Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17327 del 13/07/2017

Cassazione civile, sez. un., 13/07/2017, (ud. 07/03/2017, dep.13/07/2017),  n. 17327

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Pres.te f. f. –

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20731-2016 proposto da:

S.B., rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO GULLINO,

con domicilio eletto in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTRO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

depositata in data 05/07/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2017 dal Consigliere Dott. DE CHIARA CARLO;

udito il Pubblico Ministero in persona dell’Avvocato Generale

I.F.M., che ha concluso per il rigetto del ricorso,

udito l’Avv. Alberto Gullino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha condannato il Dott. S.B. alla sanzione della censura in relazione agli illeciti disciplinari di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a) e g), per avere, per negligenza e/o ignoranza inescusabile, in grave violazione di legge, quale giudice monocratico del Tribunale di Messina nel giudizio di primo grado a carico del sig. N.F., omesso di controllare che la durata massima di fase della custodia cautelare dell’imputato scadeva il 21 maggio 2010 e omesso di provvedere alla tempestiva scarcerazione del predetto, con ciò arrecandogli un ingiusto danno essendo il medesimo rimasto ingiustificatamente ristretto (in regime di arresti domiciliari fino al 6 ottobre 2010 e in custodia cautelare in carcere dal 6 ottobre al 22 novembre 2010, allorchè fu scarcerato durante il giudizio di appello) per complessivi 185 giorni, dei quali 131 direttamente imputabili all’incolpato e i residui 54 alla Corte d’appello.

La Sezione ha ritenuto in particolare che:

– la circostanza che all’udienza del 12 aprile 2010 fosse stata disposta una perizia psichiatrica, poi depositata il giorno stesso dell’emissione della sentenza di primo grado (14 giugno 2010), non aveva determinato la proroga automatica dei termini di custodia cautelare, per la quale è invece necessario un provvedimento espresso del giudice;

premesso il verificarsi delle condizioni di legge per la scarcerazione dell’imputato il 21 maggio 2010 nel corso del dibattimento esauritosi con la sentenza del 14 giugno 2010, non era scusabile l’errore dell’incolpato, “il quale – già nel corso del dibattimento e sicuramente all’atto della redazione del dispositivo avrebbe dovuto vagliare con il massimo scrupolo la situazione dell’imputato prendendosi, a tal fine, tutto il tempo necessario per approfondire la posizione del soggetto in quel momento privato della libertà personale”; ancor più grave era, poi, “l’omissione riferita al periodo successivo alla pronuncia del dispositivo (…) considerando che, durante il periodo occorrente per la redazione della motivazione (depositata in data 27 luglio 2010), il magistrato relatore, oltre ad avere avuto a disposizione tutti gli atti del procedimento, era impegnato nella redazione di una sentenza che avrebbe dovuto affrontare la posizione dell’imputato che, come finanche riportato in epigrafe di sentenza, risultava “detenuto agli arresti domiciliari per questa causa””; e tale omissione si era protratta anche per il residuo periodo in cui il fascicolo, in pendenza della proposizione dell’appello, era rimasto a sua disposizione;

non ricorre l’esimente della scarsa rilevanza del fatto, in quanto, per effetto della omessa scarcerazione, la detenzione dell’imputato si era protratta per un rilevante periodo (dal 21 maggio al 29 settembre 2010), mentre solo dal 6 giugno al 17 settembre il medesimo era stato detenuto anche per altra causa;

l’omessa scarcerazione dell’imputato resta negligenza lesiva del suo diritto ad essere scarcerato, maturato al momento in cui se ne verificano i presupposti, ancorchè il tempo trascorso in detenzione sia poi scomputato dalla pena da scontare, come avvenuto nella specie essendo stato l’imputato poi condannato in via definitiva a tre anni e due mesi di reclusione.

Il Dott. S. ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi.

Le parti intimate non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 305 c.p.p., comma 1, art. 182 c.p.p., comma 2, e art. 183 c.p.p., comma 1, lett. a), e del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a) e g), si ripropone la tesi dell’automatica proroga della custodia cautelare per essere stata disposta perizia psichiatrica, lamentando che la Sezione disciplinare abbia omesso di motivare in ordine alla dedotta natura dichiarativa dell’ordinanza di proroga ed abbia ritenuto che l’operatività della proroga sia subordinata ad una formale ordinanza del giudice che la disponga.

1.1. Il motivo è infondato.

Premesso che, trattandosi di questione di diritto, non ha autonomo rilievo la censura di vizio di motivazione (cfr., tra le molte, Cass. pen. 20/05/2010, n. 19696; 23/10/2014, n. 6174; 20/03/2015, n. 16372), si tratta appunto di verificare se la proroga dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell’art. 305 c.p.p., comma 1, in caso di perizia sullo stato di mente dell’imputato, sia automatica oppure presupponga l’adozione di un apposito provvedimento da parte del giudice.

