Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17310 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 25/03/2021, dep. 17/06/2021), n.17310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2067/2015 R.G R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

CONTRO

Curatela del fallimento soc. SA.AL. s.a.s. di S.O.

& C., in persona del curatore pro tempore, nonchè

S.O., socio accomandatario fallito, rappresentati e difesi

dall’avv. Antonio Damascelli, presso cui sono elettivamente

domiciliati in Roma alla via Alberico II n. 33;

– controricorrenti –

e

L.G.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia n. 1236/10/14, pronunciata in data 10 aprile 2014, depositata

in data 29 maggio 2014 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 marzo 2021

dal consigliere Dott.ssa Giudicepietro Andreina.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle Entrate ricorre con sei motivi contro la Curatela del fallimento soc. SA.AL. s.a.s. di S.O. & C., in persona del curatore pro tempore, nonchè S.O. e L.G. per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 1236/10/14, pronunciata in data 10 aprile 2014, depositata in data 29 maggio 2014 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento per maggiori Irap ed Iva nei confronti della società ed Irpef nei confronti dei soci per l’anno di imposta 2006;

con la sentenza impugnata, la C.t.r. ha rilevato preliminarmente che l’amministrazione non aveva indicato puntuali e specifiche critiche alla sentenza appellata e non aveva offerto tesi idonee a scalfirla, ma si era limitata ad insistere sulla legittimità del proprio operato, nei confronti della SA.AL. s.a.s, con argomentazioni “dubbiose” e “prive dei necessari riscontri”;

secondo i giudici di appello, l’amministrazione finanziaria non aveva fornito alcuna prova a sostegno di quanto sostenuto, in particolare per quanto atteneva alla circostanza che la SA.AL. s.a.s. fosse consapevole e coartefice della frode fiscale ascritta alla NETCOM s.r.l.;

in particolare, la C.t.r. rilevava che lo stesso ufficio aveva ammesso che da parte della SA.AL. s.a.s. era stata effettivamente acquistata la merce, pagata dalla odierna appellata con assegni bancari emessi con la clausola della non trasferibilità;

pertanto il giudici di appello ritenevano che, non essendo in presenza di operazioni inesistenti, correttamente e legittimamente la SA.AL. s.a.s. aveva detratto l’IVA;

infine, la C.t.r. concludeva nel senso che la mancata consapevolezza della SA.AL. s.a.s. di partecipare ad una operazione fraudolenta emergeva, inoltre, dalla decisione adottata dal GIP del Tribunale di Bari che aveva chiuso il procedimento nei confronti del socio amministratore sig. S.O. con archiviazione per “mancanza di condizioni”, nonchè dalla circostanza che, per gli stessi fatti, ancorchè per un diverso anno di imposta (il 2005), era intervenuta la sentenza della C.T.R. della Puglia favorevole ai contribuenti;

a seguito del ricorso, la Curatela del fallimento soc. SA.AL. s.a.s. di S.O. & C., in persona del curatore pro tempore, e S.O. resistono con controricorso, mentre L.G. è rimasto intimato;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 25 marzo 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1, c.p.c., i primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

il P.G. T. Basile ha fatto pervenire requisitoria scritta con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53 e art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

con la sentenza impugnata, la C.t.r. ha rilevato preliminarmente che l’amministrazione non aveva indicato puntuali e specifiche critiche alla sentenza appellata e non aveva offerto tesi idonee a scalfirla, ma si era limitata ad insistere sulla legittimità del proprio operato, nei confronti della SA.AL. s.a.s, con argomentazioni “dubbiose” e “prive dei necessari riscontri”;

secondo la ricorrente, invece, stante l’effetto devolutivo dell’appello, è senz’altro sufficiente, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, la riproposizione delle eccezioni rigettate dal primo giudice;

il motivo è inammissibile, in quanto la C.t.r. non è pervenuta ad un’affermazione di inammissibilità dell’appello, ma ha solo stigmatizzato la scarsa attitudine dell’impugnazione a scalfire il ragionamento della prima decisione, esaminando comunque il merito e fondando la propria decisione di rigetto su un duplice ordine di motivi, attinenti sia alla mancata prova da parte dell’ufficio della consapevolezza della società in ordine alla frode, sia alla specifica dimostrazione fornita dalla contribuente della propria buona fede;

