Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17308 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. II, 19/08/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 19/08/2020), n.17308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1764-2016 proposto da:

B.B.B., ammesso al patrocinio a spese dello Stato,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Pierluigi Da Palestrina 63,

presso lo studio dell’avvocato Mario Contaldi, rappresentato e

difeso unitamente dall’avvocato Mariagrazia Gammarota;

– ricorrente –

contro

Comune di Genova, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Giulio

Cesare 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Anna Morelli;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 825/2015 della Corte d’appello di Genova,

depositata il 17/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2019 dal Consigliere Dr. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

– il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso notificato il 7 gennaio 2016 da B.B.B. nei confronti del Comune di Genova avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova depositata il 17 giugno 2015 che respingeva il suo gravame confermando la sentenza di primo grado che lo condannava alla restituzione in favore del Comune dei terreni asseritamente posseduti da oltre ventanni;

– il contenzioso tra le parti era insorto a seguito di citazione del 2010 con cui l’odierno ricorrente aveva convenuto in giudizio il Comune per sentir dichiarare l’intervenuta usucapione di alcuni terreni che sosteneva di avere posseduto ininterrottamente per oltre vent’anni;

– costituendosi in giudizio il Comune aveva replicato la non usucapibilità dei beni oggetto di domanda formulando in via riconvenzionale domanda di condanna dell’attore alla loro restituzione oltre al risarcimento dei danni;

– all’esito del giudizio il tribunale adito rigettava la domanda giudicando i terreni in questione non usucapibili;

– proponeva gravame l’attore impugnando la mancata assunzione dei testi dedotti, la violazione delle disposizioni della L. n. 865 del 1971 sull’acquisizione di aree destinate all’edilizia economica e popolare nonchè di quelle sull’uso di tali beni facenti parte del patrimonio dell’ente territoriale;

– la Corte d’appello di Genova ammetteva le prove testimoniali richieste dalle appellante ed all’esito delle stesse respingeva l’impugnazione;

-con riguardo ai motivi d’appello la corte territoriale argomentava osservando che il Comune di Genova aveva predisposto un piano di zona finalizzato alla realizzazione di un progetto residenziale economico o popolare che includeva anche i terreni oggetto di causa; pertanto in applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 35 i terreni in questione erano entrati a far parte del patrimonio indisponibile del Comune;

– il giudice d’appello aggiungeva che l’asserito mancato utilizzo dei terreni espropriati al pubblico servizio non era di per sè sufficiente a far perdere loro la qualità di beni del patrimonio indisponibile della pubblica amministrazione, dal momento che essi potevano essere sottratti alla loro destinazione unicamente in forza di un atto legislativo come previsto dall’art. 828 c.c., comma 2;

– riteneva, perciò, di confermare la non usucapibilità dei terreni stante il vincolo di destinazione pubblico istituito con legge al contempo valutando non decisivo il concreto impiego per la pubblica finalità alla stregua della giurisprudenza che, diversamente da quella invocata dall’appellante, aveva riconosciuto che la declassificazione dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile la cui destinazione all’uso pubblico deriva da una determinazione legislativa, doveva avvenire in virtù di un atto di pari rango, nel caso di specie mancante;

– nè rilevava nel senso della usucapibilità dei terreni la facoltà di cedere gli immobili a terzi consentita dal medesima previsione della L. n. 865 del 1971, art. 35, comma 11, dal momento che tali terreni non facevano parte di quelli soggetti a quella previsione;

– la corte territoriale aggiungeva, infine, come neppure le deposizioni testimoniali potessero rilevare in senso favorevole all’appellante stante il tenore generico e contraddittorio delle dichiarazioni medesime;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta con tempestivo ricorso affidato a tre motivi ed illustrato da memoria ex art. 380 bis c.p.c. cui resiste con controricorso il Comune di Genova;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 865 del 1971 della L. n. 167 del 1963 per non avere considerato che il Comune di Genova non aveva soddisfatto l’onere probatorio a suo carico di dimostrare rispetto ai terreni di causa l’esistenza del doppio requisito, soggettivo (atto amministrativo di destinazione) e oggettivo (effettività della destinazione) al fine della loro riconducibilità al patrimonio indisponibile;

