Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17315 del 16/08/2011

Cassazione civile sez. I, 16/08/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 16/08/2011), n.17315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto aln. 29849 R.G. 2005 proposto da:

C.G. elett.te domiciliato in ROMA, Via Garigliano 11

presso l’avvocato MAIONE Nicola con l’avv. Giovanni Liguori di

Palermo dal quale è rappresentato e difeso giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Palermo;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1035 della Corte d’Appello di Palermo

depositata il 31.8.2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9.06.2011 dal Consigliere Dott. Luigi MACIOCE;

sentito il P.G. nella persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Immacolata

ZENO che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 17.2.1995 C.G. convenne innanzi al Tribunale di Palermo il Comune – che aveva provveduto ad occupare e quindi ad irreversibilmente trasformare sue aree edificabili site nel quartiere (OMISSIS) – per ottenerne la condanna al pagamento del risarcimento dei danni patiti per l’occupazione appropriativa subita e al pagamento della indennità di occupazione legittima spettante. Il Tribunale adito con sentenza del 6.5.2002 condannò il Comune a corrispondere la somma determinata dal CTU per ristoro dei danni, pari al valore venale del bene acquisito, e per indennità di occupazione. Il Comune propose appello con citazione del 23.2.2003 e, costituitosi il C., la Corte di Palermo con sentenza 31.8.2005 da un canto disattese l’eccezione di inammissibilità dell’appello e, dall’altro canto, accolse il gravame e dichiarò inammissibili le domande risarcitorie.

Nella motivazione la Corte di merito ha:

– con riguardo alla eccepita carenza di rappresentanza processuale dell’appellante Sindaco, fondata sulla carenza di autorizzazione della G.M., osservato che nel corso dell’appello era stata richiesta ed acquisita la autorizzazione di Giunta che, pertanto, aveva sanato la originaria irregolarità;

– in relazione alla questione posta in appello, e per la quale il C. avrebbe rinunziato al diritto in contesa, essa era fondata, posto che risultava che con atto del 26.4.2001 (esteso prima della sentenza del Tribunale) il C., all’atto di ricevere somme dal Comune in relazione all’immobile occupato, aveva dichiarato di rinunziare a qualunque pretesa connessa alla procedura espropriativa, con effetti dichiarativi della cessazione di alcuna contesa riconnessi alla dichiarazione anzidetta, pur personalmente estesa dalla parte.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il C., con atto notificato all’Avvocatura Comunale di Palermo in data 28.11.2005 non seguito da difese della parte intimata, atto nel quale si muovono due motivi di censura alla sentenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Collegio che, infondate entrambe le censure proposte, il ricorso debba essere rigettato.

Con il primo motivo si lamenta l’indebita scelta di procedere ad una “sanatoria” della carenza iniziale di autorizzazione al Sindaco a promuovere l’impugnazione, tale autorizzazione della G.M. (n. 498 del 2004) essendo intervenuta solo nel corso dell’appello e, segnatamente, alla udienza del 10.06.2005.

Il motivo è infondato. Tanto alta stregua delle leggi della Regione Sicilia quanto con riguardo alla Legge Statale n. 142 del 1990, artt. 35 e 36 e D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 48 e 50 spetta al solo Sindaco, autorizzato dalla Giunta, il potere di agire e resistere e quindi di conferire procura (S.U. 10979 del 2001, Cass. 14220 del 2004, 4212 del 2007 e 13968 del 2010). L’iniziale assenza della delibera della G.M. ben può essere sanata se intervenga nel giudizio e sia prodotta in causa sino alla udienza di discussione della causa (S.U. 15603 del 2001 e Cass. 20820 del 2006). Pertanto, la decisione della Corte di Palermo di ritenere tempestivamente acquisita e radicalmente sanante la Deli. n. 498 del 2008 della G.M. appare conforme a diritto.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione commessa con l’aver ritenuto l’atto di quietanza 26.11.2001 – che si fa notare era testualmente afferente le indennità di esproprio – avente valore abdicativo, nel mentre non poteva incidere sulla controversia non essendo stati rinunziati gli atti del giudizio. Il motivo è del tutto inconsistente, avendo la Corte, rettalmente applicando i principii dettati in materia di interpretazione del contenuto di un atto di rinunzia ad un diritto già sottoposto alla cognizione del giudice, affermato che era stato dal C. sottoscritto un vero e proprio atto di rinunzia. Se, infatti, la domanda era stata proposta come diretta al conseguimento del risarcimento dei danni da occupazione appropriativa ed al pagamento della indennità di occupazione legittima, e se a detta domanda, proposta il 17.2.1995, seguì l’accettazione del C. del pagamento della somma di L. 156.118.266 con rilascio di una dichiarazione totalmente liberatoria con riguardo alle pretese risarcitorie e di indennità afferenti la vicenda espropriativa del proprio immobile e prospettate nel giudizio in corso, non si scorge, nella corretta argomentazione della Corte di merito, alcun profilo di illogicità ed incongruità nel ricavare, da siffatte dichiarazioni, la volontà di rinunziare alla domanda abbandonando la lite in vista dell’immediata e certa percezione delle somme (Cass. 14104 del 2008 e 3593 del 2010). Nè, essendo direttamente coinvolto il diritto controverso e senza che sussistesse alcun limite legale al perfezionamento del procedimento abdicativo (si rammenta S.U. sent. 7035 del 2009), ha rilievo di sorta il fatto che non vi sia stata accettazione della rinunzia agli atti del giudizio e che quindi la decisione del giudice del merito in appello si sia appuntata direttamente sulla sopravvenuta assenza dell’interesse a coltivare la lite, avente ad oggetto l’originaria domanda. Correttamente quindi di tal domanda è stata affermata la inammissibilità.

Non è luogo a regolare le spese in assenza di difese dell’intimato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2011

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