con il secondo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7,artt. 408,409,554 e 654 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

con la sentenza impugnata la C.t.r. ha affermato che la mancata consapevolezza della SA.AL. s.a.s. di partecipare ad una operazione fraudolenta emergeva, inoltre, dalla decisione adottata dal GIP del Tribunale di Bari che aveva chiuso il procedimento nei confronti del socio amministratore sig. S.O. con archiviazione per “mancanza di condizioni”;

secondo la ricorrente, tale statuizione è in contrasto con il principio di autonomia del processo penale e di quello tributario;

il motivo è fondato e va accolto;

in primo luogo, contrariamente a quanto eccepito da parti controricorrenti, deve ritenersi che il motivo sia ammissibile, in quanto la sentenza impugnata si fonda su due rationes decidendi, l’una relativa alla mancata prova da parte dell’amministrazione della consapevolezza della contribuente della frode al fisco mediante operazioni soggettivamente inesistenti, l’altra relativa all’avvenuta dimostrazione della buona fede dei contribuenti, che emergerebbe dall’archiviazione in sede penale;

costituisce principio giurisprudenziale consolidato quello per cui, in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna;

ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass.Civ., 28 giugno 2017, n. 16262);

questa Corte ha anche avuto modo di chiarire che, nel caso in cui i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, la sentenza penale può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta sentenza è destinata ad operare (Cass.Civ., 22 maggio 2015, n. 10578), sicchè essa rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva (Cass., 24 novembre 2017, n. 28174; Cass., 13 febbraio 2015, n. 2938; Cass., 27 febbraio 2013, n. 4924; Cass., 28 ottobre 2016, n. 21873);

nel caso di specie, il giudice tributario ritiene che il provvedimento di archiviazione emesso in sede penale di per se stesso costituisca la prova della buona fede dei contribuenti;

deve, però, rilevarsi che, se nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, alcun rilievo specifico può assumere di per sè il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale ex art. 408 c.p.p., che non rientra neppure tra i provvedimenti dotati di autorità di cosa giudicata ai sensi dell’art. 654 c.p.p. (v. già Cass. 8 marzo 2001, n. 3423 con riferimento a fattispecie cui si applicava la previgente disciplina di cui alla L. n. 429 del 1982, art. 12; vedi, più di recente, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16649 del 04/08/2020);

pertanto, la sentenza impugnata incorre nella denunziata violazione di legge;

con il terzo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

con la sentenza impugnata, la C.t.r rilevava che, per gli stessi fatti, ancorchè per un diverso anno di imposta (il 2005), era intervenuta la sentenza della stessa C.T.R. favorevole ai contribuenti;

secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe erroneamente attribuito efficacia di giudicato ad una sentenza resa in un differente giudizio relativo a diversa annualità, peraltro senza che la stessa fosse passata in giudicato;

il motivo è inammissibile;

in linea di principio è vero che il giudicato formatosi su di una diversa annualità non esplica automaticamente un’efficacia espansiva, in quanto, come è stato più volte affermato da questa Corte, “nel processo tributario, l’effetto vincolante del giudicato esterno in relazione alle imposte periodiche concerne i fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di annualità, abbiano carattere stabile o tendenzialmente permanente mentre non riguarda gli elementi variabili, destinati a modificarsi nel tempo” (vedi Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6953 del 08/04/2015; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17760 del 06/07/2018″;

come rilevato dalla ricorrente, nel caso di specie il giudice di appello non aveva neanche la prova della definitività della sentenza relativa alla diversa annualità, contrariamente al principio secondo cui “affinchè il giudicato esterno possa fare stato nel processo è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria” (Sez. 3, Ordinanza n. 20974 del 23/08/2018);

