Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17313 del 24/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 24/08/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 24/08/2016), n.17313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20401/2011 proposto da:

CREDITO EMILIANO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CALAMATTA N. 16, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA ROSATI,

rappresentato e difeso dall’avvocato DARIO TREVISAN, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

S.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FONTANELLA BORGHESE 72, presso lo studio dell’avvocato PAOLO

VOLTAGGIO, che lo rappresenta e di1ende unitamente all’avvocato ALDO

BARUFFI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza N. 236/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/05/2011 r.g.n. 165/82008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;

udito l’Avvocato ROSATI FEDERICA per delega TREVISAN DARIO;

udito l’Avvocato VOLTAGGIO PAOLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.D. concludeva con Credito Emiliano spa (gruppo Credem) un contratto di agenzia per il collocamento di prodotti bancari, finanziari, assicurativi promossi e collocati dall’Istituto di credito; la Convenzione tra le parti prevedeva una specifica regolamentazione dei rapporti contrattuali disciplinata dal documento denominato ” allegato C patti aggiuntivi”; il S. esponeva al Giudice del lavoro di Treviso che l’accordo tra le parti prevedeva un compenso a titolo di minimo provvisionale garantito (art. 3) pari ad Euro 61.974,82 subordinato al raggiungimento di alcuni obiettivi, che, ove non raggiunti, determinavano la riduzione in proporzionalmente del compenso per il periodo successivo. Per il S. la Credem nel 2003, assumendo che la raccolta fosse stata inferiore all’obiettivo assegnato, interrompeva indebitamente l’erogazione del compenso prima indicato; chiedeva quindi la corresponsione della somma dovuta, l’indennità di preavviso avendo rassegnato le dimissioni per l’inadempimento di controparte e la condanna della società al ristoro degli ulteriori danni subiti. Si costituiva il Credito emiliano (Credem) che contestava la fondatezza del ricorso ed in particolare l’interpretazione fornita dal lavoratore degli accordi intercorsi tra le parti; l’erogazione del compenso minimo era discrezionale in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati. La società spiegava domanda riconvenzionale deducendo che il ricorrente aveva violato il patto di stabilità (obbligo di mantenere il rapporto almeno per 48 mesi) in virtù dell’ingiustificato recesso e chiedeva la restituzione delle somme erogate ed il pagamento del preavviso per un credito complessivo di Euro 133.067,87, detratti gli effettivi crediti di parte ricorrente. Il Tribunale accoglieva parzialmente il ricorso e condannava la società al pagamento in favore del ricorrente della complessiva somma di Euro 41.617,70 a titolo di minimo provvisionale garantito e di indennità di mancato preavviso rigettando le altre domande del ricorso e le domande riconvenzionali della società. La Corte di appello di Venezia con sentenza del 27.5.2011 rigettava l’appello principale della società (gruppo Credem) e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale del S., condannava la stessa al pagamento della somma di Euro 32634,00 a titolo di indennità di risoluzione del rapporto ex art. 1751 c.c., con accessori come in sentenza. La Corte territoriale osservava che in fattispecie di contenuto identica la Corte di cassazione aveva confermato la tesi per cui l’art. 3 dell’Allegato già indicato stabiliva un minimo contrattuale stabilito e non un mero anticipo contrattuale come si evinceva dal tenore letterale della norma. Non era stata inoltre censurata la condivisibile argomentazione adottata dal Tribunale per cui, seguendo l’opinione della società, si sarebbe determinato un’ipotesi di condizione meramente potestativa da ritenersi invalida ex art. 1355 v.. o anche di violazione dell’art. 1370 c.c, per cui, trattandosi di condizioni generali di contratto, occorre interpretare la clausola contestata nel senso più favorevole alla parte debole del contratto. Infine, a seguire la tesi della società, la clausola di cui all’art. 3 essendo vessatoria presupporrebbe una doppia sottoscrizione. Spettava inoltre in accoglimento dell’appello del lavoratore l’indennità di risoluzione del rapporto ex art. 1751 c.c., posto che il ricorrente aveva prodotto documentazione attestante l’acquisizione di nuova clientela (rimasta anche dopo le dimissioni presso il Credito Emiliano – gruppo Credem), documentazione non contestata da controparte che aveva solo dedotto che il recesso non era legittimo, mentre invece il recesso era giustificato. Pertanto spettava la chiesta indennità che andava liquidata nella somma di cui alla sentenza, ricorrendone entrambi i presupposti di legge.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Credem con 4 motivi, resiste controparte con controricorso; le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si allega l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. L’esito dell’interpretazione offerta della clausola contrattuale ha portato ad autorizzare il S. a trattenere la prestazione anticipata senza alcun titolo, alterando il sinallagma contrattuale; l’allegato C) prevedeva in via anticipata l’erogazione di un compenso e non come l’allegato a) in via contestuale o successivo alla conclusione di ciascun affare; il mancato raggiungimento degli obiettivi pattuiti ha determinato il venir meno del titolo in base al quale si era conseguita l’anticipazione. Il mantenimento del beneficio era facoltativo e non obbligatorio, come si desume dalla clausola. Nessun diritto vantava il lavoratore neppure a ricevere pagamento riparametrato al ribasso, il minimo contrattuale era dovuto solo se l’obiettivo veniva raggiunto al 100%. La Corte di appello aveva contraddittoriamente osservato che l’interpretazione della clausola in parola da parte del Tribunale era stata contestata in appello e poi aveva dubitato dell’inammissibilità dell’atto di impugnazione.

Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1370 e 1341 c.c.. Non si era in presenza di condizioni generali di contratto e la clausola in discussione non rientrava in quelle elencate all’art. 1341 c.c.. L’art. 1341, è applicabile solo se il regolamento negoziale è stato predisposto da una delle parti.

Con il terzo motivo si allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 1355 c.c.. L’interpretazione offerta dalla Corte di appello non consentirebbe più di vincolare un contratto all’avveramento di una condizione che è legata non al mero arbitrio di una delle parti, ma a fattori soggettivi ed obiettivi atti ad incidere sulla volontà di queste.

I tre motivi vanno esaminati congiuntamente essendo correlati in quanto vertono sull’interpretazione della clausola contrattuale in ordine al “minimo contrattuale garantito”. La clausola predetta ha sui punti rilevanti questa formulazione (pag. 4 della sentenza impugnata) in alternativa all’applicazione della tabella provvisionale di cui all’allegato A… la Società Le riconoscerà per un periodo di 36 mesi dalla data di perfezionamento del mandato, un importo annuo.. pari ad Euro 61.974,82 a titolo di “minimo provvisionale garantito” alle seguenti condizioni: 3.1 l’erogazione di tale importo annuo è subordinata al raggiungimento… del seguente obiettivo… LM 6 (miliardi) pari a Euro… entro i primo 12 mesi, LM 9 (nove miliardi) pari ad Euro…3.2 il raggiungimento degli obiettivi verrà verificato dalla Società alle singole scadenze sopra indicate: nel caso in cui il grado di raggiungimento dello stesso risultasse inferiore al 100% la società si riserva fin d’ora il diritto di erogare il compenso “minimo provvisionale garantito” relativo al periodo successivo, in proporzione al grado di raggiungimento dell’obiettivo effettivamente ottenuto”. La clausola è stata dai Giudici di merito interpretata in primo luogo conformemente all’espressione utilizzata di “minimo garantito” e cioè secondo l’intenzione che traspare dall’espressione di attribuire un trattamento spettante in ogni caso; si è aggiunto che la stessa clausola prevede chiaramente in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo le conseguenze che consistono nella possibilità di ridurre percentualmente il compenso per il periodo successivo parametrandolo sul conseguimento dell’obiettivo effettivamente ottenuto. Se si fosse voluto attribuire un pagamento condizionato al raggiungimento dell’obiettivo non avrebbe avuto alcun senso l’utilizzazione dell’espressione “compenso minimo garantito” perchè non vi sarebbe stata alcuna garanzia. Non si tratta, quindi, di una anticipazione di provvisione ma, appunto, di un compenso “garantito” e sono chiaramente indicate le conseguenze, invece, previste per il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati che non consistono nel dovere di restituzione di quanto già corrisposto, che è stato appunto “garantito” come minimo, ma in una possibile parametrazione che riguarda il periodo successivo e sulla quale sussiste una discrezionalità della società. L’interpretazione offerta dalla Corte di appello appare congrua, logicamente motivata e conforme al tenore letterale della clausola in discussione e conforme alla giurisprudenza di questa Corte che in due occasioni (Cass. n. 665/09 e