non essendo stati messi in discussione gli altri due requisiti propri della società in house.

I ricorrenti fondano tale requisito “su una sostanziale assimilazione con il controllo che gli enti pubblici esercitano sulle proprie articolazioni organizzative e sui propri uffici, fino ritenere che le due forme siano tra loro sovrapponibili”; pertanto “sottolineano l’assenza di vincoli gerarchici tra gli enti pubblici titolari delle partecipazioni della società e gli organi sociali, nonchè la mancanza di forme generalizzate di approvazione di “ogni atto per il quale lo ritenga necessario potendone determinare i contenuti, annullarli, preventivamente autorizzarli””, indicando inoltre l’assenza di “un potere di comando direttamente sulla gestione” come “prova della carenza del requisito”.

Tale impostazione, però, non coinciderebbe con quella dei più recenti arresti di queste Sezioni Unite. Si è infatti da ultimo affermato che il controllo analogo “deve essere individuato nella circostanza che la gestione della società in house sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, ossia quando vi siano previsioni statutarie che attribuiscono all’ente pubblico facoltà di controllo ulteriori che si pongono al di fuori dei normali diritti e poteri spettanti ai soci in base alle regole del codice civile” (si citano S.U. 10 marzo 2014 n. 5491 e S.U. ord. 22 dicembre 2016 n. 26643). Ad avviso del Procuratore Generale non è invece condivisibile “una nozione di “controllo analogo” esercitata dall’ente pubblico sulla società in house tale da declassare la società di capitali a mera articolazione interna dell’ente pubblico, del tutto priva di autonomia e sottoposta all’identico potere gerarchico esercitato dall’Amministrazione sugli uffici dipendenti”. Ciò contrasterebbe con “il dato letterale della norma” che, definendo “analogo” il controllo, “intende propriamente affermare che esso non è uguale ma semplicemente simile a quello esercitato dall’ente pubblico sui propri servizi gestiti direttamente”. Inoltre l’interpretazione del controllo analogo nel senso che la società in house “risulti assoggettata ad un potere di direzione gerarchica indistinguibile da quello esercitato dall’ente pubblico sulle proprie articolazioni interne” risulta “incompatibile con i principi di autonomia patrimoniale e attribuzione della personalità giuridica” alla società di capitali, principi dettati dal codice civile: e da ultimo ciò ha affermato S.U. 14236/2020, pronuncia nella quale si era rinvenuta nello statuto della società in house ivi esaminata “una preventiva autorizzazione dell’assemblea dei soci (cioè dell’ente pubblico socio totalitario)” perchè l’organo amministrativo potesse “deliberare validamente in determinate materie”, deducendo da ciò le “facoltà ulteriori” dell’ente pubblico proprietario integranti il requisito del controllo analogo.

E nel caso qui in esame l’impugnata sentenza ha rilevato che lo statuto di Acquedotto Lucano S.p.A., oltre alla riserva della nomina degli amministratori all’assemblea dei soci, prevede “soprattutto” la preventiva autorizzazione delle scelte in determinate materie, ritenute fondamentali per il suo indirizzo: “il programma annuale e triennale della gestione e degli investimenti, la sottoscrizione della convenzione con la… AATO… della Basilicata e la realizzazione di investimenti di valore superiore a 1.000.000 di Euro”.

Nella sentenza viene altresì rilevato che l’art. 7 dello statuto vieta la cessione di azioni a privati, potendo essere trasferite esclusivamente ad enti pubblici territoriali costituenti appunto l’Autorità di Ambito Territoriale. “Alcuni ricorrenti” censurano questo aspetto rilevando che non incide sul requisito in questione della sussistenza del controllo analogo. Se è vero che una società è configurabile in house providing solo in presenza di tutti e tre i requisiti necessari (capitale sociale pubblico, attività prevalente a favore dei soci, controllo analogo), dei quali i primi due è pacifico che siano qui sussistenti, deve comunque rilevarsi secondo il Procuratore Generale che l’art. 7 dello statuto “attiene principalmente alla garanzia della integrale partecipazione degli enti pubblici nel capitale della società in house, e quindi al primo dei requisiti”, ma ciò non significa “che esso non abbia alcuna influenza in relazione al controllo analogo”. Infatti (S.U. 16741/2019) non ha un carattere soltanto formale il requisito della “clausola di appartenenza esclusiva del capitale sociale all’ente che esercita il controllo in termini analoghi a quelli propri del controllo gerarchico”. Tale “logico collegamento operato dalla giurisprudenza” è diretto proprio “ad assimilare la figura dell’ente pubblico a quella della società in house, sottolineandosi che solo in caso di totale e permanente partecipazione totalitaria pubblica nell’azionariato è ipotizzabile un controllo analogo”. E dunque non è “ultronea” la considerazione dell’art. 7 dello statuto effettuata dalla sentenza impugnata.

Il Procuratore Generale ritiene altresì significativo il riferimento del giudice all’art. 29 dello statuto, indicante “un criterio normativo residuale quale il rinvio alle leggi previste in materia”, in quanto ciò “consente di operare l’ulteriore collegamento con la legislazione di settore, per la cui ricostruzione si concorda con quanto affermato dalla stessa Procura Generale, e recepito nella sentenza impugnata”.

Essendo state trattate le due presenti cause riunite in pubblica udienza, il Procuratore Generale ha concluso estendendo anche ai ricorsi non considerati nella requisitoria scritta quanto in questa era stato affermato, chiedendo quindi che siano disattesi tutti i ricorsi, confermando così la giurisdizione contabile.

9. Ritengono queste Sezioni Unite che la fattispecie in esame susciti, in considerazione delle plurime e varie censure dedotte dai ricorrenti avverso la sentenza impugnata e parimenti alla luce delle osservazioni ad esse contrapposte dal Procuratore Generale come sopra riassunte, l’esigenza di un particolare approfondimento in ordine alla sostanza del c.d. controllo analogo – anche sotto forma di controllo congiunto – sulla gestione della società in house per individuare con precisione, tenendo conto della progressiva evoluzione normativa e giurisprudenziale intervenuta negli ultimi anni, in che cosa effettivamente possa concretizzarsi tale requisito imprescindibile ai fini della qualificazione di una società di capitali come società in house e altresì se la sua conformazione debba nettamente differenziarlo rispetto al paradigma del controllo sugli amministratori delle società di capitali rinvenibile nel codice civile ovvero se possa anche eventualmente riflettersi in una fattispecie di fungibilità rispetto a tale paradigma, distanziandosene soltanto in relazione alla peculiarità del sotteso interesse di tutela rispetto a praticabili condotte idonee a generare danno erariale.

Allo scopo si ritiene opportuno chiedere all’Ufficio del Massimario di fornire una specifica relazione in materia, in attesa del pervenimento della quale si rimettono le riunite cause a nuovo ruolo.

PQM

Riunita alla presente la causa n. 14713/2020 R.G., rimette a nuovo ruolo.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

 

 

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