Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17322 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. III, 19/08/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 19/08/2020), n.17322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25303/2016 proposto da:

V.E., A.I., A.P., in proprio e

quali eredi di A.S., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DURAZZO 9, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO PIZZOFERRATO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALBERTO FURLANETTO;

– ricorrenti –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona dei procuratori, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA C. COLOMBO 440, presso lo studio

dell’avvocato FRANCO TASSONI, rappresentata e difesa dall’avvocato

FERDINANDO T. TRIVELLATO;

– controricorrente –

e contro

AZIENDA OSPEDALIERA DI (OMISSIS), C.D., MINISTERO DELLA

SALUTE, FOR.MED. SRL IN LIQUIDAZIONE, S.V., + ALTRI

OMESSI;

– intimati –

nonchè da:

AZIENDA OSPEDALIERA DI PADOVA, in persona del Direttore Generale pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA TAGLIAMENTO 55,

presso lo STUDIO dell’avvocato DI PIERRO NICOLA che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BERGAMO LAURA;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1733/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2020 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito il ricorso incidentale;

udito l’Avvocato BARCATI;

Udito l’Avvocato FORNASARO;

Udito l’Avvocato VARINI E.:

Udito l’Avvocato FURLANETTO;

Udito l’Avvocato TASSONI;

Udito l’Avvocato BERGAMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.S., il coniuge V.E. ed i figli A.I. e P., unitamente ad altri convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia l’Azienda Ospedaliera di Padova, C.D. e il Ministero della Salute chiedendo il risarcimento del danno cagionato dall’intervento di cardiochirurgia nell’anno 2001 con cui erano state sostituite le valvole cardiache naturali con protesi valvolari meccaniche, modello Tri-Technologies di produzione brasiliana, le quali avevano rivelato gravi difetti di funzionamento. Vennero chiamati in causa Generali Italia s.p.a. e Tri-Technologies (nei confronti di quest’ultima venne poi disposta la separazione della relativa causa dati i tentativi di notifica rimasti senza esito).

2. Il Tribunale adito, previa CTU, rigettò la domanda, con compensazione delle spese.

3. Avverso detta sentenza proposero appello V.E., A.I. e A.P., in proprio e quali eredi di A.S. nel frattempo deceduto, ed altri con atti di appello separati. Con sentenza di data 26 luglio 2016 la Corte d’appello di Venezia rigettò l’appello con compensazione delle spese.

Premesso che il C. era stato assolto nel processo penale perchè il fatto non costituiva reato, che ricorreva la responsabilità contrattuale sia della struttura medica che del sanitario sulla base del contatto sociale (il sanitario rispondeva anche ai sensi dell’art. 2043 c.c., se dimostrata la colpa) e che accertata era la difettosità delle valvole prodotte dalla Tri-Technologies, osservò la corte territoriale che, come rilevato nella sentenza penale di appello, le valvole, oltre a presentare novità migliorative, avevano superato tutti i test e le sperimentazioni, conseguendo la certificazione CE e venendo in seguito utilizzate in diversi Stati, anche Europei, con impianto in oltre seimila casi fuori del territorio italiano e che quanto al valore della certificazione CE, come rilevato sia dalla sentenza penale di appello che da quella della Corte di Cassazione (n. 40897 del 2011), si trattava di verifica effettuata da organismo notificato che, una volta rilasciata la certificazione, consentiva l’utilizzo del dispositivo. Aggiunse che i controlli di rito sui pazienti impiantati erano stati regolarmente eseguiti e che non erano esigibili ulteriori controlli, non essendo immediatamente rilevabili dal chirurgo i difetti delle valvole in questione e potendo essere rilevati solo con apposita strumentazione e previo disassemblaggio del dispositivo. Osservò inoltre, circa il consenso informato, premesso che nell’atto di citazione di primo grado vi era un accenno per quanto generico alla questione (pag. 27), che, come evidenziato dalla Corte di Cassazione, “il consenso informato non poteva essere esteso al tipo di valvola da impiantare, involgente aspetti tecnici difficilmente comprensibili dal profano” e comunque, ove l’informazione fosse stata estesa al tipo di valvole da impiantare, il sanitario avrebbe dovuto dire che le valvole TT erano certificate CE, previa verifica da parte di un organismo tedesco altamente qualificato e che avevano superato i test e non si era manifestato alcun inconveniente, sicchè difficilmente il paziente avrebbe desistito dal prestare il consenso alla loro utilizzazione. Aggiunse quindi la Corte che la lettera dell’11 agosto 2002 inviata dal C. aveva scarsa rilevanza in quanto successiva alla scoperta della probabile difettosità delle valvole TT (e costituente peraltro una diligente richiesta di aggiornamento a seguito delle sopravvenute problematiche) e che la lettera del 1 giugno 2000, con cui il C. aveva chiesto all’Azienda Ospedaliera l’acquisto delle valvole TT “per valutare l’efficacia nei pazienti a maggior rischio”, non consisteva in un piano di sperimentazione per di più a carico dei pazienti a maggior rischio, ma costituiva proposta di utilizzazione per valutarne le caratteristiche innovative. Infine osservò che “nelle scritture difensionali conclusive gli appellanti prospettano nuove censure, che non possono però essere esaminate in quanto tardive”.