– aggiungeva il ricorrente che in ragione della previsione normativa della L. n. 865 del 1971, art. 35 comma 11 che consentiva la cessione delle aree destinate all’edilizia economica e popolare, doveva dedurre la loro riconducibilità al patrimonio disponibile del Comune e la conseguente usucapibilità da delle stesse: deponevano secondo il ricorrente a conferma di detto assunto la Delib. comunale del 25 gennaio 2002 e il successivo atto del 2 agosto 2004 con cui il Comune di Genova aveva venduto ad una società terza una vasta area di terreno ricadente nella medesima ed avente la medesima destinazione;

– il ricorrente riteneva altresì non pertinente la giurisprudenza richiamata dalla corte territoriale e citava a conferma della fondatezza della censura il precedente giurisprudenziale di questa Corte n. 3258 del 1973;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione degli artt. 822,826 e 828 c.c. sull’usucapibilità dei beni facenti parte del patrimonio di un ente territoriale;

– i primi due motivi, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati;

– come affermato dalla corte territoriale è il tenore letterale della L. n. 865 del 1971, art. 35 che espressamente attribuisce alle aree comprese nei piani approvati a norma della L. n. 167 del 1962 la qualifica di patrimonio indisponibile del Comune, in vista della attuazione di un progetto volto a soddisfare esigenze di edilizia economica e popolare;

– tali aree sono pertanto sottoposte al regime di cui agli artt. 826 ed 828 c.c. e per quanto riguarda la loro destinazione l’art. 828 c.c., comma 2, specificamente dispone che i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano;

– a tal proposito questa Corte ha ripetutamente affermato che la declassificazione dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile, la cui destinazione all’uso pubblico deriva da una determinazione legislativa, deve avvenire in virtù di atto di pari rango, e non può, dunque, trarsi da una condotta concludente dell’ente proprietario, postulando la cessazione tacita della patrimonialità indisponibile, così come della demanialità, che il bene abbia subito un’immutazione irreversibile, tale da non essere più idoneo all’uso della collettività, senza che a tal fine sia sufficiente la semplice circostanza obiettiva che detto uso sia stato sospeso per lunghissimo tempo (cfr. Cass. 2962/2012; per l’affermazione consolidata del principio cfr. Cass. 7269/2003; id.4430/2009; S.U. 19366/2019);

– non è quindi pertinente il richiamo al precedente della pronuncia di questa Corte n. 3258 del 1973 relativo al vincolo derivante da un atto amministrativo e non da un atto legislativo;

– nè, contrariamente a quanto sostenuto depongono a favore dell’usucapibilità dei terreni le delibere comunali del 25 gennaio 2002 ed il rogito del 2 agosto 2004, peraltro non trascritti, che come dedotto dal controricorrente non fanno altro che confermare il ricorso da parte del Comune alla facoltà prevista dalla L. n. 865 del 1971, art. 35, comma 11 nel contesto della destinazione dell’area al programma di edilizia residenziale economica popolare;

– con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di più fatti decisivi per il giudizio per avere la corte territoriale statuito in ordine alla delibazione delle risultanze testimoniali secondo una motivazione apparente e in contrasto con il tenore delle deposizioni testimoniali;

– la doglianza è inammissibile per più ragioni;

– è, infatti, inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, avendo la sentenza d’appello – emessa in un giudizio introdotto dopo la riforma del D.L. n. 83 del 20112 conv. con modificazioni con la L. n. 134 del 2012 – confermato la decisione di primo grado;

– è pure inammissibile poichè essa involge un controllo della motivazione non più consentito a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 secondo l’ormai consolidata interpretazione data dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053 del 2014 come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. Cass.23828/2015;id. 23940/2017; id.22598/2018);

-nel caso di specie la motivazione, per quanto sintetica, è espressa in relazione alle prove testimoniali assunte dal giudice d’appello con la conseguenza che la censura appare auspicare, piuttosto, una diversa conclusione circa la sussistenza del possesso ultraventennale;

– l’esito sfavorevole di tutti i motivi giustifica il rigetto del ricorso e, in applicazione del principio di soccombenza, la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente che liquida in Euro 2500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

 

 

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