Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17324 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 26/03/2021, dep. 17/06/2021), n.17324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 925/15 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

C.M., rappresentato e difeso, giusta procura a margine del

controricorso, dall’avv. Luca Mileto, con domicilio eletto presso il

suo studio, in Roma, Circonvallazione Clodia, n. 80;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 174/20/13 depositata in data 11 novembre 2013

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2021

dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.M. impugnò dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma con la quale era stato respinto il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva contestato l’omessa dichiarazione, per l’anno d’imposta 2003, della plusvalenza, pari ad Euro 81.808,00, derivante dalla cessione a terzi di una licenza per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente.

Il ricorrente eccepì l’infondatezza della pretesa impositiva, sostenendo che non era ravvisabile cessione di azienda, per insussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 58 e 86, e che l’Amministrazione finanziaria non aveva sottratto al valore accertato il costo di acquisto della licenza, avvenuto nel 1997, per un importo di Euro 69.696,00; precisò, altresì, che il valore attribuito dall’Ufficio era il prodotto di presunzioni, prive di fondamento, collegate ad uno studio eseguito da docenti dell’Università della Tuscia avente ad oggetto le licenze per il servizio taxi nella città di Roma pe il periodo 1980 – 2002.

2. I giudici di appello, in riforma della sentenza di primo grado, accolsero il gravame, osservando che:

a) i giudici di primo grado aveva fatto espresso riferimento all’attività di conducente di taxi, mentre, nel caso di specie, si trattava di ipotesi di esercizio di noleggio con conducente;

b) nell’avviso di accertamento si precisava che l’attività era di fatto assimilabile a quella di licenza di taxi, “con aspetti peculiari che ne diversificavano il valore commerciale”, che era stato determinato in base ad un’indagine indipendente condotta da docenti dell’Università della Tuscia;

c) l’Agenzia non aveva tenuto conto di elementi di carattere “decrementativo” del valore dell’autorizzazione di noleggio con conducente rispetto a quello delle licenze taxi ed aveva ritenuto congruo il prezzo di cessione di Euro 81.808,00, con riferimento all’anno 2003;

d) il presupposto di equiparazione alla base della pretesa tributaria, secondo l’Ufficio, che faceva ricorso alla categoria della “assimilabilità”, era privo delle connotazioni della “similarità in fatto”, richiesta dalle disp. gen. (art. 12) per il ricorso all’analogia;

e) l’indagine alla quale si faceva riferimento concerneva le licenze taxi; “l’incidenza specifica degli elementi di decremento non era analiticamente indicata ai fini differenziali ed il prezzo di cessione veniva determinato con un mero richiamo alla “congruità”, in mancanza di altri elementi idonei per la valutazione del corrispettivo”;

f) l’accertamento aveva fatto riferimento a dati non allegati dall’Ufficio nella loro interezza, essendo stata omessa la descrizione della metodologia applicata nello studio utilizzato dall’Agenzia, riproducendo solo parzialmente gli atti richiamati, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, nelle parti in cui facevano obbligo all’Amministrazione finanziaria di allegare compiutamente gli atti di interesse sconosciuti al contribuente o di riprodurne il contenuto.

3. L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della decisione di appello, con due motivi, cui resiste il contribuente mediante controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 21 del 1992, art. 7 e del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 86, 58 e art. 17, lett. g), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la difesa erariale sostiene che l’art. 7 della L. n. 21 del 1992 conferisce alla attività di taxi ed a quella di noleggio carattere e natura imprenditoriale, per cui nel momento in cui la licenza viene trasferita a titolo oneroso si configura una cessione assimilabile, nei suoi effetti fiscali, ad una cessione d’azienda. Di conseguenza, diversamente da quanto affermato dalla C.T.R., l’eventuale plusvalenza realizzata dal titolare a seguito della cessione, rientrando nella categoria del reddito d’impresa, è imponibile ai sensi del t.u.i.r., artt. 86, 58 e art. 17 TUIR, lett. g).

2. Con il secondo motivo – rubricato: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la Agenzia delle entrate, con riferimento alla parziale allegazione all’avviso di accertamento di atti richiamati in motivazione, osserva che, nel caso di specie, nella motivazione dell’avviso di accertamento, è stato illustrato il procedimento mediante il quale è stato determinato il valore base di riferimento per quantificare il compenso derivante dalla cessione della licenza, spiegando le ragioni che inducono ad assimilare l’esercizio del servizio di noleggio con conducente al servizio di taxi; precisa, altresì, che il valore attribuito alla cessione delle licenze era scaturito dai risultati di un’indagine condotta in maniera indipendente da docenti dell’Università della Tuscia, previa consegna di un apposito questionario ad un campione di operatori, ben conoscibile sia perchè descritta in un documento (dal titolo “Le licenze taxi: abolizione, regolazione o libero scambio di diritti?”), sia tramite internet; l’esito della ricerca era stata depositata in allegato al momento della costituzione in giudizio in primo grado, cosicchè, anche sotto tale profilo, la sentenza incorreva nella violazione di legge denunciata.

