Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17315 del 24/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 24/08/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 24/08/2016), n.17315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17862/2015 proposto da:

V.R.P.L. E V.R. S.N.C., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 28, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRO RUGGIERO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FABIO COSTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA EMILIO DE’ CAVALIERI 11, presso lo studio dell’avvocato CIRO

SINDONA, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4073/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/05/2015 r.g.n. 603/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato COSTA FABIO;

udito l’Avvocato SINDONA CIRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento parziale.

Fatto

Con sentenza 12 maggio 2015, la Corte d’appello di Roma condannava la s.n.c. V.R.P.L. e V.R. al pagamento, in favore del dipendente F.G., di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata in diciotto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto pari a Euro 816,33, oltre interessi dalla pubblicazione della sentenza: così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che, in esito a procedimento ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 e segg., aveva dichiarato illegittimo il recesso per giustificato motivo oggettivo intimato il 9 settembre 2013 dalla società datrice al lavoratore, condannandola al pagamento, in favore del secondo a titolo di indennità ai sensi del novellato L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, in misura di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto corrisposta (così riducendo l’indennità attribuitagli dallo stesso Tribunale con ordinanza opposta, in misura di quindici mensilità).

A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva provata, sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie, la sussistenza della ragione obiettiva del licenziamento, consistente nella necessità di riorganizzazione aziendale per crisi della società datrice, agente mandataria di Generali Assicurazioni s.p.a.; essa si era tradotta nella chiusura dell’agenzia di (OMISSIS), cui il lavoratore era addetto, per un’esigenza di riduzione di costi ed era stata rilevata da tale S.A., che aveva proseguito l’attività in autonomia di gestione.

Rilevata quindi la formazione di giudicato, in assenza di reclamo incidentale della società, sull’accertamento di illegittimità del licenziamento per mancata assoluzione dell’obbligo di repechage, la Corte capitolina riteneva ingiustificata la liquidazione dell’indennità in misura di sei sole mensilità, per incongruità dell’apprezzamento negativo della condotta processuale del lavoratore in sede di conciliazione, che legittimamente aveva rifiutato un’offerta di sole tre mensilità della retribuzione globale di fatto e per irrilevanza della scelta del rito processuale, in quanto elemento non previsto tra i criteri del novellato L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 7. Sicchè, essa la riliquidava in diciotto mensilità, in ragione della durata del rapporto lavorativo dal 1994 al 2013.

Con atto notificato il 10 luglio 2015, la s.n.c. V.R.P.L. e V.R. ricorre per cassazione con sei motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste F.G. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, n. 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per inammissibilità del reclamo del lavoratore, siccome non conforme ai requisiti prescritti dalla novellata norma denunciata nella rigorosa lettura interpretativa giurisprudenziale di merito, con specifica censura delle lacune dell’atto processuale di controparte, debitamente trascritto nelle parti d’interesse e di cui puntualmente indicata la sede di produzione, a fini di autosufficienza per l’esame di legittimità.

Con il secondo, la ricorrente deduce in principalità violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 5, 7 e 8, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea applicazione (contrariamente al Tribunale) della tutela reale anzichè obbligatoria, nonostante l’insussistenza del requisito dimensionale per la prima, avendo lo stesso lavoratore ammesso l’impiego nell’impresa, al momento del licenziamento, di soli cinque dipendenti; in subordine, violazione e falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 59 e art. 437 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per la deduzione di fatti nuovi, inammissibilmente dedotti (taluni anche in violazione di giudicato) in sede di reclamo, quali in particolare il requisito dimensionale, anche secondo una prospettazione innovativa per il collegamento dell’agenzia con la mandante Generali Assicurazioni s.p.a., in riferimento ai dipendenti dalla stessa complessivamente impiegati sull’intero territorio nazionale.

Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., art. 324 c.p.c. e art. 329 c.p.c., commi 1 e 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per erronea decisione sull’anzianità di servizio del lavoratore (in misura di diciannove anni), nonostante il giudicato interno formatosi sulla statuizione (di cinque anni di anzianità di servizio) dell’ordinanza in via sommaria del Tribunale, non impugnata sul punto.

Con il quarto, la ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in riferimento al numero dei propri dipendenti, inferiore ai quindici apoditticamente ritenuti per erronea applicazione del novellato L. n. 300 del 1970, art. 18.

Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 e art. 111 Cost., n. 4, per omessa motivazione, ridondante nella nullità della sentenza, in ordine ai criteri di liquidazione previsti dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 5 e 7, per il mero laconico riferimento alla “lunga durata del rapporto lavorativo”, senza alcuna ulteriore specificazione, per la misura dell’indennità (diciannove mensilità, nella possibilità di selezione dalle dodici alle ventiquattro) e per errori di fatto e logici, nella riforma dell’entità risarcitoria riconosciuta dal Tribunale, equivocando sui criteri di liquidazione dell’indennità applicati (nell’ambito della tutela obbligatoria, in relazione alla durata del rapporto di lavoro e della natura di s.n.c. della datrice), ad essi erroneamente riferendo quelli invece assunti per la regolazione delle spese del giudizio (comportamento processuale delle parti in sede di conciliazione e scelta del rito processuale).

Con il sesto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 5 e 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea attribuzione, a fini di liquidazione dell’indennità risarcitoria, di un’anzianità di servizio di diciannove anni (dal 1994 al 2013), anzichè di tredici (dal 2 novembre 2000 al 9 settembre 2013) come riconosciuto dallo stesso lavoratore, per il regime di lavoro autonomo, quale agente assicurativo, dei primi sei anni del rapporto, pertanto non computabili ai detti fini.

Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, n. 1, per inammissibilità del reclamo del lavoratore, siccome non conforme ai requisiti prescritti dalla novellata norma denunciata, è inammissibile.

La questione è infatti nuova, non risultando trattata dalla sentenza impugnata, neppure avendo la ricorrente indicato specificamente, nè trascritto gli atti nei quali l’avrebbe posta nei gradi di merito: e ciò si riflette sulla genericità del motivo, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso e pertanto della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; 11 gennaio 2007, n. 324).

Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 5, 7 e 8, per erronea applicazione della tutela reale anzichè obbligatoria, nonostante l’insussistenza del requisito dimensionale per la prima; in subordine, violazione e falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 59 e art. 437 c.p.c., per la deduzione di fatti nuovi, inammissibilmente dedotti (taluni anche in violazione di giudicato) in sede di reclamo, è fondato sotto il profilo di denuncia principale (con assorbimento di quello subordinato).

La previsione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 8, nel testo novellato dalla L. n. 92 del 2012, vigente ratione temporis, di applicabilità delle disposizioni di cui ai comma dal quarto al settimo dello stesso articolo, qui d’interesse (secondo cui: “al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale è avvenuto il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici dipendenti”) è di una chiarezza inequivocabile.

Come pure indiscussa è l’occupazione presso la società datrice, al momento del licenziamento, di soli cinque dipendenti, per ammissione dello stesso lavoratore (a verbale di udienza del 7 aprile 2014 della fase sommaria, come documentato a pg. 13 del ricorso), ribadita anche nell’odierna sede di legittimità, nel senso esplicito che “fosse pacifico fra le parti che il numero dei dipendenti era inferiore alle 15 unità” (così al penultimo capoverso di pg. 2 del controricorso).

Sicchè da ciò consegue l’applicazione dell’indennità risarcitoria ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 8.

Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’accoglimento del ricorso, in relazione al secondo motivo, assorbiti gli altri, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2016

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