Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17309 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 17/06/2021), n.17309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2350/2015 R.G. proposto da:

Curatela del Fallimento (OMISSIS) s.p.a., in persona delle Curatrici

p.r., con l’avv. Carlo Ciminiello e con domicilio eletto presso lo

studio dell’avv. Livia Ranuzzi in Roma, al Viale del Vignola n. 5;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente-

avverso la sentenza della Commissione tributaria itggionale per la

Puglia – Bari, n. 1272/14/2014, pronunciata il 195 marzo 2014 e

depositata il 94 giugno 2014, non notificata;

Lette le conclusioni scritte del Sost. Procuratore Generale che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 marzo 2021

dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello Maria.

 

Fatto

RILEVATO

1.La società (OMISSIS) s.p.a. era attinta da un avviso di accertamento emesso dalla Direzione provinciale di Bari sulla scorta di un p.v.c. assunto in data 30.11.2010 dalla Direzione Regionale della Puglia. L’atto impositivo aveva ad oggetto la ripresa a tassazione a fini IVA e Irap per l’anno d’imposta 2007.

2. La società contribuente adiva il giudice di prossimità svolgendo plurime censure tra cui l’illegittimità dell’avviso per essere stato il suo atto presupposto – ossia il p.v.c. – assunto dalla Direzione regionale, incompetente nella verifica fiscale avviata nei confronti di un contribuente medio. Costituitosi l’Ufficio, la Commissione tributaria provinciale accoglieva il gravame sulla censura preliminare della carenza del potere di controllo e verifica in capo alla Direzione regionale sulla società, non classificabile come grande contribuente. Il suo volume d’affari era infatti pari a 71.222,086 Euro e, comunque, inferiore al tetto dei 100.000,00 Euro, costituenti il discrimen per l’individuazione della direzione competente a termini del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 13.

3.Insorgeva con ricorso in appello l’Amministrazione finanziaria, cui resisteva la società contribuente. La Commissione tributaria regionale, previa riforma della sentenza impugnata, accoglieva il gravame confermando la titolarità, anche in capo alle Direzioni regionali, di un generale potere di controllo.

4. Medio tempore, la società contribuente veniva dichiarata fallita, sicchè ricorre avanti a questa Corte la Curatela del Fallimento (OMISSIS) s.p.a., svolgendo quattro motivi di ricorso. Resiste l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso.

5. Il Sost. Procuratore Generale ha deposito conclusioni scritte, ove chiede il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1.Con il primo motivo la parte ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 2909 c.c.- denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1.

1.1 In particolare censura la sentenza per non essersi la CTR avveduta del giudicato interno formatosi sul punto specifico su cui si era pronunciato il giudice di primo grado, ossia la competenza o meno delle Direzioni regionali ad esercitare i poteri di controllo sui contribuenti con volume d’affari inferiore ai 100.000.000,00 Euro. Afferma infatti che la censura svolta dall’Amministrazione finanziaria avrebbe deviato su profili estranei all’oggetto della decisione impugnata, involgendo il più generale potere di controllo delle direzioni regionali nonostante l’abrogazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 2, con l’effetto di far cadere in giudicato interno il reale profilo in contestazione tra le parti, ossia il discrimen tra i poteri attribuiti alle direzioni provinciali e regionali in base alla tipologia del contribuente (“grande” o “medio”).

Il motivo è infondato.

2. Benchè corrisponda al vero che, in sede di appello, l’Amministrazione finanziaria si sia diffusamente dilungata sui generali poteri di controllo astrattamente riconoscibili in capo alle direzioni regionali a seguito dell’evoluzione normativa operata per effetto dell’abrogazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 2, occorre dare atto che la doglianza svolta dall’Ufficio in sede di gravame sia stata comunque ricondotta, ancorchè sinteticamente, alla portata applicativa del del D.L. n. 185 del 2008, art. 27 e ai grandi contribuenti. Ne dà prova la stessa ricorrente a pag. 13 del ricorso allorquando, in ossequio al principio di autosufficienza, ha cura di trascrivere l’atto di appello promosso dall’Amministrazione finanziaria. Stante la specifica, ancorchè sintetica, contestazione sul punto nodale della decisione di primo grado, non può dirsi calato il giudicato interno su di essa.

Il motivo deve quindi essere rigettato.

2. Con il secondo motivo la parte ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1.

2.1 Segnatamente la Curatela ricorrente si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi la CTR pronunciata sullo specifico motivo (rectius: eccezione) svolto dalla contribuente in ordine alla illegittimità dell’atto impositivo in ragione della nullità del presupposto p.v.c., asseritamente assunto in violazione del citato D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 13.

3. Con il terzo motivo, invece, la contribuente deduce la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 13 convertito con L. 28 gennaio 2009, n. 2 in parametro all’art. 360 c.p.c., n. 3), richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1. In particolare, lamenta la violazione e falsa applicazione di legge per non aver la CTR fatto buon governo del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 13, convertito con L. 28 gennaio 2009, n. 2. La disciplina invocata, invero, ascriverebbe alla competenza delle Direzione regionali i controlli e le verifiche fiscali dei soli grandi contribuenti, ossia coloro i quali hanno raggiunto un volume di affari, ricavi e compensi non inferiore ai 100.000.000,00 Euro. Per contro la società aveva dichiarato, per l’anno 2007 quale periodo d’imposta oggetto di accertamento, un volume d’affari inferiore – e pari ad Euro 71.222.086,00 (o Euro 70.860.826,00 – vedasi pagg. 6-38-39 del ricorso per cassazione) – non contestato dall’Amministrazione finanziaria, sì da essere sottratta ai poteri di verifica della Direzione regionale.