4. Hanno proposto ricorso per cassazione V.E., A.I. e A.P., in proprio e quali eredi di A.S., sulla base di cinque motivi e resistono con distinti controricorsi Generali Italia s.p.a. e l’Azienda Ospedaliera di Padova, quest’ultima proponendo altresì ricorso incidentale sulla base di due motivi. E’ stata presentata memoria. E’ intervenuto provvedimento di estinzione con riferimento al ricorso per cassazione proposto da Giorgio Paccagnella nei confronti della medesima sentenza a seguito di rinuncia al ricorso da parte del ricorrente.

Ragioni della decisione

1. Muovendo dal ricorso principale, con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1176 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che la corte territoriale ha omesso di valutare se l’azienda ospedaliera ed il sanitario avessero assolto il proprio onere probatorio, avuto riguardo alla responsabilità per l’utilizzo di prodotto difettoso e non potendo essere fatta ricadere sul paziente l’incertezza della causa dell’esito infausto.

2. Con il secondo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti che il giudice di appello ha omesso l’esame della delibera dell’11 ottobre 2000 dell’Azienda Ospedaliera con cui si chiede l’acquisto delle valvole prodotte dalla società Tri-Technologies per valutarne l’efficacia nei pazienti a maggior rischio, valvole non ancora utilizzate sul territorio italiano e con prezzi inferiori rispetto a quelli praticati per altre valvole meccaniche e che doveva essere effettuata una valutazione sul contenuto della detta delibera la quale sollevava ragionevolmente numerosi dubbi. Aggiungono che il giudice civile non può fondare il proprio convincimento sulla sentenza del giudice penale, omettendone la valutazione critica, e che se la delibera in discorso fosse stata esaminata la decisione sarebbe stata diversa.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 32 Cost., L. n. 833 del 1978, art. 33, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che il sanitario doveva fornire le informazioni necessarie per assicurare il diritto all’autodeterminazione del paziente, ed in particolare informarlo circa le “dovute riserve” su una valvola meccanica di nuova generazione, mai utilizzata dalla struttura ospedaliera, consentendo all’ A. di valutare i rischi ed i benefici dell’intervento e dunque di valutare diverse proposte terapeutiche presso altre strutture sanitarie. Osservano inoltre, con riferimento alla lettera del 1 giugno 2000 del C., nel quale si chiedeva di poter acquisire le valvole TT per “valutarne l’efficacia nei pazienti a maggior rischio”, che il giudice di appello non aveva risposto alle legittime preoccupazioni degli appellanti in ordine agli elementi scientifici con cui sarebbero stati selezionati i “pazienti a maggior rischio”, se tali pazienti fossero a conoscenza di rientrare in un piano di sperimentazione e se fosse stato loro richiesto di affrontare il rischio di essere i primi in Italia a sottoporsi a tale impianto.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,1218 e 1228 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti, a proposito del rilievo del giudice di appello secondo cui il medico deve rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c., qualora sia dimostrata la colpa, che ha carattere contrattuale anche la responsabilità del medico dipendente da struttura ospedaliera.

5. Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che la corte territoriale, affermando che “nelle scritture difensionali conclusive gli appellanti prospettano nuove censure, che non possono però essere esaminate in quanto tardive”, omette di indicare quali siano le questioni tardive, non consentendo alle parti di valutare se trattasi di questioni rilevanti ai fini della decisione e di esercitare il controllo di legittimità.

6. Passando al ricorso incidentale, con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,324,345 c.p.c., e art. 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente in via incidentale che l’unica allegazione nell’atto di citazione sulla questione del consenso informato era nel senso che non era stato chiesto il consenso informato sul tipo di protesi cardiaca che stava per essere impiantata (pag. 27) e che l’omessa pronuncia del Tribunale non era stata impugnata, unica affermazione presente nell’atto di appello essendo quella secondo cui le valvole erano state impiantate senza la preventiva informazione sulla possibilità di preferire ad esse le valvole già in uso e adeguatamente sperimentate (pag. 48), sicchè la corte territoriale aveva pronunciato su questione coperta dal giudicato o, in subordine, su questione nuova rispetto a quella dedotta in primo grado.

7. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente in via incidentale che in primo grado non era stata sollevata alcuna censura in relazione all’attività di acquisto di protesi, mentre solo nell’atto di appello, ed in modo ancora più esteso nella comparsa conclusionale, erano state sollevate nuove allegazioni, mediante l’utilizzo strumentale di frasi contenute nella lettera del 1 giugno 2000 e nella delibera dell’11 ottobre 2000 dell’Azienda Ospedaliera, sicchè trattandosi di allegazioni tardive erano inammissibili.

8. Muovendo dal ricorso principale, il primo motivo è inammissibile. Va ricordato che le regole sull’onere della prova sono regole residuali di giudizio in conseguenza delle quali la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento della sussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione dei relativi fatti costitutivi, ovvero modificativi o estintivi. Resta fermo il principio di acquisizione probatoria, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute (e qual che sia la parte ad iniziativa della quale sono state raggiunte), concorrono, tutte ed indistintamente, alla formazione del libero convincimento del giudice, senza che la relativa provenienza possa condizionare tale convincimento in un senso o nell’altro, e senza che possa, conseguentemente, escludersi la utilizzabilità di un prova fornita da una parte per trarne argomenti favorevoli alla controparte (Cass. 16 giugno 1998, n. 5980; 16 giugno 2000, n. 8195; 7 agosto 2002, n. 11911; 21 marzo 2003, n. 4126).

La regola sull’onere della prova, con le relative conseguenze sfavorevoli a carico della parte onerata nel caso di circostanza rimasta ignota all’esito dell’istruzione probatoria, non è venuta in rilievo nel caso di specie avendo il giudice di merito accertato che l’inesattezza dell’adempimento è stata determinata da difetto di funzionamento della valvola non prevedibile nè evitabile da parte del sanitario.

E’ appena il caso di aggiungere che la censura non si risolve in una critica alla ricostruzione della quaestio facti.

9. Il secondo motivo è inammissibile. Premesso che gli stessi ricorrenti riconoscono che legittimamente la sentenza penale può essere utilizzata come fonte di prova, va evidenziato che con riferimento al fatto il cui esame sarebbe stato omesso, e cioè il contenuto della delibera dell’11 ottobre 2000 dell’Azienda Ospedaliera con cui si chiedeva l’acquisto delle valvole prodotte dalla società Tri-Technologies per valutarne l’efficacia nei pazienti a maggior rischio, valvole non ancora utilizzate sul territorio italiano e con prezzi inferiori rispetto a quelli praticati per altre valvole meccaniche, il requisito della decisività risulta formulato in forma dubitativa, essendosi la parte ricorrente limitata ad enumerare i dubbi che, a suo parere, la delibera solleverebbe. La sollevazione di dubbi è incompatibile con la certezza che deve presiedere alla decisività del fatto di cui si lamenta la pretermissione.