3. Preliminarmente, al contrario di quanto eccepito dal controricorrente, il ricorso è tempestivo, tenuto conto dell’applicabilità, ratione temporis, del termine lungo annuale di cui all’art. 327, c.p.c., con decorrenza dalla data di pubblicazione della sentenza d’appello (28/01/2013) e della sospensione feriale, dal l’agosto 2013 al 15 settembre 2013 e della conseguente scadenza del termine, computato in applicazione dei predetti criteri legali, il giorno sabato 27 dicembre 2014, come tale prorogato, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 4, al lunedì successivo 29 dicembre 2014, giorno in cui l’ufficio, come è incontestato e documentato, ha spedito per la notifica l’impugnazione per la quale si procede.

4. Il secondo motivo, che deve esaminato con priorità, va dichiarato inammissibile sotto diversi profili.

4.1. Nel regime introdotto della L. n. 212 del 2000, art. 7, “l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento” (Cass., sez. 6-5, 15/04/2013, n. 9032; Cass., sez. 5, 28/10/2016, n. 24210; Cass., sez. 5, 28/10/2016, n. 21870; Cass., sez. 5, 20/10/2016, n. 21284).

4.2. La doglianza, laddove si imputa alla C.T.R. di avere ritenuto solo parzialmente allegati all’avviso di accertamento gli atti richiamati in motivazione, risulta, in primo luogo, carente sotto il profilo dell’osservanza del principio di autosufficienza, non avendo la ricorrente riprodotto l’avviso di accertamento, nè il processo verbale di constatazione, necessari per consentirne la diretta conoscenza e fruibilità da parte della Corte.

Infatti, nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora si censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento (Cass., sez. 5, 19/04/2013, n. 9536).

4.3. In secondo luogo, nell’illustrazione del motivo, la ricorrente, nel censurare la C.T.R. per avere ritenuto non sufficientemente motivato l’avviso, opera una commistione tra i distinti profili della motivazione dell’atto e della prova della pretesa tributaria laddove, per costante giurisprudenza di questa Corte, “la motivazione dell’avviso di accertamento costituisce requisito formale di validità dell’atto impositivo, distinto da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio avente ad oggetto detta pretesa” (cfr., tra le altre, di recente Cass., sez. 5, 21/02/2020, n. 4639).

Nel caso di specie, infatti, il giudice d’appello ha affermato, in base ad un accertamento in fatto che la ricorrente non ha specificamente censurato sotto il profilo del vizio di motivazione, che l’avviso di accertamento faceva riferimento “a dati non allegati dall’Ufficio nella loro interezza” e che “è stata omessa la descrizione della metodologia applicata nello studio utilizzato dall’Agenzia, riproducendo solo parzialmente gli atti richiamati, con violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 (novellato) e della L. n. 212 del 2000, art. 7..”, in tal modo ritenendo che non sia stato assolto l’obbligo di allegazione all’atto impositivo, mediante la riproduzione del contenuto, degli atti non conosciuti dal contribuente.

La produzione in giudizio della indagine condotta dai docenti dell’Università della Tuscia – che l’Agenzia assume di avere depositato nel corso del processo di primo grado – ricade nell’ambito degli oneri di deduzione probatoria e non dei requisiti di validità della motivazione dell’atto impositivo, in quanto mezzo di prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria.

5. Il primo motivo è inammissibile.

Costituisce ius receptum (Cass., sez. 5, 11/05/2018, n. 11493) che “Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa”.

Nella fattispecie, la definitività dell’autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata che ha ritenuto nullo l’avviso di accertamento per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7 non può che comportare l’inammissibilità, per sopravvenuta carenza d’interesse, della critica rivolta all’altra ratio della medesima pronuncia, quella secondo cui, non essendo assimilabile la licenza di noleggio con conducente alla licenza di taxi, non vi è stata alcuna cessione d’azienda imponibile, poichè, ove venisse accolta la doglianza svolta in ordine a tale statuizione, non si potrebbe comunque addivenire alla cassazione della decisione della C.T.R.

6. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere Amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (Cass., sez. 6 – L, 29/01/2016, n. 1778; Cass., sez. U, 25/11/2013, n. 26280; Cass., sez. U, 8/05/2014, n. 9938; Cass., sez. 5, 15/05/2015, n. 9974).

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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