invero, la sentenza richiamata in motivazione dal giudice di appello era stata impugnata con ricorso in cassazione (attualmente deciso con la sentenza di questa Corte n. 29903/2020, che ha disposto la cassazione con rinvio alla C.t.r. della Puglia);

tuttavia, il riferimento del giudice di appello ad una sentenza emessa dalla stessa C.t.r. in ordine ad una diversa annualità (2005), omettendo dichiaratamente di verificare se fosse dimostrato il passaggio in giudicato di tale decisione (nella sentenza impugnata si legge che “a quanto è dato sapere… ad oggi non sarebbe stato proposto ricorso in Cassazione “), costituisce all’evidenza una semplice argomentazione a sostegno della motivazione adottata e non una vera e propria ratio decidendi;

pertanto, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione, che è volto a censurare un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam, e non costituente ratio decidendi della medesima (Cass. Sez. L, Sentenza n. 23635 del 22/11/2010);

con il quarto motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1 ed all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

secondo la ricorrente, il giudice chiamato a dirimere la vertenza sull’annualità 2006, avrebbe dovuto sospendere il giudizio in attesa della decisione definitiva sull’annualità 2005, ove avesse ravvisato un rapporto di pregiudizialità necessaria;

il motivo è infondato e va rigettato;

in generale questa Corte ha affermato che “la sospensione necessaria del processo, di cui all’art. 295 c.p.c., è applicabile anche al processo tributario, qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità, tale che la definizione dell’uno costituisca indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 21765 del 20/09/2017);

nella fattispecie in esame, però, la ricorrente non evidenzia alcun rapporto di pregiudizialità necessaria tra i processi riguardanti le diverse annualità, che di regola hanno una propria autonomia, riguardando differenti periodi di imposta;

con il quinto motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, come richiamato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1;

secondo la ricorrente, il giudice di appello non si sarebbe attenuto al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, decidendo solo sull’estraneità della SA.AL. s.a.s. alla frode fiscale posta in essere dalla Netcom s.r.l., omettendo di pronunciarsi sull’altro fondamentale rilievo contenuto nell’avviso di accertamento, sulla rideterminazione induttiva del reddito d’impresa;

il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto non è dato comprendere quali siano le questioni specifiche sulle quali il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciarsi, non essendo riportato, nè l’avviso di accertamento, nè le questioni oggetto di impugnativa da parte dei contribuenti, nè, tanto meno, i motivi di appello sui quali si asserisce vi sia stata l’omissione di pronuncia;

piuttosto, dalla lettura della sentenza impugnata, sembrerebbe che il giudice di secondo grado abbia rigettato in toto l’appello, ritenendo che l’accertamento dell’amministrazione finanziaria non fosse legittimo, attesa l’effettività delle operazioni di acquisto ed il reale pagamento del prezzo, che avrebbero reso complessivamente infondata la pretesa dell’amministrazione circa l’indetraibilità dell’iva e l’indeducibilità dei costi, nonchè circa la stessa determinazione induttiva del reddito;

pertanto, le eventuali questioni relative alla corretta determinazione induttiva del reddito ed alla deducibilità dei costi, non specificamente esaminate dal giudice di appello, potranno comunque formare oggetto del giudizio di rinvio;

con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 18, 19 e art. 21, comma 7, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

in particolare, la ricorrente lamenta la violazione da parte della C.t.r. dei principi della giurisprudenza comunitaria e di legittimità in punto di detraibilità dell’IVA, di operazioni commesse in frode, di consapevolezza del cessionario della natura fraudolenta dell’operazione, di possibilità, per l’Amministrazione, di fornire la suddetta prova mediante il ricorso a presunzioni;

nella prospettazione della ricorrente, la C.t.r., riconosciuta la natura di “cartiera” della Netcom s.r.l., a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti, avrebbe omesso di appurare l’assenza di un consapevole coinvolgimento nella frode della SA.AL s.a.s., nonostante gli indizi univoci offerti dall’ufficio, incorrendo in un’evidente violazione delle norme indicate in rubrica;

il motivo è fondato e va accolto;