Cass. 666/09) ha l’ha già ritenuta plausibile ed immune da vizi logici o argomentativi e ha rilevato che la società non avrebbe 52511 indicato i canoni interpretativi specificamente violati, che a ben guardare non sono stati neppure indicati in questa sede posto che le difese articolate nel primo motivo non richiamano diversi canoni interpretativi e che suggeriscono solo che si ricadrebbe in una ipotesi di mancanza di titolo nella corresponsione delle somme in discussione che però è agilmente e razionalmente spiegabile proprio inquadrando tale corresponsione come l’erogazione di un trattamento minimo ” garantito” e non come un’anticipazione su future provvigioni. Circa il secondo ed il terzo motivo il richiamo compiuto nella sentenza impugnata agli artt. 1370, 1341 e 1355 c.c., è puramente confermativa (secondo la sentenza “rafforzativa”) dell’interpretazione letterale e funzionale della clausola in parola e non appare determinante, fermo rimanendo che la clausola in parola sembra effettivamente offrire delle condizioni generali di contratto predisposte dal preponente e non raggiunte consensualmente dalle parti, posto che emerge dalle stesse difese della società un diffuso contenzioso il che comprova l’utilizzazione generalizzata e non mutuata su specifiche situazioni della clausola di cui è causa e, quindi, appare comunque non implausibile il rinvio della sentenza impugnata agli artt. 1370 e 1341 c.c..

Con il quarto motivo si allega la violazione dell’art. 1751 c.c.. Il S. non aveva provato nè un aumento di fatturato, nè l’acquisizione di nuova clientela, nè la permanenza dei benefici oltre la conclusione del rapporto, onere della prova che spettava al ricorrente in primo grado. La società aveva contestato le somme richieste ex art. 1751 c.c., ed aveva eccepito il mancato onere della prova.

Il ricorso appare inammissibile in quanto solleva censure di merito dirette ad una rivalutazione del fatto” come tale inammissibili in quanto sede, censure che appaiono generiche ed anche eccentriche rispetto all’accertamento compiuto dai Giudici di appello che hanno dato atto che il S. aveva documentato l’acquisizione di nuove clientela ed anche il fatto che i nuovi clienti erano rimasti in capo al Credito Emiliano gruppo Credem e che la società non aveva contestato in alcun modo tale circostanza e tali documenti. Nel motivo si allega che era stata contestata la domanda e che si era dedotto che non era stata offerta la relativa prova (senza comprovarlo, peraltro) ma non si allega e documenta invece che vi sia stata una contestazione specifica dei documenti offerti di controparte che la Corte di appello correttamente, in quando non contestati specificamente, ha posto a fondamento del riconoscimento dell’indennità di cui all’art. 1751 c.c. (insieme all’altro presupposto e cioè la risoluzione per giusta causa del rapporto). Non vi è stata alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., ma la Corte di appello ha ritenuto probanti documenti non impugnati nel loro contenuto con specifiche allegazioni da controparte, il che, peraltro, non è avvenuto nemmeno in questa sede.

Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come al dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2016

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