4. I due motivi di ricorso, strettamente connessi tra loro, possono essere trattati congiuntamente e vanno respinti.

4.1 Orbene, con recentissimo arresto giurisprudenziale, a conferma dell’orientamento già assunto con la decisione di questa Corte n. 20915 del 2014, e dopo aver ricordato il dettato del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 13 e art. 4, comma 3, è stato così deciso: “Questa Corte (sez. V, n. 33289 del 2018, Rv. 652121-01) ha avuto modo di affermare che: In tema di accertamenti tributari, il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, conv. in L. n. 2 del 2009, non ha attribuito alle Direzioni regionali delle entrate una competenza in materia di accertamento fiscale prima inesistente, ma ha inteso fondare su una norma di fonte primaria il riparto delle competenze relative all’attività di verifica fiscale, istituendo una riserva esclusiva di competenza, in relazione alla rilevanza economico fiscale del soggetto accertato, a favore della Direzione regionale, già titolare, per disposizione regolamentare, della competenza a svolgere attività istruttoria, utilizzabile dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi. Peraltro, il presente motivo non eccepisce che la direzione regionale abbia condotto una verifica ante 2009 senza averne il potere, nè si versa nell’ipotesi in cui la verifica contro un “grande contribuente” sia stata compiuta da ufficio diverso dalla Direzione Regionale, ma ci si duole della situazione opposta, cioè del fatto che la Direzione regionale abbia effettuato una verifica, successiva al 2009 contro un soggetto che non rientrava nella sua competenza perchè non era “grande contribuente”. In sostanza, l’atto sarebbe viziato da una sorta di incompetenza “per materia” o “per valore”, o, per meglio dire, da una violazione delle regole interne dell’Agenzia di ripartizione dei compiti. In questo senso, sez. V, n. 20915 del 2014, all’esito di una approfondita ricognizione della normativa in materia, ha affermato che: Alle Direzioni regionali delle entrate (DRE) deve riconoscersi pertanto, per disposizione regolamentare, la competenza a svolgere anche attività istruttoria (ispezioni, accessi, controlli, acquisizione informazioni e documenti, redazione dei relativi processi verbali) i cui risultati potranno essere utilizzati dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi” da cui si deduce che la DRE, nel cui ambito rientra l’ufficio “grandi contribuenti” può compiere accertamenti relativi a soggetti che rientrerebbero nella competenza della Direzione Provinciale” (Cfr. Cass., V, n. 29070/2020).

4.2 In buona sostanza le DRE, nonostante l’evoluzione normativa, hanno conservato tutti i loro poteri di verifica i cui esiti, tra cui vanno annoverati a tutti gli effetti anche i p.v.c., ben possono essere utilizzati dalle direzioni provinciali per l’adozione degli atti impositivi di loro competenza.

4.3 A margine la considerazione, poi, che non è sancita alcuna nullità in caso di verifica condotta da una direzione regionale in luogo di quella provinciale, sicchè i motivi scontano anche questo profilo di infondatezza (Cfr. Cass., V, n. 29070/2020).

4.4 La fattispecie in esame aderisce perfettamente al caso già deciso da questa Corte, e dalle cui conclusioni non v’è motivo di discostarsi, sicchè i due motivi vanno congiuntamente respinti.

5. Con l’ultimo motivo di ricorso la ricorrente invoca la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 13 convertito con L. 28 gennaio 2009, n. 2 in parametro dell’art. 360 c.p.c., n. 3), richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1. In particolare, ne censura la legittimità nella parte in cui è stata avvalorata “l’acquisizione irrituale” di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento, ritenendoli utilizzabili, fatta salva la verifica della loro attendibilità. Assume invero la parte ricorrente che, provenendo detti elementi – rectius il p.v.c. – da un organo (DRE) incompetente, non si verterebbe in una mera ipotesi di elementi inutilizzabili, quando dell’assenza dell’atto presupposto, tale da inficiare la legittimità del provvedimento (atto impositivo) conclusivo.

5.1 Le argomentazioni svolte in relazione al secondo e al terzo motivo, nella parte in cui si è dato atto che i risultati dell’attività istruttoria condotta dalle Direzioni regionali delle entrate (DRE) possono essere utilizzati dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi di loro competenza, sconfessano anche il quarto motivo svolto.

6. In ogni caso, appare opportuno ricordare i principi già rassegnati in materia da questa Corte e secondo cui “non esiste nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, lo stesso valendo all’interno del “nuovo” codice di procedura penale (v. art. 191 c.p.p.), sicchè “l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai – fini dell’accertamento fiscale non comporta la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso” (cfr. Cass. n. 8344 del 2001; conf. Cass. n. 13005 del 2001, n. 1343 e n. 1383 del 2002, n. 1543 e n. 10442 del 2003), anche con riferimento all’attività della guardia di finanza che, cooperando con gli uffici finanziari, proceda ad ispezioni, verifiche, ricerche ed acquisizione di notizie, non osservando la disciplina processual-penalistica, avendo carattere amministrativo – con conseguente inapplicabilità dell’art. 24 Cost., in materia di inviolabilità del diritto di difesa. Tale affermazione viene tuttavia completata dalla precisazione che non siano violate le dette disposizioni del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 52 e 63-sul potere degli uffici finanziari e del giudice tributario di avvalersene a fini meramente fiscali (cfr. Cass. n. 8990/2007; Cass. n. 18077/ 2010)” (Cfr. Cass., V, n. 13711/2018).

7. In definitiva la CTR ha fatto buon governo della disciplina e dei principi applicabili alla fattispecie in esame, sicchè il ricorso va complessivamente respinto.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la Curatela ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro 7.800,00 (settemilaottocento/00), oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

 

 

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