Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17307 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. II, 19/08/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 19/08/2020), n.17307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 660-2016 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Paolo Emilio

34, presso lo studio dell’avvocato Dario Manna, rappresentato e

difeso dagli avvocati Salvatore Trani, Francesco Trani;

– ricorrente –

contro

T.M., D.C.F., elettivamente domiciliati

in Roma, Via A. Depretis 60, presso lo studio dell’avvocato

Donatella Cerè, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Antonio Iacono;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2051/2015 della Corte d’appello di Napoli,

depositata il 06/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2019 dal Consigliere Dr. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

– il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso tempestivamente notificato il 25 novembre 2015 da M.S. quale procuratore di C.D., T.C. e T.B. nei confronti di T.M. e D.C.F. avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli che, in accoglimento dell’appello proposto da questi ultimi, dichiarava inammissibile la domanda proposta dall’odierno ricorrente nella allegata qualità di procuratore;

– il contenzioso tra le parti era insorto a seguito di citazione notificata nel 2007 da M.S. nella qualità di procuratore generale di C.D., T.C. e T.B., tutte residenti in (OMISSIS), al fine di sentir accertare il diritto di comproprietà delle mandanti nella misura del 25% su un fabbricato rurale ed annesso terreno nonchè al fine di accertare che i convenuti T.M. e D.C.F. erano comproprietari dello stesso cespiti nella minore misura del 50% dell’intero; il M. agiva altresì perchè venisse dichiarata la nullità dell’atto di trasferimento a loro favore da parte del sig. Z.A. nella parte in cui aveva loro venduto la quota del 50% di cui non era, in realtà, proprietario;

– accolte le domanda attoree dal giudice di primo grado, a seguito di gravame dei convenuti la corte d’appello napoletana con la sentenza qui impugnata accertava l’intervenuta revoca della procura generale rilasciata al M. con atto dell’11 gennaio 2007 dalle sigg.re C. e T. a seguito di successivo atto intervenuto il 29 maggio 2007, in epoca anteriore alla notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado risalente al 4 giugno 2007;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dal M. con ricorso affidato a tre motivi cui resistono con controricorso T.M. e D.C.F.;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– il primo motivo del ricorso denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1335 e 1724 c.c. per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto il difetto di legittimazione processuale in capo al M. per effetto della revoca della procura generale nonostante la mancanza di alcuna comunicazione da parte delle mandanti signore C. e T., richiamando a sostegno dell’assunto le pronunce della cassazione e di merito che hanno puntualizzato la natura ricettizia della dichiarazione di revoca della procura, la quale produce effetto dal momento di sostituzione del nuovo procuratore;

– parte ricorrente denuncia, altresì, la violazione dell’art. 182 c.p.c. per non avere il giudice d’appello promosso la sanatoria del difetto di rappresentanza assegnando un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio a seguito del rilevato difetto di legittimazione processuale;

– il secondo motivo denuncia due profili: il primo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, attiene alla violazione e falsa applicazione dell’art. 77 c.p.c. mentre il secondo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– ad avviso di parte ricorrente la corte d’appello non aveva valorizzato la circostanza che il mandatario M. non era affatto a conoscenza della revoca della procura generale;

– in altri termini ove la corte territoriale avesse considerato il comportamento silenzioso ed inerte delle mandanti nei confronti del mandatario, unitamente al fatto che gli avvocati Castiglione e Marchetti muniti di procura ad litem rilasciata dalle medesime mandanti si erano ritualmente costituiti in altri giudizi pendenti tra le parti ma non in quello per cui è causa, avrebbe dovuto giungere a diversa conclusione rispetto alla eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata dagli appellati;

– peraltro, aggiunge parte ricorrente, il mandatario M. aveva rilasciato procura ad litem e la revoca della procura generale doveva ritenersi priva di effetti nei confronti della controparte fino alla avvenuta sostituzione con nuovo difensore ai sensi dell’art. 85 c.p.c.;

– i due motivi possono essere trattati congiuntamente perchè attengono alla medesima questione dell’esistenza o meno in capo al M. della procura generale a compiere determinati atti;

– le censure sono infondate;

– costituisce principio consolidato quello secondo il quale la revoca del mandato, trattandosi di una causa di estinzione ispirata alla libera revocabilità di esso ed all’irrevocabilità come eccezione, opera con decorrenza dal momento in cui si perfeziona e, allorchè viene accertata giudizialmente a posteriori, la determinazione degli effetti opera ex tunc, e quindi con una disciplina diversa dalla causa di risoluzione del contratto prevista dagli art. 1453 e 1455 c.c.(cfr. Cass. 3301/1975; 10739/2000);

– nel caso di specie la corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio generale dal momento che la revoca della procura generale “ad negotia” rilasciata l’11 gennaio 2007 era incontestabilmente avvenuta con il successivo atto notarile del 29 maggio 2007 ed essa determinava immediatamente, ai sensi dell’art. 1722 c.c. ed art. 77 c.p.c., il venir meno del potere del procuratore generale di stare in giudizio, con conseguente difetto di legittimazione processuale rilevabile d’ufficio;

– quanto all’asserito carattere recettizio della revoca della procura generale non hanno rilevanza le pronunce di legittimità e di merito richiamate dal ricorrente, posto che, come chiarito dalla corte territoriale, tale profilo può venire in considerazione solo nei rapporti interni fra rappresentante e rappresentato in relazione delle attività compiute dal rappresentante dopo la revoca;

– allo stesso modo appare ininfluente il richiamo alle disposizioni processuali artt. 83 ed 85 c.p.c. sulla procura ad litem, atto unilaterale endoprocessuale che costituisce un atto del tutto distinto dalla procura generale attribuita al M. e poi revocata ed avente ad oggetto il potere di esercitare un diritto altrui;

– parimenti irrilevante è il riferimento all’art. 182 c.p.c., avendo anche in tal caso e correttamente la corte evidenizando come fosse onere del M. provare la permanenza del potere rappresentativo, necessaria ad una eventuale ratifica;

– il terzo motivo denuncia la statuizione di condanna del M. in proprio al pagamento delle spese processuali di primo e di secondo grado in quanto, ad avviso di parte ricorrente, la corte non avrebbe considerato ai fini della soccombenza, il rigetto dell’eccezione di chiamata in causa sollevata dai convenuti, e in ogni caso che il M. aveva agito nella qualità di mandatario e mai in proprio;

– la censura è infondata, atteso che l’attività compiuta dal M. in difetto di potere rappresentativo e gestorio non può riverberare sulle mandatarie che avevano ritualmente revocato il mandato prima dell’instaurazione del giudizio (cfr. Cass. 14474/2019;id.13055/2018; id.27530/2017);

– atteso l’esito di tutti i motivi il ricorso va respinto e, in applicazione del principio di soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente e liquidate in Euro 5000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

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