la C.t.r. ha applicato in maniera non corretta i principi in tema di operazioni fraudolente poste in essere mediante meccanismi tali da consentire sia la detrazione dell’IVA che la deduzione dei costi inerenti l’attività di impresa, valorizzando, quale unico elemento decisivo, l’effettività delle operazioni di acquisto, con l’avvenuto pagamento della merce e la sua effettiva consegna;

come rilevato dal questa Corte nell’ordinanza n. 29903/2020 (emessa tra le stesse parti per l’annualità 2005) tale motivazione contrasta con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, deve provare, anche in via indiziaria, che la prestazione non è stata resa dal fatturante, spettando, poi, al contribuente l’onere di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti. Nè, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poichè trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente” (Cass. sez. 5, 24 settembre 2014, n. 20059);

nel caso di specie, come riportato dall’ufficio nell’avviso di accertamento e negli atti difensivi, dal processo verbale di constatazione risultava che la Netcom s.r.l. era stata costituita in data 11 marzo 2001, ma aveva iniziato ad operare nel campo del commercio all’ingrosso dei prodotti di telefonia ed elettrodomestici a partire dal mese di giugno del 2005, dopo il cambio di denominazione, il primo trasferimento della sede legale e la variazione della compagine sociale;

nell’arco di attività del secondo semestre del 2005, la Netcom s.r.l. aveva ricevuto fatture d’acquisto da operatori commerciali di paesi UE, per prodotti di telefonia e televisori al plasma, per complessivi Euro 20.701.630,00, nonchè da operatori commerciali della Repubblica di San Marino per complessivi Euro 976.151,00, fatture composte per la quasi totalità (94,73%) da presunti acquisti effettuati senza addebito dell’IVA, ai sensi di quanto previsto dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 38, comma 2 e dal D.M. 24 dicembre 1993, laddove, per Vanno di causa (2006), la cedente aveva contabilizzato presunti acquisti per complessivi Euro 14.247.661,00;

dall’esame della documentazione esibita e dagli esiti dei controlli incrociati effettuati, peraltro, risultava che la merce acquistata fuori del territorio nazionale che, nella normale pratica commerciale, avrebbe dovuto subire all’atto della successiva rivendita a clienti italiani un ricarico almeno fino a valore di mercato ed essere assoggettata ad IVA, era stata rivenduta ai clienti italiani, compresa la SA.AL. S.a.s., “sottocosto”, grazie al guadagno ottenuto dall’IVA indebitamente lucrata e non versata all’erario;

in ordine alle modalità di regolazione finanziaria degli acquisti effettuati, l’amministrazione finanziaria rilevava che le fatture emesse dalla Netcom s.r.l. evidenziavano, in maniera anomala ed inusuale, la scadenza dei pagamenti il giorno immediatamente successivo a quello di emissione delle stesse e senza alcuna indicazione delle consuete dilazioni e/o rateazioni;

secondo la ricorrente, il pagamento integrale ed immediato di forniture di notevole importo, che non trovava alcun riscontro nella normale pratica commerciale, costituiva, insieme con l’assenza di magazzino del fornitore, la rivendita della merce sottocosto, la regolazione finanziaria degli acquisti il giorno immediatamente successivo, un ulteriore indizio del consapevole coinvolgimento della SA.AL. s.a.s. nella frode fiscale accertata;

tali elementi non sono stati in alcun modo valutati dal giudice di appello che, nell’affermare che l’amministrazione non aveva dimostrato la consapevolezza della frode fiscale dei contribuenti, non ha valutato se gli indizi evidenziati dall’ufficio fossero sufficienti a fornire la prova richiesta;

pertanto la sentenza impugnata, che è incorsa nella denunziata violazione di legge, va cassata con rinvio alla C.t.r. della Puglia, in diversa composizione;

dunque, il ricorso va accolto limitatamente al secondo, e sesto motivo, rigettato il quarto e dichiarati inammissibili i rimanenti;

la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla C.t.r. della Puglia, in diversa composizione, che provvederà anche alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e sesto motivo di ricorso, rigettato il quarto e dichiarati inammissibili i rimanenti;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.t.r. della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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