Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17314 del 27/06/2019

Cassazione civile sez. I, 27/06/2019, (ud. 13/03/2019, dep. 27/06/2019), n.17314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19649/2018 proposto da:

T.M., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Natale Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, del 07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/03/2019 dal Cons. Dott. AMATORE ROBERTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Napoli – decidendo sulla opposizione al provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di Caserta (con il quale era stata negata a T.M., cittadino del Bangladesh, la richiesta protezione internazionale per il reclamato status di rifugiato e, in via subordinata, per la invocata protezione sussidiaria e umanitaria) – ha rigettato le domande di protezione avanzate dal ricorrente. Il tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente in ordine alle ragioni che lo avevano indotto a fuggire dal suo paese di origine, avendo il ricorrente narrato di esser stato costretto a fuggire dal Bangladesh per sottrarsi alle aggressioni fisiche di un suo oppositore politico, dopo le lezioni comunali nelle quali era stato candidato per il partito del (OMISSIS). Il tribunale ha, poi, ritenuto non dimostrata la ricostruzione della vicenda offerta dal ricorrente, stante la mancata dimostrazione della partecipazione alla contesa politica nel suo paese di origine e la non credibilità di quanto riferito.

Il giudice del merito ha, infatti, ritenuto non fondata la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, non ricorrendo un’ipotesi di persecuzione statale in danno del richiedente e ha, del pari, valutato come infondata anche la richiesta di protezione sussidiaria, non configurandosi le ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; ha evidenziato, in ordine a quest’ultimo profilo di tutela, che il Bangladesh è un paese democratico non interessato da conflitti interni generalizzati, nonostante sia interessato da criticità per il conflitto politico tra i partiti e per le violazioni al diritto di espressione. Il tribunale impugnato ha altresì osservato che non ricorrevano, nel caso di specie, neanche le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, non potendosi rintracciare, nel caso di specie, una condizione di particolare vulnerabilità del ricorrente.

2. Il decreto, pubblicato il 7.6.2018, è stata impugnata da T.M. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 5 e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis – si duole dell’erroneità della decisione impugnata perchè fondata sulla sola valutazione di non credibilità soggettiva del richiedente, senza che il tribunale avesse, come era suo onere, attivato i suoi poteri officiosi istruttori per verificare le condizioni socio-politiche del paese di provenienza del richiedente. Si evidenzia ancora l’erroneità della decisione impugnata laddove aveva respinto la domanda di protezione per la mancata prova da parte del richiedente delle circostanze allegate a sostegno dell’esistenza della situazione di pericolo determinante la ragione di fuga dal paese di provenienza. Osserva altresì il ricorrente che, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, il ricorrente aveva fornito la prova, tramite la documentazione allegata, della sua partecipazione alla contesa politica e della sua candidatura alle elezioni.

2. Con un secondo motivo si articola, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 7, 8 e 11 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 2. Osserva il ricorrente che il diniego del reclamato riconoscimento dello status di rifugiato era stato argomento dal giudice del merito sulla base della ritenuta non credibilità del narrato del richiedente e sulla valutata assenza di una persecuzione statale in suo danno. Si evidenzia che quanto narrato dal ricorrente – per giustificare le ragioni della fuga dal paese di origine – non era stato smentito da alcuna acquisizione istruttoria di segno contrario e che, peraltro, il tribunale non aveva adeguatamente argomentato in ordine all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

3. Con un terzo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione di legge in riferimento al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3 e art. 14, lett. c e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3. Si denuncia come inapplicato, anche in relazione alla negata protezione sussidiaria, il potere istruttorio officioso del tribunale per la concreta verifica delle condizioni socio-politiche del paese di provenienza del richiedente. Osserva, ancora, il ricorrente che le valutazioni espresse dal tribunale in ordine alle predette condizioni erano non attuali e poco approfondite, posto che il più recente rapporto informativo di Amnesty International 2017-2018 aveva invece evidenziato una situazione di forte insicurezza socio-politica e di violenza indiscriminata in Bangladesh violenza collegata alla contesa tra i partiti politici e alla prepotente attività persecutoria svolta dalle forze di polizia.

4. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1.

5. Il ricorso è infondato.

5.1 Il primo motivo di censura è inammissibile.

Osserva la Corte come la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisca, invero, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, let. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. Per contro, poichè il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, il giudizio di fatto circa la credibilità del ricorrente non può essere censurato sub specie della violazione di legge (Cass., 05/02/2019, n. 3340).

Ciò posto, va osservato come il ricorrente denunci la violazione di norme di legge relative alla valutazione sulla credibilità del richiedente protezione internazionale, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e fornendo inammissibilmente in questa sede – una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal Tribunale, che ha accertato in fatto la lacunosità e la inverosimiglianza della narrazione del ricorrente, peraltro limitandosi il ricorrente ad affermazioni di principio e ad allegazioni del tutto generiche circa una, non meglio precisata, documentazione che avrebbe comprovato la sua candidatura ad un partito politico, da cui sarebbe germinata la persecuzione da parte di un candidato dell’opposta fazione.

Ebbene, tale documentazione, che il Tribunale esclude sia stata prodotta, non è stata nè riprodotta nel ricorso, nè allegata allo stesso, e ciò in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, non consentendo pertanto alla Corte di legittimità di stabilirne la rilevanza. Nè è stato indicato dal ricorrente quando ed in quale atto sarebbe stata sottoposta al vaglio del Tribunale, al di là della sua produzione nella fase amministrativa.

Tali rilievi escludono, pertanto, la necessità per il Tribunale di operare accertamenti officiosi, peraltro comunque svolti, come si dirà, in ordine alla situazione socio-politica del Bangladesh. Ed invero, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass., 27/06/2018, n. 16925; Cass., 12/11/2018, n. 28862).

5.2 Il secondo motivo di censura è infondato in ragione della dichiarazione di inammissibilità del primo motivo.

Requisito essenziale per il riconoscimento dello “status” di rifugiato è, invero, il fondato timore di persecuzione “personale e diretta” nel Paese d’origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate. Il relativo onere probatorio – che riceve un’attenuazione in funzione dell’intensità della persecuzione – incombe sull’istante, per il quale è tuttavia sufficiente dimostrare, anche in via indiziaria, la “credibilità” dei fatti allegati, i quali, peraltro, devono avere carattere di precisione, gravità e concordanza (Cass. 14157/2016).

Nel caso concreto, come si è detto, la credibilità è stata, per contro, esclusa con valutazione di fatto mai censurata dal ricorrente.

5.3 Il terzo motivo è, in parte, inammissibile e, in altra parte, infondato. Anche qui ricorrono i profili di genericità ed irricevibilità della doglianza già evidenziati in riferimento al primo motivo.

E’, poi, evidente che i presupposti di cui all’art. 14, lett. a) e b) (condanna a morte e tortura) sono esclusi per effetto della non credibilità del richiedente. Quanto al riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, va rappresentata dal ricorrente come minaccia grave e individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass., 12/12/2018, n. 32064). Nel caso concreto, il Tribunale ha accertato mediante il ricorso a fonti internazionali aggiornate – la insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel Bangladesh, ed il mezzo ripropone in realtà questioni di merito, qui non valutabili.

5.4 Il quarto motivo è infondato.

Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria – secondo la disciplina previgente, applicabile ratione temporis (Cass. 4890/2019) – è evidente che l’attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 4455/2018), la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi. Il che è stato escluso, nel caso di specie, per i motivi suesposti. Nessuna rilevanza può, inoltre, attribuirsi di per sè al percorso scolastico intrapreso, tenuto conto anche del fatto che nel suo Paese il ricorrente ha studiato per dieci anni, sicchè – come affermato dal Tribunale – il suo diritto allo studio sarebbe comunque tutelato (Cass. 4455/2018).

Nessuna statuizione è dovuta sulle spese del giudizio di legittimità in ragione della mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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