E’ appena il caso di rilevare che la circostanza in discorso difetta comunque di decisività alla stregua dell’accertamento svolto dal giudice di merito. La corte territoriale ha accertato che le valvole, oltre a presentare novità migliorative, avevano superato tutti i test e le sperimentazioni, conseguendo la certificazione CE (conseguita a seguito della verifica effettuata da organismo notificato) e venendo in seguito utilizzate in diversi Stati, anche Europei, con impianto in oltre seimila casi fuori del territorio italiano. Tale giudizio di fatto non risulta incrinabile sulla base della circostanza il cui esame il giudice di appello avrebbe omesso, tant’è che la censura non può che essere formulata, come si è visto, in forma dubitativa.

10. Pregiudiziale all’esame del terzo motivo è l’esame del primo motivo del ricorso incidentale. Trattasi di motivo infondato. Secondo quanto si evince dalla stessa articolazione del motivo di censura, con la citazione di primo grado era stato allegato che non era stato chiesto il consenso informato sul tipo di protesi cardiaca che stava per essere impiantata. Considerato che in tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, l’unitarietà del diritto al risarcimento ed il suo riflesso processuale dell’ordinaria infrazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta (Cass. 23 ottobre 2014, n. 22514; 31 agosto 2011, n. 17879), deve ritenersi che il fatto costitutivo relativo al consenso informato, nei limiti in cui è stato dedotto (“a ciò si aggiunga che agli attori che hanno subito l’intervento di impianto della valvola TT non è stato richiesto il consenso informato sul tipo di protesi cardiaca che stava per esser a loro innestata, mancanza di consenso e di informazione specifica la cui prova incombe ai convenuti” – pag. 25 dell’atto di citazione di primo grado), risulta allegato e che sorregga la domanda risarcitoria.

Quanto al profilo dell’omessa pronuncia da parte del Tribunale, va rammentato che in caso di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un punto della domanda, l’appellante, ai fini della specificità del motivo di gravame, deve soltanto reiterare la richiesta non esaminata in prime cure (Cass. 30 aprile 2014, n. 9485; 7 marzo 2016, n. 4388). La reiterazione della questione del consenso informato deve ritenersi assolta con la deduzione che le valvole erano state impiantate “senza avere preventivamente informato i pazienti, che ne avrebbero avuto diritto, sulla possibilità di preferire ad esse che costituivano comunque una novità nel trattamento chirurgico – le valvole già in uso e adeguatamente sperimentate”, secondo quanto riportato a pag. 48 dell’atto di appello. Ed invero la reiterazione del fatto costitutivo relativo all’originaria domanda risarcitoria, senza la necessità dell’adozione di formule sacramentali, consegue lo scopo dell’impugnazione. Deve pertanto ritenersi ancora sub iudice la questione del consenso informato sul tipo di protesi cardiaca che stava per essere impiantata, posto che la possibilità di preferire ad esse valvole già in uso e sperimentate, è immanente all’informazione da rendere sulla valvola da impiantare.

11. Tornando al ricorso principale, il terzo motivo è infondato. Il motivo contiene due sub-motivi.

11.1. Il primo sub-motivo attiene alla questione del consenso informato. Ha affermato il giudice di merito che “il consenso informato non poteva essere esteso al tipo di valvola da impiantare, involgente aspetti tecnici difficilmente comprensibili dal profano” e comunque, ove l’informazione fosse stata estesa al tipo di valvole da impiantare, il sanitario avrebbe dovuto dire che le valvole TT erano certificate CE, previa verifica da parte di un organismo tedesco altamente qualificato, e che avevano superato i test e non si era manifestato alcun inconveniente, sicchè difficilmente il paziente avrebbe desistito dal prestare il consenso alla loro utilizzazione. Tale statuizione è stata impugnata con il rilievo che, se le informazioni fossero state date, il paziente avrebbe potuto valutare in modo consapevole sul se assentire la pratica medica ed eventualmente se rivolgersi presso altra struttura.