Deve ritenersi che sia necessario un apposito provvedimento. Lo stesso art. 305, primo comma, nel prevedere la necessaria richiesta del pubblico ministero e l’assoggettabilità dell’ordinanza che la accoglie a ricorso per cassazione, mostra chiaramente di presupporre l’emissione, appunto, di un apposito provvedimento di proroga. Del resto le Sezioni Unite penali di questa Corte, nella sentenza 21/04/1995, n. 12, hanno avuto occasione di sottolineare, sia pure con riferimento alla proroga disposta ai sensi dell’art. 305, cit., comma 2, l’esigenza che sulla richiesta del pubblico ministero possa aprirsi un contradditorio con la difesa, e proprio sulla scorta di tale giurisprudenza la Corte costituzionale, con la sentenza n. 434 del 1995, ha escluso l’illegittimità della mancato richiamo, nel medesimo dell’art. 305 c.p.p., comma 2, delle forme del procedimento camerale di cui all’art. 127 c.p.p.. La circostanza che in caso di perizia sullo stato di mente dell’imputato la proroga, ove richiesta dal pubblico ministero, sia obbligatoria, nulla toglie all’esigenza del rispetto del fondamentale principio del contraddittorio, e dunque di un procedimento nel quale esso si esplichi e che si concluda con un provvedimento del giudice, dato che spetta comunque a quest’ultimo la verifica dei presupposti della sussistenza dell’obbligo di disporre la proroga.

Nè tali conclusioni possono dirsi smentite dalla giurisprudenza penale di legittimità. In particolare, non da Cass. pen. 12/07/2000, n. 5022 e 05/07/2005, n. 33364, richiamate dal ricorrente, nelle quali l’affermazione del carattere dichiarativo dell’ordinanza e del carattere “automatico” della proroga è chiaramente da intendersi nel semplice senso della non discrezionalità della proroga stessa, che va obbligatoriamente disposta tutte le volte che il giudice ne accerti i presupposti.

2. Con il secondo motivo, denunciando violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a), e dell’art. 305 c.p.p., comma 1, nonchè vizio di motivazione:

a) si lamenta che la Sezione disciplinare abbia solo parzialmente e illogicamente motivato in ordine alla dedotta insussistenza del danno per l’imputato quale conseguenza dello scomputo del “presofferto” dalla pena poi inflittagli e da scontare;

b) si sostiene che, essendovi stata proroga automatica della custodia cautelare sino al 14 giugno 2010, data del deposito della perizia e della sentenza di condanna dell’imputato in primo grado, non si è verificato alcun ingiusto danno per quest’ultimo, anche perchè lo stesso, durante il periodo di proroga, era stato nuovamente tratto in arresto il 6 giugno 2010, in esecuzione di un ulteriore titolo di custodia cautelare.

2.1. Entrambi i profili di censura sono infondati.

Il primo perchè, come queste Sezioni unite hanno già avuto occasione di chiarire con la sentenza 12/03/2015, n. 4954, il “danno ingiusto” arrecato ad una delle parti dal magistrato incolpato in violazione del dovere di diligenza di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 idoneo ad integrare la fattispecie normativa di cui al successivo art. 2, comma 1, lett. a), non viene meno allorquando l’imputato, illegittimamente privato della libertà personale a seguito di una permanenza in custodia cautelare oltre i limiti temporali previsti dalla legge, sia successivamente condannato ad una pena detentiva di durata superiore alla misura preventiva sofferta: invero, da un lato, l’attuale assetto dei valori costituzionali implica che la condanna successiva non compensa il danno alla libertà personale subito dall’indagato, tenuto conto della non identità dei beni giuridici tutelati, mentre, dall’altro, il danno si determina nel momento (e per tutto il tempo) in cui vengono superati i limiti massimi di custodia cautelare fissati dalla legge e non può poi estinguersi, a distanza di tempo, per il solo fatto (comunque incerto sia nel “se” che nel “quando”) del passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

Il secondo profilo di censura è infondato in conseguenza dell’infondatezza, per quanto osservato sopra nel disattendere il primo motivo, del presupposto da cui la censura muove, ossia la sussistenza di una proroga della custodia cautelare a carico dell’imputato per effetto della disposta perizia psichiatrica.

