Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17325 del 13/07/2017

Cassazione civile, sez. un., 13/07/2017, (ud. 24/01/2017, dep.13/07/2017),  n. 17325

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente di Sezione –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Presidente di Sezione –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sezione –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16646/2016 proposto da:

B.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SAN TOMMASO D’AQUINO 5, presso lo studio dell’avvocato MARIO

FANTACCHIOTTI, che lo rappresenta e difende, per delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA,

depositata il 24/05/2016;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Presidente Dott. CAMILLA DI IASI;

udito l’Avvocato Mario FANTACCHIOTTI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo,

che ha concluso chiedendo il rigetto dei primi quattro motivi del

ricorso, accoglimento del quinto e del sesto.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

B.M.A., giudice del Tribunale di Frosinone, è stato ritenuto responsabile dell’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. q, per aver depositato diverse sentenze collegiali e monocratiche con rilevanti ritardi, di cui ben 21 ultrannuali (con punte elevate di 1172, 1054, 902 e 793 giorni) e pertanto condannato alla sanzione della censura. Avverso la sentenza della sezione disciplinare del CSM l’interessato ricorre con cinque motivi.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il ricorrente si duole del fatto che i giudici disciplinari abbiano negato che tra le giustificazioni dei ritardi “possano annoverarsi il notevole carico di lavoro, la elevata laboriosità e la conclamata professionalità del magistrato”.

Col secondo motivo, nell’ipotesi in cui si ritenga che giudici disciplinari hanno invece riconosciuto in astratto la possibile rilevanza dei carichi di lavoro che oneravano l’incolpato ma ne abbiano escluso in fatto la consistenza, il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Col terzo motivo il ricorrente deduce illogicità della motivazione per avere i giudici disciplinari apoditticamente negato una relazione causale tra i ritardi rilevati e la situazione di criticità organizzativa degli anni precedenti nonchè la mancanza di specializzazione nella distribuzione degli affari.

Col quarto motivo il ricorrente si duole del fatto che i giudici disciplinari abbiano negato che la laboriosità del magistrato possa giustificare ritardi protratti oltre il limite di tolleranza anche quando sia espressa in una produzione largamente superiore alla media dell’Ufficio o dei rendimenti che nella prassi si considerano esigibili.

I sopraesposti motivi, da esaminare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono fondati, nei limiti e nei termini di cui in prosieguo.

Come risulta dalla sentenza impugnata, i giudici disciplinari hanno affermato che il ritardo superiore ad un anno nel deposito delle sentenze rende ingiustificabile la condotta del magistrato incolpato in mancanza di allegazione di circostanze oggettive assolutamente eccezionali, tali non potendosi ritenere nè la particolare situazione di lavoro e organizzativa nella quale il magistrato avrebbe operato nè la grave situazione di criticità degli anni precedenti e la mancanza di specializzazione negli affari nè la particolare consistenza del ruolo dell’incolpato rispetto a quello degli altri colleghi nè l’alta produttività del medesimo.

In tali termini la decisione impugnata risulta dissonante rispetto ai recenti arresti di queste sezioni unite in materia (v. tra le altre su n. 14268 del 2015 e n. 2948 del 2016) nei quali, anche attraverso una rilettura conforme a costituzione e non frammentaria dei precedenti ed una interpretazione di essi alla luce del complessivo ed articolato ragionamento che li sostiene, si è escluso che possano tout court ritenersi di per sè “ingiustificabili” i ritardi superiori all’anno. In particolare, nelle citate decisioni queste sezioni unite hanno chiarito che non esistono ritardi in sè ingiustificabili, anche se l’ampiezza dei medesimi non può non incidere sulla giustificazione richiesta, sicuramente più complessa e articolata di quella che si richiede in relazione a ritardi di minore ampiezza, ma di certo non impossibile. Inoltre, secondo la citata giurisprudenza (v. tra le altre su n. 5761 del 2012), i presupposti della reiterazione, della gravità e della ingiustificatezza dei ritardi debbono essere contestualizzati alla luce del complessivo carico di lavoro – in riferimento a quello mediamente sostenibile dal magistrato a parità di condizioni -, della laboriosità e dell’operosità, desumibili dall’attività svolta sotto il profilo quantitativo e qualitativo, e di tutte le altre circostanze utili che, per loro natura, implicano un tipico apprezzamento di fatto e sono quindi devolute alla valutazione di merito della sezione disciplinare.

La giurisprudenza di queste sezioni unite (v. s.u. n. 14268 del 2015 già citata) ha ancora evidenziato che il “carico di lavoro”, ossia il “ruolo” del magistrato civile è elemento condizionante da considerare in concreto nella sua ampiezza, indipendentemente dal numero delle cause che poi il magistrato riesce a “trattare” e decidere, perchè esso non è una massa inerte che grava sul suo titolare solo per le controversie trattate e/o decise, ma, quanto più esso è carico – e pertanto si allontana vieppiù nel tempo il momento della trattazione e decisione per un notevole numero di controversie – tanto più “produce” lavoro, basti pensare, ad esempio, alle istanze di trattazione anticipata ovvero ad eventuali richieste di istruzione preventiva, non potendo ovviamente il magistrato sottrarsi quanto meno alla verifica della effettiva urgenza dell’anticipazione della trattazione ovvero della anticipata assunzione del mezzo di prova richiesto e non essendo certo esempio di buona organizzazione nè di rispetto del giusto processo e della sua ragionevole durata la mera assunzione in decisione del numero di processi che sicuramente si è in grado di smaltire, lasciando per il resto di fatto situazioni completamente prive di tutela. Ciò anche considerato che secondo il più volte D.Lgs. n. 109 del 2006, citato art. 2, comma 1, lett. q), “costituisce illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni”, non quindi soltanto il ritardo nel deposito dei provvedimenti assunti in decisione.

Dovendo dunque escludersi, alla luce della sopra richiamata giurisprudenza delle sezioni unite, che il ritardo ultrannuale sia di per sè ingiustificabile se non in presenza di fattori eccezionali, i giudici disciplinari non avrebbero potuto sottrarsi al compiuto esame delle giustificazioni addotte dall’incolpato, soprattutto con riguardo al carico di lavoro del quale il medesimo era onerato, alla possibile incidenza sui ritardi dei problemi organizzativi, denunciati, come emerge dalla stessa sentenza disciplinare, da ben due Presidenti del Tribunale, nonchè alla notevole produttività (dato peraltro di per sè solo non univocamente rilevante).

In particolare il giudice disciplinare avrebbe dovuto valutare l’entità degli elementi di giustificazione addotti, il momento in cui sono sopravvenuti, l’eventuale reciproca interazione, la rispettiva incidenza e durata in rapporto al verificarsi dei ritardi e al dilatarsi di essi in maniera “irragionevole”.

La riconosciuta fondatezza, nei termini sopra evidenziati, dei quattro motivi esaminati comporta l’assorbimento dei motivi quinto e sesto, coi quali è stata dedotta violazione ed erronea applicazione di legge nonchè vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, citato art. 3 bis.

Dall’argomentare che precede discende l’accoglimento, nei termini e nei limiti di cui in motivazione, dei primi quattro motivi di ricorso e l’assorbimento del quinto e del sesto.

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.

Non vi è da provvedere sulle spese perchè il Ministro della Giustizia non ha partecipato al giudizio ed il Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte Suprema non può essere destinatario di statuizioni sulle spese.

PQM

 

La Corte accoglie nei limiti e nei termini di cui in motivazione i primi quattro motivi, assorbito il quinto e il sesto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017

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