Sulla base della classificazione operata da Cass. 11 novembre 2019 n. 28985, la quale costituisce una sistemazione della giurisprudenza recente di questa Corte in materia di consenso informato, la fattispecie in esame rientra nell’ipotesi dell’omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un pregiudizio alla salute ma senza che sia stata dimostrata la responsabilità del medico. In tal caso è risarcibile il diritto violato all’autodeterminazione a condizione che il paziente alleghi e provi che, una volta in possesso dell’informazione, avrebbe prestato il rifiuto all’intervento (e, nel caso di specie, si sarebbe rivolto ad altra struttura). Il rifiuto del consenso alla pratica terapeutica rileva, come afferma sempre Cass. n. 28985 del 2019, sul piano della causalità giuridica ex art. 1223 c.c., e cioè della relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione – perfezionatosi con la condotta omissiva violativi dell’obbligo informativo preventivo – e conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso di regolarità causale.

Nel motivo di censura non viene allegato che il paziente non si sarebbe sottoposto all’intervento e che si sarebbe rivolto ad altra struttura. Si deduce solo l’eventualità di un intervento presso altra struttura. L’eventualità non è idonea ad integrare il requisito richiesto del rifiuto che si sarebbe frapposto all’intervento una volta in possesso dell’informazione omessa, rifiuto che sarebbe stato onere del paziente non solo allegare, ma anche provare (con ogni mezzo, come afferma la giurisprudenza, e dunque anche il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni).

11.2. Con il secondo sub-motivo lamentano i ricorrenti che con riferimento alla lettera del 1 giugno 2000 del C., nel quale si chiedeva di poter acquisire le valvole TT per “valutarne l’efficacia nei pazienti a maggior rischio”, il giudice di appello non avrebbe risposto alle legittime preoccupazioni degli appellanti. La censura, sebbene formulata sub specie di violazione di legge, attiene al giudizio di fatto e può essere considerata quale denuncia di vizio motivazionale; in tale modo risulta tuttavia irritualmente formulata, trattandosi di circostanza esaminata dal giudice di appello e ricadendo così la censura in una non ammissibile rivalutazione di quanto già dal giudice di merito apprezzato, vietata dai limiti sul controllo della motivazione sulla quaestio facti posti dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5.

12. Il quarto motivo è inammissibile. La censura non coglie la ratio decidendi avendo il giudice di appello riconosciuto che ricorreva la responsabilità contrattuale sia della struttura medica che del sanitario sulla base del contatto sociale, affermando poi che il sanitario poteva rispondere anche ai sensi dell’art. 2043 c.c., se dimostrata la colpa. In ogni caso, per quanto osservato a proposito del primo motivo, la regola sull’onere della prova, diversamente concepita nel caso di responsabilità extracontrattuale, non viene in rilievo nel caso di specie.

13. Il quinto motivo è inammissibile. A fronte della pronuncia della corte territoriale, che ha ritenuto tardive le questioni poste negli atti difensivi conclusivi, diverse evidentemente da quelle esaminate nella motivazione della decisione, i ricorrenti omettono di indicare quale sia l’allegazione che è rimasta pregiudicata da una simile statuizione. Come è noto, la censura concernente la violazione delle regole processuali deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul

contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia (fra le tante da ultimo Cass. 26 settembre 2017, n. 22341). La generica doglianza secondo cui non sarebbe consentito alle parti di valutare se trattasi di questioni rilevanti ai fini della decisione resta al di qua della soglia di decisività della violazione denunciata e dunque di effettività del pregiudizio.

14. Venendo infine al secondo motivo del ricorso incidentale, trattasi di motivo da ritenere assorbito. Posto che con riferimento alla questione della lettera del 1 giugno 2000 la ricorrente in via incidentale non ha interesse ad impugnare la sentenza, avendo la corte territoriale disatteso il relativo motivo di appello, la censura è da considerare come inerente a ricorso incidentale condizionato, presupponendo l’accoglimento dei motivi di ricorso. In ordine alle circostanze in questione (lettera del 1 giugno 2000 e delibera dell’11 ottobre 2000 dell’Azienda Ospedaliera) i motivi di ricorso sono stati dichiarati inammissibili, sicchè il motivo deve intendersi assorbito.

15. Stante la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione delle spese processuali. La compensazione delle spese processuali va estesa anche a Generali Italia s.p.a., permanendo le medesime ragioni di compensazione considerate dalla corte territoriale.

Poichè i ricorsi sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del secondo motivo; dispone la compensazione delle spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

 

 

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