3. Con il terzo motivo, denunciando violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. g), e dell’art. 305 c.p.c., comma 1, nonchè vizio di motivazione, si censura la valutazione di inescusabilità della negligenza dell’incolpato, lamentando che la Sezione disciplinare non abbia tenuto in considerazione le articolate difese dell’incolpato, nelle quali si era evidenziato che un insieme di circostanze lo avevano indotto a convincersi che la misura cautelare fosse stata prorogata a seguito della disposizione della perizia psichiatrica, tenuto anche conto dell’atteggiamento acquiescente della difesa e del sopraggiunto nuovo arresto dell’imputato il 6 giugno 2010, ed abbia identificato la grave violazione di legge derivante da negligenza inescusabile con la mera mancata osservanza del dovere di diligenza.

3.1. Il motivo è infondato perchè la Sezione disciplinare non ha affatto sovrapposto le valutazioni di negligenza e di inescusabilità ed ha invece specificamente motivato le ragioni di quest’ultima, come risulta dal testo della motivazione dalla sentenza impugnata, di cui ampi stralci sono riportati sopra in narrativa, mentre la critica mossa nella prima parte del motivo costituisce censura di merito.

4. Con il quarto motivo, denunciando violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, art. 2, comma 1, lett. g), e art. 3 bis e dell’art. 305 c.p.p., comma 1, nonchè vizio di motivazione, viene censurata la valutazione di insussistenza dell’esimente della scarsa rilevanza del fatto, lamentando che la Sezione disciplinare si sia arrestata alla mera considerazione del dato quantitativo del protrarsi della custodia cautelare per effetto dell’omessa scarcerazione, senza considerare l’aspetto soggettivo del grado della colpevolezza, la mancanza di danno per l’imputato, le particolari circostanze del caso, l’unicità dell’episodio nell’arco della vita professionale dell’incolpato e i giudizi positivi costantemente espressi sul suo conto, il rilevante carico di lavoro e, soprattutto, senza alcun riscontro della eventuale compromissione dell’immagine del magistrato per effetto dell’illecito.

4.1. Il motivo è infondato.

La previsione di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, (aggiunta dalla L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1), secondo cui l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, risulta applicabile – sia per il suo tenore letterale che per la sua collocazione sistematica – a tutte le ipotesi di illecito disciplinare, allorchè la fattispecie tipica risulta essere stata realizzata ma il fatto, per particolari circostanze anche non riferibili all’incolpato, non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico tutelato, secondo una valutazione che costituisce compito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, soggetta a sindacato di legittimità soltanto ove viziata da un errore di impostazione giuridica oppure motivata in modo insufficiente o illogico (Cass. Sez. U. 29/03/2013, n. 7934).

Nel caso in esame, la Sezione disciplinare ha ritenuto di attribuire carattere assorbente, rispetto a qualsiasi ulteriore considerazione, al fatto che, in conseguenza dell’illecito del magistrato incolpato, l’imputato fosse stato privato di un bene fondamentale come la libertà personale per un rilevante lasso di tempo. In ciò non è ravvisabile alcun errore di diritto, mentre la sollecitazione del ricorrente a considerare gli ulteriori elementi da lui sottolineati, si sostanzia in una critica di puro merito nei confronti di tale valutazione della Sezione.

5. Con il quinto motivo, denunciando violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, art. 2, comma 1, lett. g), e dell’art. 15 c.p., si contesta che vi sia concorso formale tra gli illeciti di cui alla lett. a) e alla lett. g) del più volte richiamato D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1.

5.1. Il motivo è infondato.

Le due fattispecie di illecito disciplinare in questione – che sanzionano, l’una, la violazione dei doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio e rispetto della dignità della persona, che arrechi ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti, e l’altra la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile – non sono tra loro in rapporto di specialità, potendo sussistere tanto gravi violazioni di legge determinate da ignoranza o negligenza inescusabile che non arrecano danno ingiusto o indebito vantaggio ad una delle parti, ma che comunque compromettono il bene giuridico (l’immagine del magistrato) a tutela del quale è diretta la previsione di ogni illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, quanto, simmetricamente, violazioni dei doveri imposti al magistrato che non si traducono in gravi violazioni di legge determinate da ignoranza o negligenza inescusabile ed arrecano, tuttavia, ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti; ne consegue che, quando un’unica condotta del magistrato ricada nella sfera di applicazione di entrambe le norme, ricorre un’ipotesi di concorso formale di illeciti disciplinari, tutti astrattamente sanzionabili (Cass. Sez. U. 11/03/2013, n. 5943; 22/04/2013, n. 9691).

6. Il ricorso va in conclusione respinto.

7. Non v’è da provvedere sulle spese processuali.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere lei generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017

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